IPOTIZZATO L’USO DELLA POLARIMETRIA

La vita aliena in 3D

Usare la luce polarizzata riflessa da un pianeta extrasolare per capire se vi può essere vita o meno. L'ipotesi, testata sperimentalmente, in un articolo con Nature. A colloquio con il co-autore, l'italiano Stefano Bagnulo dell'osservatorio di Armagh in Irlanda del Nord.

     29/02/2012

Cosa hanno in comune un film in 3D di ultima generazione e la ricerca della vita nei pianeti extrasolari? Apparentemente niente, ma invece un aspetto in comune ce l’hanno la polimetria, o meglio la luce polarizzata.

L’intuito di usare la luce polarizzata riflessa dai pianeti è alla base di una studio pubblicato sull’edizione di questa settimana della rivista Nature, che vede tra gli autori un italiano, Stefano Bagnulo, già astronomo all’Osservatorio Astronomico di Arcetri dell’INAF e ora cervello all’estero, presso l’Armagh Observatory, nell’Irlanda del Nord, Gran Bretagna.

“Si tratta, dice Stefalo Bagnulo ai microfoni di Media Inaf, di osservare pianeti extrasolari con una tecnica innovativa per il contesto, la polarimetria”. E per fare questo si sono avvalsi di uno dei telescopi più grandi al mondo, il Very Large Telescope che hanno puntato sulla Luna, per studiare, nella sua luce riflessa, la Terra e capire se su essa vi potessero essere forme di vita.

“Il fatto che sapessimo che vi fossero forme di vita ha condizionato il nostro lavoro, dice Bagnulo coautore dello studio, ma nel senso che se non avessimo avuto riscontro che la Terra può ospitarla avremmo capito subito come il metodo fosse sbagliato.  Il nostro scopo è stato quello di studiare la Terra come apparirebbe vista dallo spazio attraverso un telescopio, ed in particolare di verificare la nostra capacità di dimostrare l’esistenza dalla vita sul nostro pianeta utilizzando tecniche astronomiche. Dal momento che non avevamo la possibilità di portare il VLT nello spazio per puntarlo verso la Terra, abbiamo usato la Luna come gigantesco specchio, e osservato quella frazione di luce solare che viene riflessa dalla Terra verso il nostro satellite naturale, e poi riflessa indietro sulla Terra da quella parte dell’emisfero lunare che non è illuminato direttamente dal Sole. Questa luce è chiamata luce cinerea”.

“La stragrande maggior parte delle osservazioni astronomiche sono basate su misure di intensità. Gli astronomi cioè sono generalmente interessati a ‘quanti’ fotoni vengono emessi da una certa sorgente (o riflessi da una certa superficie). La polarimetria ci dice qualcosa di più, ossia ci dice ‘come’ oscillano i fotoni associati al campo elettro-magnetico della luce che riceviamo da una certa sorgente, per esempio se oscillano lungo una direzione privilegiata. La luce riflessa da certe superfici è polarizzata”.

“ Qualora cercassimo di studiare un pianeta extra-solare con tecniche tradizionali (fotometria e spettroscopia), avemmo il grande problema di discriminare la luce riflessa dal pianeta da quella proveniente direttamente dalla stella. Sarebbe un po’ come cercare di studiare un granello di polvere depositato sulla superficie di una lampadina accesa. Tuttavia, la luce riflessa dal pianeta è fortemente polarizzata, mentre quella stellare non lo è. Quindi le tecniche polarimetriche, almeno in principio, permettono di filtrare la luce stellare, ed evidenziare solo quella riflessa dal pianeta. La polarimetria potrebbe essere usata per fare imaging, cioè per vedere il pianeta, ma anche per analizzare le righe spettrali dell’atmosfera planetaria, e dedurne quindi la sua composizione. Abbiamo quindi deciso di usare questa tecnica sul nostro stesso pianeta. L’analisi delle nostre misure, ed il loro confronto con modelli teorici già pubblicati in passato, ci ha mostrato che l’atmosfera e la superficie del pianeta Terra possiedono le caratteristiche di un pianeta che ospita la vita così come noi la conosciamo. Per esempio, nei nostri dati spiccano evidenti le caratteristiche polarimetriche di banda molecolari dell’ossigeno, dell’acqua e dell’ozono. Inoltre le nostre osservazioni si sono dimostrate molto sensibili alla percentuale di nubi presenti in atmosfera, e alla frazione di superficie terrestre coperta dagli oceani. In un certo senso, le nostre misure ci hanno permesso di riscoprire la vita sulla Terra. Ovviamente, la nostra non è una scoperta particolarmente sorprendente. Però il nostro studio ha permesso di sperimentare con successo una tecnica astronomica che in futuro potrebbe essere sfruttata per cercare vita extra-terrestre.  Certe missioni spaziali e i grandi telescopi del prossimo futuro avranno come obiettivo la scoperta della vita extra-terrestre, e la spettropolarimetria potrebbe rivelarsi una carta vincente per raggiungere questo scopo, conclude Stefano Bagnulo”.

Ascolta l’intervista audio di Stefano Bagnulo a media inaf

Il comunicato dell’ESO in italiano