LO SCOPRIREMO CON L’INTERFEROMETRO GRAVITY

Sagittarius A*: buco nero o wormhole

L'interferometro GRAVITY comincerà dal prossimo anno a carpire segreti a Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Due studi teorici cinesi, guidati da un italiano, distinguono lo scenario offerto da buchi neri, più o meno classici, nonché da esotici wormhole

     29/05/2014
Immagine Chandra della zona di cielo circostante Sagittarius A*. Crediti:  NASA/CXC/MIT/F. Baganoff, R. Shcherbakov et al.

Immagine Chandra della zona di cielo circostante Sagittarius A*. Crediti: NASA/CXC/MIT/F. Baganoff, R. Shcherbakov et al.

Uno degli oggetti più straordinari della Via Lattea è Sagittarius A* (l’asterisco si pronuncia star), una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa localizzata nel centro della nostra galassia. Da quando è stata scoperto, nel 1974, sono state compiute numerose osservazioni di questo piccolo oggetto e delle stelle vicine, alcune delle quali vi orbitano attorno a velocità pazzesche. Questo implica che Sagittarius A* deve essere estremamente massiccio ma anche – essendo così piccolo – estremamente denso. La descrizione perfetta di un buco nero supermassiccio, la cui presenza gli astrofisici ritengono ormai imprescindibile per ogni galassia di un certo rango. Nel nostro caso, si è stimato che Sagittarius A* contenga una massa equivalente a quella di 4 milioni di Soli in un volume assai modesto, non molto più grande dell’orbita di Mercurio.

Sagittarius A*, nonostante la sua relativa vicinanza, è difficile da osservare e nasconde ancora moltissimi segreti sulla sua reale natura. Per svelare quei segreti, ma soprattutto per ottenere una visione quanto più diretta possibile di fenomeni relativistici estremi, gli astronomi hanno messo in campo almeno un paio di progetti per scrutare gli immediati dintorni di Sagittarius A*. Il progetto Event Horizon Telescope, a cui collabora l’INAF, prevede di far lavorare assieme in interferometria, entro il prossimo decennio, un grande numero di radiotelescopi. Già dal prossimo anno dovrebbe invece entrare in funzione lo strumento GRAVITY, un interferometro per frequenze infrarosse in costruzione al VLTI, il Very Large Telescope Interferometer dell’ESO, nel deserto di Atacama del Cile settentrionale. Questo dispositivo avrà una risoluzione tale da potere distinguere le nubi di plasma vorticanti intorno a Sagittarius A*, e poter così confermare la sua natura di buco nero.

Sulla destra, il fisico Cosimo Bambi

Sulla destra, il fisico Cosimo Bambi

Ma gli scienziati non si accontentano, e provano a immaginare anche che “tipo” di buco nero potrebbe essere. Impresa non facile, come racconta a Media INAF Cosimo Bambi, fisico italiano che coordina alla Fudan University di Shanghai un gruppo di ricerca sulla fisica dei buchi neri, gruppo a cui si deve uno studio in via pubblicazione su Astrophysical Journal riguardo a quello che sarà possibile scoprire con lo strumento GRAVITY sulla natura di Sagittarius A*.

“I buchi neri della relatività generale in 4 dimensioni (1 temporale e 3 spaziali) sono chiamati buchi neri di Kerr”, spiega Cosimo Bambi, “e sono completamente caratterizzati dalla loro massa e dal loro spin. Se consideriamo la relatività generale in 5 o più dimensioni, oppure teorie alternative alla relatività generale, possiamo trovare altri tipi di buchi neri. Non possiamo poi escludere il fatto che oggetti astrofisici che oggi riteniamo essere buchi neri in realtà non lo siano”.

In termini generali, buchi neri diversi da quelli di Kerr possono essere caratterizzati da una forza gravitazionale più forte o più debole di quella intorno ad un buco nero di Kerr. “Se si vanno a studiare le proprietà della radiazione emessa da un gas intorno ad un buco nero,” continua Bambi, “le differenze fra buchi neri di Kerr ed altri buchi neri sono solitamente piccole. La differenza più importante è che il raggio interno del disco di accrescimento dipende dal tipo di buco nero, per cui in linea di principio si può capire se un buco nero è o meno di Kerr da qualche osservabile che dipende dal raggio interno del disco. Il problema è che tale raggio dipende anche dallo spin e quindi alla fine non è semplice capire con che buco nero abbiamo a che fare.”

Questo approccio porta a una conclusione intrigante: le analisi di GRAVITY ci permetterebbero di distinguere se al centro della Via Lattea non risieda un buco nero qualunque, benché supermassiccio, ma un wormhole, un cunicolo spazio-temporale che connette la nostra regione di spazio ad un altro punto dell’Universo o, addirittura, a un altro universo. Il perché ce lo spiega ancora Bambi, che ha prodotto sull’argomento un altro studio attualmente in fase di revisione alla rivista Physical Review D.

“Nel caso di altri candidati, come i wormhole”, riprende il ricercatore, “le differenze sono più marcate e quindi è più facile distinguere un buco nero di Kerr da un wormhole. Nel lavoro con il mio studente, Zilong Li, mostriamo come l’immagine apparente di un blob di plasma che orbita molto vicino ad un wormhole risulti sensibilmente più piccola rispetto a quella di uno orbitante intorno ad un buco nero di Kerr. Il motivo è che la deflessione di raggi luminosi vicino a questi oggetti è diversa”.

Differenza tra l'immagine apparente di un "hot spot" attorno a un buco nero (sx) e a un wormhole (dx). Crediti: Cosimo Bambi, Zilong Li

Differenza tra l’immagine apparente di un blob di plasma (hot spot) attorno a un buco nero “normale” (sx) e a un wormhole (dx). Crediti: Cosimo Bambi, Zilong Li

Riassumendo, se al centro della Via Lattea c’è un cunicolo spazio-temporale, lo verremo a sapere molto presto, forse già il prossimo anno quando è prevista l’entrata in funzione di GRAVITY. L’idea che dei wormhole, ovvero dei ponti di Einstein-Rosen, possano esistere al centro delle galassie non è così inverosimile come può sembrare. Innanzitutto, i wormhole sono consentiti come singolarità all’interno della Relatività Generale. La loro presenza potrebbe poi risolvere un problema negli attuali modelli di formazione galattica: i buchi neri supermassicci, la cui attrazione gravitazionale è necessaria per tenere assieme le galassie in via di formazione, non avrebbero teoricamente avuto il tempo di crescere così tanto. Un problema che non tocca i wormhole, emersi in un batter d’occhio durante il periodo iniziale d’espansione dell’Universo, quindi immediatamente disponibili per innescare la formazione delle prime galassie.

Le analisi compiute grazie a GRAVITY forniranno un affascinante spaccato sul mostro cosmico a cui dobbiamo, pare, l’esistenza stessa della galassia in cui viviamo. La conferma che si tratta di un buco nero supermassiccio sarà importante, ma la scoperta che si tratta di un wormhole sarebbe, a dir poco, strabiliante.