A UN SECOLO DALLA FORMULAZIONE DELLA TEORIA

Pesata una stella con la bilancia di Einstein

Storico risultato oggi su Science: ottenuta la prima misura della massa di una stella – una nana bianca – osservando con Hubble la deviazione della luce dovuta al microlensing gravitazionale. Ne parliamo con tre degli autori: Andrea Bellini, Annalisa Calamida e Stefano Casertano

     07/06/2017

Ecco come la gravità della nana bianca (la “white dwarf” al centro) ha deformato lo spazio, imprimendo così una traiettoria curva alla luce della stella alle sue spalle. Risultato: invece di vederla nella sua posizione reale, Hubble la osserva un po’ spostata. Ed è proprio misurando questo scostamento che gli astronomi sono riusciti a calcolare la massa della nana bianca. Crediti: Nasa, Esa e A. Feild (Stsci)

È una nana bianca la stella che passerà alla storia per essere stata la prima “pesata” grazie ad Albert Einstein. Una piccola nana bianca dal nome dimenticabile – Stein 2051 B – ma dagli effetti gravitazionali sufficienti a spostare l’ago della “bilancia” quanto basta per essere misurata dall’occhio senza eguali del telescopio spaziale Hubble. Di Hubble e del cocciuto team di astrofisici che ha condotto l’osservazione – anzi, le osservazioni: ben otto, fra l’ottobre 2013 e l’ottobre 2015 – arrivando a registrare il valore riportato oggi su Science: la massa della nana bianca è pari a circa il 68 per cento di quella del Sole.

La “bilancia” usata per questa misura senza precedenti è in realtà un fenomeno naturale: quello noto come lente gravitazionale. Microlente, in questo caso: l’effetto di lensing, infatti, di solito si osserva quando la lente è un’intera galassia, o meglio ancora un ammasso di galassie. Questa volta, invece, a fare da lente è stata una semplice stella. Anzi: la stella: la nostra nana bianca Stein 2051 B. Quella “pesata”. Già, perché è proprio misurandone l’effetto di lensing sulla luce proveniente da un’altra stella, posta quasi alle sue spalle, che il team di astrofisici guidato da Kailash Sahu dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, negli Stati Uniti, è riuscito a risalire a ritroso alla massa della nana bianca.

Misura senza precedenti, dicevamo, ma in realtà un precedente c’è. Un precedente entrato a pieno diritto nei manuali di storia della scienza. Un precedente che risale al 29 maggio 1919. Quel giorno un’eclissi totale di Sole fornì per la prima volta la prova inequivocabile che l’incredibile descrizione della realtà pubblicata tre anni e mezzo prima da Albert Einstein – la teoria della relatività generale – era quella in grado di fornirci le previsioni più corrette su come funziona l’universo.

Albert Einstein, Science 84 (1936), p. 506. Crediti: AAAS

Però, in quel caso, a deflettere il percorso della luce con il “peso” della deformazione impressa sullo spaziotempo non era una stella qualsiasi: era il Sole. Sarebbe mai stato possibile sfruttare il fenomeno per “pesare” una stella? Lo stesso Einstein se lo domandava nel 1936 su Science, ma era a dir poco scettico al riguardo: essendo le stelle così lontane fra loro, scriveva, “non c’è speranza di poter osservare il fenomeno direttamente”. Non solo: la deviazione sarebbe stata comunque troppo piccola rispetto al potere risolutivo degli strumenti disponibili. E se soltanto oggi si è riusciti in questa misura, a quasi un secolo di distanza dall’eclissi del 1919, è segno che lo scetticismo di Einstein era quanto mai giustificato.

«È una misura estremamente difficile, sia perché la deviazione gravitazionale è molto piccola, sia perché la stella deviata è 400 volte più debole di quella che causa la deviazione», conferma a Media Inaf uno dei coautori dello studio, Andrea Bellini. «È come cercare di osservare una lucciola che passa davanti a una (debole) lampadina a 100 km di distanza, e devia di un mm dalla sua strada nell’arco di due anni… Solo con gli strumenti più recenti di Hubble, come la Wide Field Camera 3 installata nel 2009, è stato possibile effettuare questa osservazione. Per vedere un evento del genere, bisogna che due stelle passino molto vicine l’una all’altra – entro una frazione di secondo d’arco. Questo evento è stato previsto molti anni prima che accadesse, e ora ne traiamo i frutti».

Andrea Bellini, support scientist allo Space Telescope Science Institute (stsci) di Baltimora

Nato a Legnago, laurea e dottorato all’università di Padova, Bellini è uno dei tre astrofisici italiani in forze allo Space Telescope Science Institute che hanno preso parte allo studio. Oltre alla sua, troviamo le firme di Stefano Casertano – nato a Napoli, laurea a Pisa e perfezionamento alla Normale, allo Stsci dal 1994 – e di Annalisa Calamida – nata a Roma, laurea e dottorato a Tor Vergata, dal 2012 anche lei a Baltimora.

E proprio con Calamida cerchiamo di capire se questa misura, oltre a rappresentare un virtuosismo da record dal punto di vista osservativo, è anche una misura interessante in sé, per il suo valore scientifico. «Conoscere la massa di una nana bianca è importante perché circa un quarto della massa stellare presente nell’universo si trova attualmente in queste stelle e quasi tutte le stelle moriranno come nane bianche», spiega Calamida. «Questa misura è quindi molto importante per avere una stima della massa stellare presente nell’universo. Inoltre, le stelle perdono gran parte della loro massa iniziale durante la loro evoluzione prima della fase di nana bianca. Una misura diretta della massa delle nane bianche può aiutare gli astronomi a quantificare la massa che è stata persa e l’età della stella. E, quindi, a comprendere i meccanismi di evoluzione chimica della nostra e di altre galassie».

«Una misura diretta della massa di una nana bianca è anche fondamentale per provare l’esistenza di materia in condizioni degeneri nell’universo», aggiunge Calamida, «e quindi confermare le predizioni teoriche sul suo stato e comportamento. In particolare, la misura accurata della massa di Stein 2051B ci ha permesso non solo di provare che questa stella segue le predizioni teoriche sulla relazione fra la massa e il raggio di una nana bianca (più la nana bianca è massiccia, più il raggio è piccolo) ma anche di stimare la sua età, compresa fra circa 2 e 4 miliardi di anni. Questa stima è in accordo con i modelli teorici di evoluzione stellare e con l’età attuale dell’universo, a differenza delle vecchie stime che facevano di questa nana bianca una stella più antica dell’universo stesso».

Annalisa Calamida, support scientist allo Stsci per lo strumento Wide Field Camera 3 dello Hubble Space Telescope, e Stefano Casertano, observatory scientist allo Stsci

Insomma, è stata una misura impervia, ma i risultati ottenuti dicono che ne valeva abbondantemente la pena. E adesso? Ora che hanno la conferma che è possibile usare il microlensing gravitazionale per stabilire la massa delle stelle, hanno intenzione di far salire altri soggetti sulla bilancia di Einstein? «Sì, stiamo seguendo altre stelle, tutte con Hubble», anticipa a Media Inaf Casertano. «Tra esse c’è Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole. Ancora più interessante è un programma d’osservazioni con cui potremo scoprire, e pesare, buchi neri tutt’ora sconosciuti proprio dalla deviazione gravitazionale di stelle (luminose) alle quali passano davanti. Abbiamo osservato un campo stellare vicino al centro della Via Lattea per tre anni, e adesso stiamo analizzando i dati ottenuti. Ma è ancora presto per sapere se avremo successo».

Per saperne di più: