GUARDERÀ IL SOLE DALL’ALTO IN BASSO

Notte prima degli esami per Solar Orbiter

La sonda dell’Esa ha quasi terminato la fase d’integrazione e si prepara all’imminente campagna di test pre-lancio, previsto per l’inizio del 2020. In che modo si differenzia dal Parker Solar Probe della Nasa? Media Inaf lo ha chiesto a Vincenzo Andretta dell’Inaf di Napoli, responsabile delle operazioni scientifiche dello strumento Metis

     21/09/2018

La protezione degli strumenti di bordo è affidata a uno scudo termico ad alta tecnologia composto da diversi strati di titanio e una copertura esterna con una pellicola protettiva sviluppata appositamente per Solar Orbiter, “Solar Black”. Le “porte scorrevoli” predisposte sulla parete scudo termico proteggono finestre di acquisizione degli strumenti. Crediti: Airbus Defence and Space 2015

È una vera e propria manovra di accerchiamento, quella predisposta dalle agenzie spaziali per lo studio della nostra stella. Oltre al Parker Solar Probe della Nasa, già in viaggio da quest’estate con l’obiettivo di avvicinarsi al Sole quanto nessuna sonda ha mai osato prima, c’è infatti anche il Solar Orbiter dell’Esa. Lancio attualmente in calendario – dopo alcuni rinvii – per il 2020, la sonda europea sta completando in questi giorni la fase di integrazione e si prepara alla campagna di test.

Test che si annunciano assai impegnativi: lavorando nei pressi del Sole, la luce che inonderà la sonda Esa sarà 12 volte più intensa di quella che arriva sulla Terra, con temperature che supereranno i 500 gradi. Ed è in queste condizioni estreme che i dieci strumenti di bordo dovranno lavorare: per consentire loro di posare lo sguardo sulla nostra stella senza rimanerne accecati e ustionati, sono state predisposte – sullo scudo termico in titanio che protegge la sonda – alcune fenditure che si possono aprire e chiudere.

Dieci strumenti, dicevamo, uno dei quali a guida italiana: si tratta Metis, un coronografo finanziato e gestito dall’Asi il cui team comprende ricercatori delle sedi Inaf delle sedi di Torino, Arcetri, Napoli, Catania, Milano, Roma e Trieste, oltre alle università di Padova e Firenze, sede quest’ultima di appartenenza del principal investigator dello strumento, Marco Romoli.

Ed è proprio a uno scienziato del team di Metis, l’astronomo dell’Inaf di Napoli Vincenzo Andretta, responsabile delle operazioni scientifiche dello strumento, che abbiamo chiesto gli ultimi aggiornamenti sulla missione e le differenze principali rispetto al Parker Solar Probe.

Partiamo dall’attualità: in cosa consiste l’integrazione in corso in questi giorni, e a che punto è?

«L’integrazione, ovvero il montaggio della sonda e del suo carico scientifico di strumenti, è avvenuta presso la sede di Airbus a Stevenage, nel Regno Unito, ed è quasi finita: restano da assemblare lo scudo termico e l’antenna per la trasmissione dei dati. Tra una settimana, la sonda verrà trasferita allo Iabg (Industrieanlagen Betriebsgesellschaft MBH), vicino a Monaco, in Germania, dove verrà completata l’integrazione e saranno effettuati i test di collaudo di termovuoto, di vibrazioni e di contaminazione elettromagnetica, per verificare che la sonda continui a lavorare nelle condizioni estreme dello spazio. E tra un anno, terminati i test di collaudo, la sonda sarà trasferita alla base di lancio in Florida, per iniziare la cosiddetta “campagna di lancio”, una serie di attività e test di preparazione al lancio, che durerà circa 5 mesi».

Ecco, a proposito: è confermato che avverrà nel 2020? Da dove?

«Il lancio è previsto per l’inizio di febbraio del 2020 dalla base di lancio della Nasa a Cape Canaveral, in Florida, con un vettore Atlas. L’orbita operativa intorno al Sole, fortemente ellittica, verrà raggiunta dopo quasi due anni, sfruttando una serie di fly-by con Venere e la Terra».

Rappresentazione schematica dei principali componenti di Solar Orbiter. Crediti: Esa

Nel frattempo, il Parker Solar Probe è già in volo. E arriverà vicinissimo al Sole, ad appena 6 milioni di km, come nessun’altra missione mai. Solar Orbiter fino a che punto si spingerà?

«Solar Orbiter percorrerà un’orbita che lo porterà a poco più di un quarto della distanza Terra-Sole, a 0.28 unità astronomiche, per essere precisi: quindi a 42 milioni di km dal Sole, circa sei volte più lontano di Parker Solar Probe. Ma percorrerà un’orbita inclinata rispetto all’orbita terrestre, permettendo di osservare il Sole anche nelle sue zone polari e trasportando telescopi in grado di prendere immagini del Sole e della sua corona. Le due missioni sono dunque complementari, pur avendo obiettivi simili».

In che senso, complementari?

«Parker Solar Probe è progettato per prendere misure in situ della parte più esterna dell’atmosfera del Sole, la corona, e del vento solare, arrivando molto vicino alla superficie, a meno di 10 raggi solari. Solar Orbiter, invece, oltre agli strumenti di misura del plasma solare (tra i quali uno, il Solar Wind Analyzer, con un importante contributo italiano), porterà a bordo ben 6 telescopi progettati per osservare il Sole dalla sua superficie fino alla corona e al vento solare. Misurando le oscillazioni della superficie solare, sarà anche in grado di ottenere informazioni sull’interno del Sole. Solar Orbiter ci darà quindi un quadro completo del Sole, dall’interno fino al vento solare, da una distanza mai raggiunta prima da telescopi solari».

Al suo strumento, Metis, quali compiti spetteranno?

«Metis è il coronografo di Solar Orbiter. Costruito in massima parte in Italia, osserverà la corona del Sole dalla sua parte più interna fino alle zone percorse da Parker Solar Probe, completando perciò le informazioni fornite dalle misure in situ di quella sonda. Potremmo dire che Solar Orbiter, con Metis, prenderà delle foto delle zone della corona solare attraversate e misurate da Parker Solar Probe. Ma c’è un secondo aspetto che distingue Solar Orbiter da Parker Solar Probe».

Quale?

«L’orbita inclinata rispetto all’orbita terrestre. Per la prima volta dei telescopi potranno osservare le regioni polari del Sole, che dalla Terra o dallo spazio nei nostri dintorni sono praticamente invisibili. E da tempo sappiamo che lo studio dei campi magnetici polari del Sole è una delle chiavi per capire l’attività e la variabilità della nostra stella».