INTERVISTA ALLO STORICO ROBERTO LALLI

Einstein, la “rinascita” dopo la morte

L’ultimo numero della rivista EpjH è uno speciale dedicato al rinascimento della teoria della gravità. Un risultato, spiega a Media Inaf Roberto Lalli, dovuto anzitutto a fattori sociali ed epistemici. E la recente osservazione delle onde gravitazionali è l’apice di quel processo iniziato negli anni Cinquanta

     14/07/2017

C’è stata un’epoca nella quale la Relatività generale veniva snobbata. A raccontarlo oggi sembra impossibile, con il Gps ormai su tutti gli smartphone e il volto di Albert Einstein che ci mostra la linguaccia da poster e t-shirts. Eppure, nel periodo che va da metà degli anni Venti (dunque una decina d’anni dopo la sua formulazione) a metà degli anni Cinquanta, la regina delle teorie della fisica contemporanea, uno dei due pilastri – insieme alla meccanica quantistica – sui quali si regge la nostra descrizione della realtà, attraversò una lunga fase di stagnazione. Quasi tre decenni durante i quali la maggior parte dei fisici teorici sembrò perdere interesse per la nuova teoria della gravità, considerandola poco più che una messa a punto, con qualche piccola correzione, della gravità newtoniana. Tanto che, per riferirsi all’epoca successiva alla Seconda Guerra Mondiale, la parola scelta dagli storici della fisica per descrivere la svolta nei confronti della Relatività generale è “rinascimento”.

Ed è proprio al rinascimento della teoria della gravità che è dedicato l’ultimo numero della rivista EpjH (European Physical Journal H): un numero speciale a cura di Alexander Blum, Domenico Giulini, Roberto Lalli e Jürgen Renn, introdotto da un editoriale intitolato, appunto, “The Renaissance of Einstein’s Theory of Gravitation”. Abbiamo raggiunto a Berlino uno degli autori, Roberto Lalli, ricercatore in Storia delle scienze fisiche moderne al Max Planck Institute for the History of Science. Ne è uscita una lunga intervista che, spaziando dalla storia all’epistemologia, finisce per toccare argomenti d’attualità scientifica e non solo, dalla gravità quantistica fino al dibattito presente in questi giorni su molti giornali a seguito dello sfogo di uno storico che ha lasciato la ricerca per vendere ricambi d’auto.

Lalli, partiamo dalla parola che avete scelto per la raccolta: “rinascimento”. È un termine forte, fa subito pensare che sia stato preceduto da una sorta di medioevo…

«Il termine “renaissance of general relativity” non è di nostra invenzione, ma è un’espressione introdotta dal fisico relativista Clifford Will nel 1986 per descrivere il fenomeno cui noi abbiamo deciso di dedicare questo numero della rivista EpjH. In generale, gli storici della fisica moderna e i fisici interessati alla storia della loro disciplina sono d’accordo con questa espressione anche se le cause, la dinamica e le caratteristiche del processo (che potremmo definire il ritorno della relatività generale nella ricerca mainstream in fisica entro la fine degli anni Sessanta) sono tuttora oggetto di dibattito storiografico. Il numero speciale di EpjH da noi edito s’inserisce in tale dibattito. Detto questo, è importante definire in maniera chiara cosa noi intendiamo per “rinascita” della Relatività generale».

Roberto Lalli, ricercatore in storia delle scienze fisiche moderne presso il Max Planck Institute for the History of Science di Berlino

Ecco, che cosa intendete?

«In breve, nel periodo tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta la teoria della gravitazione di Einstein ritorna a essere considerata da un numero crescente di esperti come una teoria “fisica” a pieno titolo, ossia non come base per sviluppi di teorie più generali (per esempio la teoria unificata dei campi gravitazionale ed elettromagnetico, o la quantizzazione delle equazioni di Einstein), ma in quanto depositaria di nuove previsioni empiriche. Mentre nel periodo precedente (denominato “low-water mark” dallo storico della fisica Jean Eisenstaedt) era diffuso un certo scetticismo nei confronti delle predizioni estreme della Relatività generale (come l’esistenza delle singolarità spazio-temporali e delle onde gravitazionali), dalla seconda metà degli anni Cinquanta è evidente un cambio di approccio. Alcuni studiosi iniziarono ad affermare esplicitamente che era necessario studiare a fondo la teoria di Einstein e tutte le sue implicazioni fisiche prima di poter eventualmente produrre una teoria unificata delle varie forze».

