L’INTERRUZIONE PRIMA DEL TOUCHDOWN

ExoMars, persi i contatti con Schiaparelli

Il lander della missione europea ha interrotto le comunicazioni poco prima di toccare il suolo marziano. Il motivo è per ora sconosciuto. Rimangono alcuni giorni di tempo per tentare di ristabilire un collegamento. L’ESA è ora in attesa dei dati dall’orbiter, TGO, che invece è entrato in orbita come previsto

     20/10/2016
La replica in scala 1:1 del lander Schiaparelli presso lo European Space Operations Centre dell'ESA a Darmstadt, Germania. Crediti: Media INAF

La replica in scala 1:1 del lander Schiaparelli presso lo European Space Operations Centre dell’ESA a Darmstadt, Germania. Crediti: Media INAF

Doveva essere una notte di festa. Meriterebbe di essere una notte quanto meno in agrodolce, visto il successo dell’ingresso in orbita marziana di TGO. È invece una notte di ansia e di attesa, questa che è calata su Darmstad, in Germania, nella sede dell’ESOC, il centro di controllo delle missioni dell’Agenzia spaziale europea. Una notte che l’intero team di ExoMars sta trascorrendo a cercare di capire cos’è accaduto pochi istanti prima del previsto touchdown del lander (il modulo di discesa) intitolato all’astronomo italiano Schiaparelli. E cercando di ristabilire quel contatto tanto agognato che permetterebbe, finalmente, d’esorcizzare il fallimento di Beagle 2.

«Abbiamo perso il segnale, questo è chiaro», dice il responsabile delle operazioni di missione ESA Paolo Ferri, «ma non è affatto chiaro a che punto lo abbiamo perso, e per quale ragione».

Paolo Ferri intervistato subito dopo la perdita di contatti con Schiaparelli. Crediti: Media INAF

Paolo Ferri intervistato a ESOC subito dopo la perdita di contatti con Schiaparelli. Crediti: Media INAF

Ma cos’è accaduto? Cerchiamo di rimettere in fila ciò che sappiamo facendo un passo indietro. Riavvolgiamo dunque il nastro fino alle 15:05 ora italiana di ieri, mercoledì 19 ottobre, quando l’orbiter (la sonda destinata, appunto, a rimanere in orbita) TGO aziona i razzi che gli consentono di rallentare di circa 1.5 km al secondo. Una frenata lunga 2 ore e 19 minuti, al termine della quale TGO entra correttamente in orbita ellittica attorno al Pianeta rosso, andando così ad affiancare l’altro orbiter europeo, Mars Express, già lì all’opera da 12 anni. Un indubbio successo, dunque, ma messo per il momento in congelatore in attesa di conoscere le sorti del suo compagno di viaggio, il lander Schiaparelli.

Quest’ultimo, un “vassoio” da oltre mezza tonnellata pieno di tecnologia italiana, da domenica scorsa in viaggio da solo, attorno alle 15:27 inizia a inviare segnali captati dal più grande array interferometrico del mondo, il Giant Metrewave Radio Telescope (GMRT) di Pune, in India: una schiera d’una trentina d’antenne da 45 metri di diametro ciascuna. Si unisce all’ascolto anche Mars Express. E tutto fila liscio fino all’ingresso del modulo nell’atmosfera marziana, avvenuto come da tabella di marcia alle 16:42 ora italiana, alla velocità di 21mila km/h.

Da quell’istante, parte un countdown di circa sei minuti – per l’esattezza, 5 minuti e 53 secondi – durante i quali il lander deve compiere, in modo completamente autonomo, una sequenza rigidamente cadenzata di operazioni cruciali per rallentare la velocità di caduta fino a 4 km/h: aprire il paracadute (siamo a 3’21”), sganciare lo scudo termico e azionare il radar di bordo (4’01”), staccarsi dal paracadute (5’22”), azionare i retrorazzi (5’23”), spegnerli (5’52”) e, infine, adagiarsi sul suolo marziano (5’53”).

Ebbene, a un punto ancora indefinito di questi sei minuti – che gli scienziati della missione chiamano, ora capiamo bene perché, i sei minuti di terrore – qualcosa va storto. Le comunicazioni si interrompono. Il segnale va perduto. E non a causa dei ricevitori.

«L’abbiamo perso allo stesso istante, prima del momento previsto di touchdown, sia da Pune sia da Mars Express», sottolinea Ferri, «dunque sappiamo che il problema è Schiaparelli». Ma ciò che non si conosce è in quale istante. «Non sappiamo ancora con certezza se il paracadute si è aperto, lo sapremo con la telemetria. Ma è certo che il problema si è verificato molto avanti nella sequenza di discesa, dunque ci sono buone possibilità che la fase del paracadute abbia funzionato», osserva Ferri, per il quale un successo del paracadute sarebbe comunque un’ottima notizia, essendo Schiaparelli anzitutto un modulo di test, con obiettivo primario quello di preparare la strada alla missione con rover del 2020. «Ma per ora è solo un’ipotesi», ribadisce lo stesso Ferri.

Un’altra ipotesi emersa in serata è che possa non aver funzionato un’antenna. «Abbiamo due antenne», spiega Ferri, «una attiva prima del distacco del backshell [ndr: la parte superiore del guscio protettivo], una dopo, quando il backshell si separa insieme al paracadute. Se il malfunzionamento è stato registrato in quell’istante, si potrebbe pensare che ci sia un problema con la seconda antenna. Non sarebbe una buona notizia: se si è rotta, si è rotta. Ma, come dicevo, è solo un esempio di cose che potrebbero essere andate male».

Quale problema abbia avuto Schiaparelli lo sapremo non prima della conferenza stampa in programma oggi alle 10, sempre che abbia successo la corsa contro il tempo per analizzare i dati di telemetria raccolti da TGO e attesi a ESOC, spiega Ferri ai microfoni di Media INAF, attorno a mezzanotte.

C’è ancora speranza di ristabilire un contatto? Secondo Ferri sì. Tanto che già sono state programmate finestre di ascolto, per un eventuale segnale dal lander, da parte delle sonde orbitanti Mars Express dell’ESA, Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) e Mars Atmosphere & Volatile Evolution (MAVEN) della NASA e, ancora, con il Giant Metrewave Radio Telescope.

Ma se così fosse, a causa della limitata autonomia delle batterie non rimarrebbe comunque molto tempo. «Se c’è qualche possibilità per tentare una recovery strategy, ci restano un paio di giorni», dice Ferri. «Poi, per capire cos’è successo avremo poi più tempo. Ma ora la mia speranza è che, guardando la telemetria, vediamo cos’è accaduto e decidiamo che forse possiamo tentare questo, e quest’altro e quest’altro ancora».

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