UNO SCONTRO FRA GALASSIE NON BASTA

Come ti accendo un buco nero

La maggior parte dei buchi neri giganti al centro delle galassie non sono stati attivati, negli ultimi 11 miliardi di anni, da collisioni e fusioni di galassie. Questi i sorprendenti risultati di un nuovo studio che combina i dati del VLT (Very Large Telscope) dell'ESO con quelli dell'osservatorio spaziale per raggi X dell'ESA XMM-Newton.

     13/07/2011

Immagine d'insieme del campo COSMOS ottenuto dall'osservatorio Spaziale XMM-Newton, la cui riproduzione è stata sovrimposta all'immagine. La superficie di cielo ripresa è pari a circa due gradi quadrati. (Crediti: ESA)

Ellittiche, a spirale, barrate, irregolari, giganti e nane. Di galassie nell’universo ce ne sono davvero di svariate forme e dimensioni. Ma c’è una caratteristica che le accomuna: la presenza nelle loro regioni centrali di un buco nero supermassiccio. Quanto? Si può andare da ‘solo’ qualche milione fino ad alcuni miliardi di masse solari. In molte galassie, compresa la nostra Via Lattea, il buco nero centrale sonnecchia discreto senza dare troppa evidenza di sé. In altre galassie, e in particolare nelle prime fasi della storia dell’Universo, però, il buco nero diventa un vero e proprio ‘mostro’ che, divorando la materia circostante che cattura grazie alla sua straordinaria forza di attrazione gravitazionale, sprigiona una smisurata quantità di energia sotto forma di radiazione.

A tutt’oggi non è ancora ben chiara l’origine di questa materia che può attivare un buco nero quiescente e innescare violente esplosioni al centro della galassia, trasformandolo in quello che gli astronomi chiamano un nucleo galattico attivo (AGN, Active Galactic Nucleus). Finora si riteneva che la maggior parte di questi nuclei attivi venga accesa dallo scontro e quindi dalla fusione tra due galassie o anche solo da un avvicinamento, in grado però di perturbare la materia all’interno delle strutture stellari, mettendola in condizione di divenire il carburante per il buco nero centrale. A sorpresa, nuovi studi sembrano indicare che questa interpretazione non sia corretta per molte galassie attive.

Un’equipe internazionale di scienziati della collaborazione COSMOS, a cui partecipano anche astronomi dell’INAF e guidata da Viola Allevato (Max-Planck-Institut für Plasmaphysik, Excellence Cluster Universe, Garching, Germania), ha studiato in dettaglio più di 600 galassie attive in una porzione di cielo già oggetto di approfonditi studi, il cosiddetto campo COSMOS. Come ci si attendeva, gli astronomi hanno trovato che i nuclei attivi estremamente brillanti sono rari, mentre la maggioranza delle galassie attive negli ultimi 11 miliardi di anni è rappresentata da oggetti moderatamente brillanti. Ma, contrariamente a quanto ci si aspettava, i nuovi dati mostrano che la stragrande maggioranza di queste galassie attive, più comuni e meno brillanti, non vengono ‘accese’ dalle fusioni tra galassie.

“Questo lavoro ci ha permesso di mettere in discussione il paradigma corrente che prevede che il gas necessario ad accendere i buchi neri super massicci provenga dalla scontro di galassie. O perlomeno di dimostrare come questo non sia l’unico meccanismo” dice Nico Cappelluti, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna, che ha partecipato allo studio i cui risultati verranno pubblicati sulla rivista The Astrophysical Journal. “Pensiamo infatti che altri fenomeni come la distruzione di stelle circostanti dovuti agli effetti mareali dei buchi neri, o l’instabilità del disco galattico possano avere un ruolo importante.”

L’equipe ha scoperto, grazie a una mappa tridimensionale realizzata dalla combinazione di osservazioni nei raggi X realizzate dall’osservatorio spaziale dell’ESA XMM-Newton e dal Very Large Telescope dell’ESO sulle Ande cilene, che i nuclei attivi si trovano soprattutto nelle grandi galassie massicce con elevate concentrazioni di materia oscura. Un fatto che ha spiazzato gli scienziati, in quanto non previsto dalla teoria che spiega la struttura e la dinamica delle galassie. “Questi importanti risultati sono il frutto di quasi 5 anni di lavoro sui dati di XMM-Newton e del VLT per la survey COSMOS, una collaborazione internazionale di più di 200 scienziati” prosegue Cappelluti. “Noi ricercatori dell’Osservatorio Astronomico di Bologna abbiamo messo a disposizione la nostra esperienza sulle osservazioni ad ampio campo e su molte bande dello spettro elettromagnetico, in particolare per quel che riguarda i raggi X”.

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