Ed Einstein? Era consapevole di questo scetticismo verso la sua teoria?

«Einstein era certamente consapevole di vari aspetti della stagnazione della Relatività generale almeno nel periodo tra gli anni Trenta fino all’anno della sua morte, nel 1955. Lui per primo si mostrava scettico verso alcune delle conseguenze estreme della teoria. Inoltre, Einstein spese gli ultimi trent’anni della sua vita nel tentativo di modificare la Relatività generale con l’obiettivo di formulare una teoria unificata del campo gravitazionale ed elettromagnetico. In altre parole, lui fu uno dei protagonisti della stagnazione della Relatività generale come teoria fisica, se includiamo nella definizione di stagnazione la sfiducia verso alcuni elementi predittivi della teoria e l’obiettivo di sostituirla con una più generale. In aggiunta, Einstein era convinto che anche il suo lavoro sulla teoria unificata fosse del tutto marginale rispetto alle ricerche in fisica teorica del periodo».

Era davvero così?

«Ricerche storiche hanno mostrato che tale ambito di ricerca sulla teoria unificata fosse certamente minoritaria, ma non stagnante. Ciononostante, Einstein percepiva la sua figura e la sua ricerca come isolate rispetto agli interessi della comunità scientifica del periodo. Questa sensazione è evidente nelle parole che Einstein scrisse a un suo amico nel 1942: “I have become a lonely old chap, mainly known because he doesn’t wear socks and who is exhibited as a curiosity on special occasions”.  Sfortunatamente, Einstein non ebbe modo di vedere una crescita dell’interesse verso la sua teoria negli anni Cinquanta. Caso volle che l’anno della sua morte abbia coinciso con l’organizzazione della prima conferenza internazionale dedicata alla teoria della relatività generale (a Berna nel 1955), evento che è considerato da molti come l’inizio della rinascita della Relatività generale. In breve, Einstein sicuramente percepiva la teoria come transitoria e lui stesso si adoperò molto per formulare una teoria che la potesse superare. Allo stesso tempo, aveva la consapevolezza che anche questo programma fosse marginale. La sua visione della stagnazione della Relatività generale era, in altre parole, anche più negativa rispetto alla nostra valutazione. Per noi il lavoro sulla teoria unificata dei campi durante il periodo della stagnazione della Relatività generale costituisce uno degli elementi per la successiva rinascita della Relatività generale come teoria fisica».

Poi cos’è accaduto? Quali sono stati gli eventi che hanno innescato il “rinascimento”?

«Molti ritengono che tale rinascita sia stata una semplice conseguenza di alcune scoperte fondamentali: delle quasar (1963), della radiazione cosmica di fondo (1965) e delle pulsar (1967). In altre parole, tale processo non sarebbe altro che la semplice conseguenza degli sviluppi tecnologici legati alle ricerche militari durante la Seconda Guerra Mondiale e i primi anni della Guerra Fredda che hanno permesso di fare nuove scoperte e di realizzare nuovi test della teoria. Per noi non è così. Tale rinascita ebbe inizio prima di queste scoperte, già negli anni Cinquanta, per motivi che non hanno relazione diretta con le innovazioni tecnologiche».

Che genere di motivi?

«Il periodo della stagnazione fu caratterizzato da una forte dispersione delle attività di ricerca verso obiettivi molto diversi tra loro, quali l’unificazione delle forze gravitazionale ed elettromagnetica, la formulazione di modelli cosmologici, gli sviluppi matematici della teoria, e i tentativi di quantizzare il campo gravitazionale. Questi approcci erano caratterizzati da una forte dispersione sia epistemica, sia sociale con scambi scarsi se non nulli tra i diversi esperti. Fino agli anni Cinquanta non esisteva un campo di ricerca identificabile come “Relatività generale”. Le diverse attività di ricerca costituivano, comunque, un potenziale, seppur disperso, che fu attivato grazie alle nuove condizioni sociali della fisica del secondo dopoguerra. Intorno alla metà degli anni Cinquanta alcuni piccoli centri di ricerca erano attivi in uno dei vari programmi sopra menzionati: per esempio, l’ex collaboratore di Einstein Peter Bergmann portava avanti il progetto di quantizzare la Relatività generale alla Syracuse University; a Cambridge l’astronomo inglese Fred Hoyle era molto influente come proponente della teoria cosmologica dello stato stazionario; alla Princeton University il noto fisico nucleare John Wheeler aveva iniziato a sviluppare il suo progetto di teoria unificata partendo da concetto di geone, un’entità gravitazionale-elettromagnetica. Tali centri di ricerca furono enormemente favoriti dalle trasformazioni generali della dimensione sociale della fisica, dovuti principalmente all’aumento d’importanza della fisica negli sviluppi militari e per la sicurezza nazionale durante la Seconda Guerra Mondiale. Studi teorici sulla gravitazione furono favoriti da questi sviluppi generali grazie a un flusso di talenti e fondi senza precedenti. Una parte di questi fondi scaturì dalla vaga speranza di finanziatori privati ed enti militari di poter realizzare apparati anti-gravitazionali, specialmente negli Stati Uniti».

