UN CAMPO MAGNETICO MAI REGISTRATO

Magnetar fuori norma

Grazie a scienziati italiani, con Andrea Tiengo e Giovanni Bignami in primis, il primo associato INAF e dello IUSS Pavia, il secondo presidente dell'INAF e docente allo IUSS, e ai dati di XMM dell'ESA è stato registrato il più grande campo magnetico mai rilevato. La scoperta sulla rivista Nature

     14/08/2013

magloopUn campo magnetico mai visto. È quello che hanno registrato scienziati italiani grazie al telescopio spaziale XMM –Newton. Un campo magnetico milioni di miliardi di volte più intenso di quello della Terra. Appartiene a una magnetar, oggetto celeste che si forma dopo la morte di una stella di grandi dimensioni.

La scoperta, appena pubblicata su Nature, è stata guidata dagli astrofisici della Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Grazie al lavoro degli scienziati italiani è stato infatti possibile per la prima volta misurare direttamente il campo magnetico della magnetar SGR 0418+5729, collocata a 6500 anni luce dal sistema solare, la cui intensità è risultata milioni di miliardi di volte superiore a quella terrestre, al punto di essere la più alta mai registrata nell’universo.

I ricercatori sono riusciti a stabilirne la forza, misurando l¹energia dei raggi X emessi dalla magnetar e rilevati dal telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA.

La ricerca apre importanti prospettive nello studio delle magnetar e delle potenti emissioni di raggi X e gamma che si verificano sulla superficie di queste stelle, così intense da interferire, in alcuni casi, con le telecomunicazioni terrestri. Si ipotizza infatti che alla base di queste esplosioni cosmiche ci siano proprio i forti campi magnetici come quello misurato per la prima volta dagli scienziati italiani.

La ricerca, di cui è primo autore Andrea Tiengo, ricercatore in astronomia e astrofisica alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e associato INAF, annovera tra gli autori anche Giovanni Bignami, professore ordinario di astronomia allo IUSS e presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica INAF.

Lo studio è frutto di un lavoro che ha coinvolto anche scienziati dell’Università di Padova, dell’University College di Londra, del laboratorio di astrofisica interdisciplinare (AIM) appartenente al centro di ricerca francese CEA (Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives) e dell’Istituto di Scienze dello Spazio (ICE) di Barcellona.

La scoperta degli scienziati italiani rappresenta la prima dimostrazione diretta e lampante della teoria delle magnetar, elaborata oltre vent’anni fa dagli astrofisici Robert Duncan e Christopher Thompson.

“Negli ultimi decenni – commenta Andrea Tiengo – la teoria delle magnetar è stata confermata da diverse osservazioni e sono state scoperte nella nostra galassia circa venti stelle di neutroni di questa specie, ma nessuno, prima d’ora, era mai riuscito a misurare direttamente l’intensità del campo magnetico di questi oggetti celesti. La scoperta rappresenta pertanto un passo in avanti importante verso la comprensione più approfondita di questi eventi cosmici”.

Tutte le stelle seguono un percorso evolutivo che, dopo la loro nascita, le porta a spegnersi e implodere. Questo processo assume caratteristiche diverse a seconda della massa delle stelle: gli astri simili al Sole si trasformano in nane bianche, stelle di dimensioni paragonabili a quelle della Terra, ma con una concentrazione di materia (densità) più elevata di qualunque oggetto si possa trovare sul nostro pianeta; le stelle di massa superiore, compresa tra le 10 e le 25 volte quella del Sole, si trasformano in stelle di neutroni, caratterizzate da un raggio di appena una decina di chilometri, una densità di gran lunga superiore a quella delle nane bianche e un campo magnetico elevato.

Duncan e Thompson tuttavia avevano immaginato l’esistenza di stelle di neutroni con campi magnetici ancora più intensi, le magnetar. Secondo i due scienziati, infatti, solo la presenza di stelle con campi magnetici potentissimi poteva essere all’origine di alcune violente esplosioni cosmiche che si verificano nell’universo, così forti, in alcuni casi, da disturbare perfino le telecomunicazioni terrestri pur originandosi a migliaia di anni luce dal nostro pianeta.

Gli scienziati italiani sono riusciti a misurare il campo magnetico di questi oggetti celesti analizzando le emissioni di raggi X della magnetar SGR 0418+5729, grazie a osservazioni effettuate nell’estate del 2009 con il telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea.

Dall’analisi della frequenza dei raggi X i ricercatori hanno ricavato la frequenza delle particelle che si muovono all¹interno del campo magnetico, un dato particolarmente importante perché è direttamente proporzionale proprio all’intensità del campo magnetico. In particolare, gli astrofisici italiani hanno identificato una piccola zona sulla superficie della magnetar con un campo magnetico di straordinaria intensità, pari a un milione di miliardi di Gauss. Per avere un’idea della sua potenza basti pensare che la Terra ha un campo magnetico inferiore a 1 Gauss.

Il “motore” delle esplosioni cosmiche. La scoperta ha fatto emergere un aspetto ancora più importante sul comportamento delle magnetar. La misurazione, infatti, ha dimostrato l’esistenza sulla superficie della stella di una regione con un campo magnetico più intenso rispetto a quello complessivo della magnetar.

Questo aspetto è fondamentale perché proprio la presenza di più campi magnetici di diversa intensità nella stessa stella è ritenuta una delle principali cause delle esplosioni cosmiche, in analogia a quanto è stato già osservato, ad esempio, con le esplosioni (i cosiddetti brillamenti) solari.

Leggi l’articolo di Giovanni Bignami su La Stampa