BUCO NERO DI TAGLIA INTERMEDIA

Nuovo arrivo nella famiglia degli oggetti cosmici

L'intrigante oggetto di cui stiamo parlando è stato chiamato NGC2276-3c e si trova in uno dei bracci a spirale della galassia NGC 2276, a circa 100 milioni di anni luce dalla Terra. NGC2276-3c sembra avere tutte le caratteristiche per essere ciò che gli astronomi chiamano un "buco nero di massa intermedia". Il commento di Anna Wolter dell'INAF - Osservatorio Astronomico di Brera

     26/02/2015

Nell’universo c’è un oggetto cosmico di recente scoperta che potrebbe aiutarci a far luce su questioni irrisolte che riguardano l’evoluzione dei buchi neri e la loro influenza sull’ambiente che li circonda. Stando a quanto affermato in uno studio condotto con Chandra, il telescopio a raggi X della NASA, sembrerebbe che questo oggetto vada a completare il quadro di famiglia dei buchi neri.

«In paleontologia, la scoperta di alcuni fossili può aiutare gli scienziati a colmare lacune evolutive tra differenti dinosauri», dice Mar Mezcua dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, che ha condotto lo studio. «In astronomia facciamo la stessa cosa, ma dobbiamo andare a scavare in galassie lontane milioni di anni luce per dissotterrare le stelle che stiamo cercando».

L’intrigante oggetto di cui stiamo parlando è stato chiamato NGC2276-3c e si trova in uno dei bracci a spirale della galassia NGC 2276, a circa 100 milioni di anni luce dalla Terra. NGC2276-3c sembra avere tutte le caratteristiche per essere ciò che gli astronomi chiamano un “buco nero di massa intermedia”.

Un'immagine composta ottenuta dalla sovrapposizione di dati nella banda ottica e nei raggi X della galassia NGC 2276. Crediti: raggi X: NASA/CXC/SAO/M.Mezcua et al. & NASA/CXC/INAF/A.Wolter et al.; Ottico: NASA/STScI e DSS

Un’immagine composta ottenuta dalla sovrapposizione di dati nella banda ottica e nei raggi X della galassia NGC 2276. Crediti: raggi X: NASA/CXC/SAO/M.Mezcua et al. & NASA/CXC/INAF/A.Wolter et al.; Ottico: NASA/STScI e DSS

Per molti anni gli scienziati hanno trovato prove convincenti dell’esistenza di buchi neri di taglia più piccola, che contengono da cinque a trenta volte la massa del Sole. Abbiamo anche molte informazioni circa i cosiddetti buchi neri supermassicci, che risiedono al centro delle galassie e contengono milioni o addirittura miliardi di masse solari.

Come suggerisce il nome, i buchi neri di massa intermedia rappresentano una classe che si colloca a metà tra questi due gruppi, con masse tra le centinaia e le migliaia di masse solari. Una delle ragioni per cui questi buchi neri intermedi sono importanti è che potrebbero essere i progenitori dei buchi neri supermassicci, formatisi nelle prime fasi di vita dell’universo. «Gli astronomi cercano da molto tempo questi buchi neri di taglia media», ha dichiarato Tim Roberts dell’Università di Durham, co-autore dello studio. «In passato ci sono state indicazioni che potevano esistere, ma si sono sempre comportati come parenti lontani che non hanno alcun interesse ad essere scovati».

Lo studio su NGC2276-3c si è basato su dati Chandra nella banda dei raggi X e su dati dell’European Very Long Baseline Interferometry (VLBI) Network per la banda radio. La sorgente è stata osservata circa per la stessa quantità di tempo nelle due bande, e i dati ottenuti, insieme ai modelli teorici per l’emissione in radio e nelle alte energie da parte di buchi neri, hanno permesso di stimare la massa di questo oggetto. Il risultato è stato una stima di circa 50.000 masse solari, ponendo NGC2276-3c nell’intervallo dei buchi neri di massa intermedia.

«Abbiamo trovato che NGC2276-3c presenta comportamenti analoghi sia ai buchi neri di natura stellare che a quelli supermassici», ha detto Andrei Lobanov del Max Planck Institute for Radio Astronomy di Bonn, co-autore del lavoro. «In altre parole, questo oggetto ci permette di riunire tutta la grande famiglia dei buchi neri».

Oltre alla sua massa, NGC2276-3c ha un’altra proprietà sorprendente: un getto radio che si estende fino a 2.000 anni luce. La regione che si trova davanti al getto sembra priva di stelle giovani per un raggio di circa 1.000 anni luce. Questo conferma che i buchi neri di massa intermedia hanno una forte influenza sull’ambiente circostante, poiché sembra che il getto abbia ripulito la regione dal gas, sopprimendo la formazione di nuove stelle. Studi futuri di questo getto potrebbero fornire preziose informazioni sugli effetti a larga scala di questo tipo di buchi neri sull’universo nelle sue prime fasi di vita.

La posizione di NGC2276-3c lungo un braccio a spirale della sua galassia ci pone davanti a nuove domande. Il buco nero si è formato all’interno della galassia o proviene dalla regione centrale di una galassia nana che ha colliso in passato con NGC 2276?

NGC2276-3c è una delle otto sorgenti note come ultraluminous X-ray sources (ULX, sorgenti ai raggi X ultra-luminose) presenti nella galassia NGC 2276. «Le ULX sono sorgenti non nucleari con luminosità X molto maggiore di quella che ci aspetta per un buco nero di massa stellare», dice Anna Wolter dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera, «grazie alla “vista acuta” del satellite Chandra abbiamo trovato ben 8 ULX in tutta la galassia NGC 2276, un oggetto spettacolare e attivo in tutte le bande, terzo per numero di ULX ospitate». Si conoscono centinaia di ULX, scoperte nell’arco degli ultimi 30 anni, tuttavia la loro natura è ancora oggetto di dibattito, e per alcune l’ipotesi è che si tratti di buchi neri di massa intermedia.

Nella figura sotto, il confronto tra l'immagine Chandra a sinistra - in cui si vedono distintamente 6 sorgenti di cui 5 cosi' brillanti da essere considerate tutte ULX - e sulla destra quella di XMM-Newton in cui ne viene trovata una sola. Crediti: A. Wolter

Confronto tra l’immagine Chandra a sinistra, in cui si vedono distintamente 6 sorgenti di cui 5 così brillanti da essere considerate tutte ULX, e quella di XMM-Newton sulla destra in cui ne viene trovata una sola. Crediti: Chandra, XMM-Newton, A. Wolter et al.

Le osservazioni di Chandra hanno mostrato che un’apparente ULX vista da XMM-Newton, il telescopio a raggi X dell’ESA, è in realtà formata da 5 diverse ULX, tra cui proprio NGC2276-3c. Lo studio della dott.ssa Wolter ha concluso che NGC 2276 forma ogni anno tra cinque e quindici masse solari sotto forma di stelle. «Nel nostro articolo», prosegue la ricercatrice, «abbiamo stimato che la grande attività e il numero elevato di ULX siano dovuti all’interazione con il gas che circonda l’ellittica centrale del gruppo, NGC 2300, il primo gruppo in cui è stato trovato gas caldissimo, a qualche milione di gradi, proprio per mezzo di osservazioni nella banda dei raggi X. è un risultato che dovrebbe anche farci ragionare su quanto è importante mantenere una capacità di risoluzione elevata per i prossimi telescopi X in costruzione».