
Recita così, in quarta di copertina, la descrizione del libro di Massimo Capaccioli e Silvia Galano (il primo ordinario di astronomia all’università Federico II di Napoli e componente del CdA dell’INAF, la seconda astrofisica e storica della scienza), dal titolo Arminio Nobile, la misura del cielo.
A Massimo Capaccioli abbiamo chiesto come è nata la scelta di dedicarsi ad una figura “minore” dell’astronomia italiana? Se vi fosse una componente vis comica nella figura di Arminio? “Le ragioni per scrivere su Arminio Nobile sono molteplici: celebrare un astronomo dell’Osservatorio di Capodimonte nel bicentenario della fondazione della Specola, arricchire gli studi su questa storica e prestigiosa Istituzione, riproporre da un’inusuale angolazione le vicende e l’atmosfera che accompagnarono la nascita dell’Italia unita, approfondire la figura di un personaggio coinvolgente, controverso e incredibilmente sfortunato, e promuovere uno dei tanti scienziati italiani che restano nell’oblio in un Paese, il nostro, il quale a differenza di altri non sa ancora valorizzare le sue glorie minori”.
Il vicolo cieco che ha “ucciso” Arminio è uno dei principali rischi della ricerca scientifica?
Il vicolo cielo è l’incubo di ogni esploratore, e quindi di ogni vero scienziato. Nel caso di Arminio però c’è l’aggravante di una psicologia complessa, condizionata dai personaggi e dalle vicende della sua infanzia,che gli impedì di accorgersi in tempo che la strada intrapresa era chiusa. L’astronomo si inoltrò a testa bassa in un sentiero tanto buio da uscirne cieco, ormai incapace di vedere la luce che all’improvviso gli si era parata davanti. Altro che vis comica: Arminio è l’eroe di un dramma amaro e crudele.