È quasi paradossale che a favorire il riconoscimento della grandezza di Einstein abbiano contribuito, dal punto di vista economico, la ricerca in ambito militare e gli studi sull’antigravità… E il flusso di talenti?   

«Un elemento cruciale nella dinamica della rinascita della Relatività generale fu il consolidarsi della tradizione di “pellegrinaggio post dottorato” (“postdoc cascade”). L’aumento esponenziale di nuovi dottorati in fisica teorica fece sì che molti di loro trascorressero anni in diversi centri di ricerca, spesso in nazioni diverse, come post-dottorandi. La mobilità di questi giovani ricercatori contribuì notevolmente a creare e rafforzare i collegamenti e la comunicazione tra i diversi centri di ricerca, il che portò al fruttuoso trasferimento di strumenti teorici, concetti, e problemi tra i diversi centri e, quindi, da una tradizione di ricerca a un’altra. Grazie a questa mobilità di persone, strumenti teorici e concetti la dispersione caratterizzante il periodo precedente divenne un vantaggio: i progressi compiuti nei diversi centri di ricerca poterono essere combinati con nuove domande e nuovi metodi. Favorito da questi trend generali, fu rilevante il tentativo conscio da parte di alcuni di costituire un’unica comunità di esperti che raggruppasse le diverse tradizioni di ricerca sotto un unico campo di ricerca generale chiamato “General Relativity and Gravitation,” o GRG in breve».

Di che periodo stiamo parlando?

«L’attività di costruzione di tale comunità internazionale iniziò nel 1955 con l’organizzazione, come dicevo, della prima conferenza internazionale sulla Relatività generale a Berna e fu istituzionalizzata già nel 1959 con la formazione della International Committee on General Relativity and Gravitation, la quale si trasformò nella International Society on GRG nel 1974. Tali cambiamenti sociali crearono un ambiente favorevole per l’integrazione di campi di ricerca diversi entro un unico campo di ricerca chiamato GRG. Questi cambiamenti crearono le condizioni per l’emergere di un campo di ricerca coerente che investigasse la teoria della Relatività generale e le sue implicazioni e, allo stesso tempo, per la costruzione di una comunità che si dedicasse a questa ricerca. Tale processo, in altre parole, portò alla co-creazione di programmi di ricerca centrati sullo sviluppo della teoria e la comprensione delle sue implicazioni fisiche e di una comunità dedita alla ricerca in questo campo di ricerca. Per questo noi consideriamo la rinascita della Relatività generale come il risultato della interconnessione tra i fattori sociali e epistemici sopra descritti».

E oggi? Come sta la Relatività generale, vista da uno storico della scienza?

«Non è facile parlare della contemporaneità dal punto di vista della storia della scienza. Quello che si può forse dire è che, se consideriamo il quadro storico della rinascita della Relatività generale come da noi presentata, la recente osservazione delle onde gravitazionali si possa considerare l’apice di quel processo di rinascita iniziato negli anni Cinquanta. Le origini delle ricerche sperimentali sulle onde gravitazionali, infatti, si possono senz’altro ricondurre al processo che abbiamo cercato di descrivere, in particolare con i primi tentativi da parte di Joseph Weber di creare un’antenna gravitazionale, i quali ebbero inizio nel 1960. Una serie di sviluppi successivi hanno portato più di mezzo secolo dopo all’effettiva scoperta».

Per il futuro, invece, cosa possiamo attenderci?

