A 11 MILIARDI DI ANNI LUCE DA NOI

Due antichi ammassi galattici molto ‘metal’

Un'indagine condotta con il telescopio Subaru mette in evidenza un inaspettato livello di abbondanza di elementi chimici più pesanti dell'idrogeno e dell'elio nel gas che compone le galassie di due ammassi nell'universo remoto. Il commento di Gabriella De Lucia (INAF)

     22/04/2015
Immagine composita della regione PKS 1138-262 proveniente dall'archivio ACS/WFC (F814W and F475W) del telescopio spaziale Hubble. Questa è una delle regioni che ospitano protoammassi glattici osservate dallo strumento MOIRCS al telescopio Subaru. Credit: NAOJ/HST

Immagine composita della regione PKS 1138-262 proveniente dall’archivio ACS/WFC (F814W and F475W) del telescopio spaziale Hubble. Questa è una delle regioni che ospitano protoammassi glattici osservate dallo strumento MOIRCS al telescopio Subaru. Credit: NAOJ/HST

Due ammassi primordiali di galassie, a circa undici miliardi di anni luce da noi, sono stati studiati da un team di ricercatori guidato da Rhythm Shimakawa dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone per indagare i processi di formazione stellare e l’evoluzione delle galassie nell’universo primordiale.

I ricercatori hanno utilizzato lo strumento MOIRCS, uno spettrografo nel vicino infrarosso installato al telescopio Subaru che si trova nell’arcipelago delle Hawaii.  Punto di partenza delle indagini, la raccolta dei dati ottenuti dalle osservazioni condotte sui protoammassi, che si trovano nelle regioni corrispondenti alle radiogalassie PKS 1138-262 e USS 1588-033, in direzione della costellazione del Serpente.

Grazie alle informazioni raccolte, il team è riuscito a stimare la massa complessiva delle due strutture, che è per entrambe pari a circa centomila miliardi di volte quella del nostro Sole, o circa 100 volte quella della nostra galassia, la Via Lattea. Valori che secondo i ricercatori sono in linea con la storia evolutiva degli ammassi galattici e che rendono questi oggetti celesti dei laboratori ideali per esplorare le prime fasi della formazione delle galassie in un ambiente così denso di materia. L’indagine si è poi concentrata sulle abbondanze di elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio (che gli astronomi definiscono genericamente ‘metalli’) presenti nel gas delle galassie, evidenziando valori più alti rispetto ai valori medi riscontrati in altre galassie a distanze analoghe.

Per spiegare questo eccesso di metallicità, i ricercatori hanno posto la loro attenzione proprio sugli effetti ambientali di accrescimento e fuoriuscita di gas durate i processi di formazione delle galassie, legati cioè a fenomeni cumulativi dovuti alla nutrita presenza di galassie in questi ammassi. Studi recenti che indicano infatti come questi effetti si siano fatti sentire in misura maggiore nell’evoluzione delle galassie proprio attorno a 11 miliardi di anni fa, quando erano 100 volte più intensi rispetto a oggi. Gli ammassi galattici sono strutture in cui le galassie e il gas ionizzato sono tenuti insieme dalla presenza di grandi concentrazioni di materia oscura. Le galassie che li compongono possono raggiungere anche velocità di oltre 3 milioni di chilometri orari. Proprio come quando ci spostiamo, con un buon ritmo, in bicicletta o in moto, percepiamo la resistenza del vento, così anche quelle galassie nel loro moto sono soggette a una notevole pressione dovuta al gas presente nell’ammasso. Secondo Shimakawa e i suoi colleghi, questo attrito potrebbe strappare via alle galassie stesse il gas delle loro regioni più periferiche e povere di metalli, mantenendo invece quello più arricchito, situato nelle regioni centrali, pressoché intatto. Una seconda ipotesi suggerisce che la pressione prodotta dal mezzo intergalattico sulle galassie impedisce al loro gas ricco di elementi pesanti di fuoriuscire, contribuendo così a innalzare il valore delle abbondanze ai livelli osservati.

«Entrambe le soluzioni proposte sono plausibili» commenta Gabriella De Lucia, ricercatrice INAF dell’Osservatorio Astronomico di Trieste. «Ce ne sono altre che gli autori ritengono meno probabili, per esempio che la diversa metallicità sia dovuta semplicemente ad una più rapida evoluzione delle regioni che sono destinate a formare un
ammasso. E’ una cosa che ci si aspetta, almeno in una certa misura, nello scenario cosmologico che riteniamo valido. Ci sono molte incertezze di cui tener conto, sia sulle stime osservative che sugli argomenti teorici usati, e sicuramente sarebbe interessante capire se si tratti di un risultato generico, valido cioè per ogni regione di proto-ammasso. Per supportare l’interpretazione dei dati, sarebbero utili confronti più dettagliati con quelle che sono le aspettative teoriche usando modelli di formazione galattica, come quelli sviluppati dal nostro team qui all’Osservatorio Astronomico di Trieste».

Per saperne di più:

  • l’articolo An early phase of environmental effects on galaxy properties unveiled by near-infrared spectroscopy of protocluster galaxies at z>2 di Rhythm Shimakawa et al., pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society