L’EDITORIALE DI BIGNAMI SU LA STAMPA

La rivincita dell’epopea sovietica

La NASA scopre che l'Unione Sovietica aveva ragione, come su Luna e Venere anche su Marte arrivarono per primi. A scoprirlo la sonda americana, MRO. Pubblichiamo l'editoriale di Giovanni Bignami che appare oggi sul quotidiano La Stampa

     16/04/2013
Confronto tra le immagini e gli schizzi dei pezzi di Mars3 identificati da Vitaliy. Dall'alto: il lander, il retrorazzo, lo scudo termico e infine il paracadute solo parzialmente aperto. Crediti: NASA / JPL / UA / Vitaliy Egorov

Confronto tra le immagini e gli schizzi dei pezzi di Mars3 identificati da Vitaliy. Dall’alto: il lander, il retrorazzo, lo scudo termico e infine il paracadute solo parzialmente aperto. Crediti: NASA / JPL / UA / Vitaliy Egorov

Era tutto vero: i compagni sovietici di ieri furono i primi ad atterrare su Marte, nel lontano 1971. Ce lo dicono, con simpatico entusiasmo, proprio gli scienziati americani di oggi, analizzando le foto ad alta risoluzione prese dall’orbita marziana con la sonda NASA Mars Reconnaisance Orbiter.

Nel punto sulla superficie dove i russi avevano detto (alquanto non creduti) di essere atterrati, si vedono abbastanza bene la vecchia sonda Mars 3 e i suoi retrorazzi, necessari per un atterraggio morbido, e ancora meglio si vede il paracadute, una macchia bianca larga 8 metri. La eccezionale risoluzione (25 cm) della camera su MRO non lascia dubbi. Anzi, confrontando due immagini del 2007 e del 2013 si vede bene che il vento ha spazzato un po’ delle rosse sabbie marziane (quelle di Ray Bradbury, per intenderci) che stavano parzialmente ricoprendo  la stoffa bianca made in USSR.

Dopo il primo “allunaggio” morbido, cioè controllato, nel 1966, quando per la prima volta un oggetto fatto dall’uomo si posò dolcemente su di una superficie extraterrestre, i sovietici erano anche stati i primi ad atterrare su Venere, nel 1970, al settimo tentativo. Grazie alla scuola di Serghiei Karaliov e di Roald Sagdeev, che furono gli artefici scientifici, tecnici e politici delle imprese planetarie, i russi in cinque anni avevano conquistato con le loro sonde, rozze ma efficaci, i tre corpi celesti più vicini alla Terra. Negli stessi anni, naturalmente, avevano perso, ma non per molto, la più spettacolare corsa al primo uomo sulla Luna, vinta dagli USA nel 1969.

Mezzo secolo dopo, anche per i resti delle missioni Apollo sulla superficie lunare è venuto il momento di passare alla storia, fotografati in dettaglio fino alle impronte dei moon boots, dalle moderne camere delle sonde in orbita lunare bassa. Alla faccia dei dietrologi che pensavano che Apollo fosse un film girato su un set in Arizona… E ora la stessa cosa si ripete con la prima sonda russa su Marte, mille volte più lontano della Luna. Ma anche se La Stampa, nel dicembre 1971, aveva dato bene la notizia dell’atterraggio di Mars 3, tutti ci eravamo dimenticati del suo primato. Per l’ottima ragione che la sonda funzionò per 14 secondi, e poi smise di trasmettere. Forse era atterrata male, finita contro un sasso, chissà. Certo, allora qualcuno pensò che i marziani l’avessero subito spenta…forse gli stessi che oggi diranno che la macchia bianca non è un paracadute ma un ombrellone per pallidi omini verdi in vacanza.

L’editoriale di Giovanni Bignami su La Stampa

Ndr: Giovanni Bignami è presidente INAF e COSPAR