«Dal punto di vista dell’evoluzione scientifica possiamo tranquillamente immaginare che l’osservazione delle onde gravitazionali diverrà man mano uno strumento della scienza “normale,” in senso kuhniano, alla base di nuove scoperte e osservazioni, rinforzando in questo modo la posizione della teoria della Relatività generale come un pilastro della nostra conoscenza del mondo fisico. Dal punto di vista della teoria delle interazioni fondamentali, invece, il discorso è molto diverso. È ben noto che è molto difficile armonizzare la Relatività generale, sulla quale si basa la nostra interpretazione della forza gravitazionale, e la teoria quantistica dei campi, sulla quale si basa la descrizione delle altre interazioni fondamentali. La formulazione di una teoria unitaria superiore è l’obiettivo principale di numerosi fisici teorici, ma la direzione verso la quale si debba andare è ancora indefinita e controversa».

In che senso?

«Gli esperti non sono stati ancora in grado di formulare dei criteri chiari e condivisi per poter indirizzare la ricerca nell’ambito della gravità quantistica e siamo in un periodo di grande dispersione e conflitto tra i proponenti dei vari approcci dalla teoria delle stringhe alla gravità quantistica a loop. Si potrebbe dire che siamo forse in un periodo di stagnazione per quanto riguarda questo ambito di ricerca teorica e non è chiaro al momento quali elementi possano essere utili per portare a un progresso, anche se la speranza è che informazioni chiave possano venire dalle ricerche sperimentali. Un’ultima considerazione riguarda la materia oscura. Il nostro apparato teorico standard prevede la sua esistenza, ma i tentativi di osservarla sono finora falliti. Se dovessero fallire ancora in futuro, è possibile che si entri in un periodo di crisi profonda che potrebbe portare a nuovi sviluppi teorici rivoluzionari, non facilmente prevedibili».

Torniamo al presente. Non ci capita spesso d’intervistare uno storico, su Media Inaf. Lei è appunto uno storico, seppure della scienza. Sta seguendo, lì da Berlino, il dibattito in corso in questi giorni sui media italiani partito da una lettera di un suo collega, lo storico dell’integrazione europea Massimo Piermattei? Cosa ne pensa?

«Sono a conoscenza della lettera scritta da Massimo Piermattei perché l’ho letta sul sito Roars-Return on Academic Research. Non ero a conoscenza del dibattito, e quello che mi stupisce è che ci sia bisogno di tali eventi per aprire un confronto su temi che, sfortunatamente, sono ben noti. Io non ho vissuto personalmente una situazione simile a quella descritta da Piermattei, per il semplice motivo che dalla fine del dottorato (ottenuto in Italia nel 2011) in poi ho sempre lavorato all’estero: due anni al Mit come postdoc e quattro anni al Max Planck Institute for the History of Science come Research Scholar. Per tali ragioni non ho avuto alcun modo di entrare molto in contatto con la realtà della precarietà della ricerca accademica in Italia, anche se conosco benissimo il mondo della precarietà accademica internazionale che riguarda molti postdoc (su questo tema rimando all’ottimo articolo di Massimo Sandal, che non si riferisce alla situazione italiana). In generale, ritengo che il tema della precarietà accademica non sia certamente un fenomeno solamente italiano, ma in Italia tale fenomeno è amplificato da sue caratteristiche specifiche quali il salario inferiore rispetto a quello in altri paesi, lo scarso riconoscimento sociale, e una serie di situazioni lavorative difficili e a volte umilianti, come quelle descritte nella lettera di Piermattei».

Rispetto a chi fa ricerca in campo storico in generale, la storia della scienza può dirsi privilegiata, in questo senso?

«La mia esperienza nel dottorato di ricerca in Italia è stata positiva e sono molto grato dell’opportunità che mi è stata data di studiare con una borsa di studio. Come detto, non ho avuto modo di far parte di strutture universitarie italiane dopo il mio dottorato, ma sono certo che i casi descritti nella lettera non sono rari e certamente la storia della scienza non è privilegiata in alcun modo. È probabile che ci siano grosse differenze tra scienze naturali, scienze sociali e studi umanistici, anche perché l’organizzazione della ricerca è diversa nei vari casi. La storia della scienza in ogni caso fa parte degli studi umanistici e, come tale, soffre degli stessi problemi identificati da Piermattei».


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