LA RICERCA DELLA VITA SU ALTRI PIANETI

C’è azoto lì fuori?

Le osservazioni di questo gas nell'atmosfera terrestre da un veicolo spaziale a 27 milioni di chilometri di distanza stanno dando agli astronomi indizi di come il gas potrebbe manifestarsi su pianeti lontani

     04/09/2015
La Terra vista dal satellite della NASA Deep Space Climate Observatory nel luglio 2015. Crediti: NASA

La Terra vista dal satellite della NASA Deep Space Climate Observatory nel luglio 2015. Crediti: NASA

Osservare l’azoto su altri pianeti? Potrebbe essere possibile in futuro grazie alle osservazioni che già vengono effettuate dallo spazio dell’azoto presente nell’atmosfera terrestre. Grazie alle sonde  a milioni di chilometri di distanza da noi si può determinare la quantità di gas sulla Terra e, come sappiamo, l’azoto è un elemento fondamentale – con carbonio, ossigeno e idrogeno, alla costruzione dei “mattoni” che danno la vita.

Provando a rilevare l’azoto fuori dal Sistema solare, quindi, gli esperti cercano forme di vita su altri pianeti o comunque cercano pianeti potenzialmente abitabili. Perché? L’azoto può fornire indizi importanti sulla pressione dell’atmosfera sulla superficie: se l’azoto è abbondante nell’atmosfera di un pianeta, quel mondo ha quasi certamente la giusta pressione per mantenere liquida l’acqua sulla sua superficie (una delle condizioni necessarie per la vita).

In uno studio pubblicato a fine agosto su The Astrophysical JournalEdward Schwieterman, Victoria Meadows e il loro team di ricercatori mostrano come un grande telescopio del futuro potrà essere in grado di rilevare questa traccia nelle atmosfere pianeti terrestri (rocciosi). Per adesso, però, le osservazioni effettuate dallo spazio e verso la Terra con il satellite Deep Impact Flyby, lanciato dalla NASA nel 2005, da oltre 27 milioni di chilometri di distanza. I ricercatori hanno utilizzato dei dati tridimensionali ottenuti nel Virtual Planetary Laboratory dell’Università di Washington per simulare come la firma dell’azoto appare nell’atmosfera terrestre, confrontando poi questi dati con quelli del satellite NASA.

Basta quindi solo andare in cerca di azoto e ossigeno su pianeti extrasolari e il gioco è fatto? Non è esattamente così, perché l’azoto è un elemento difficile da rilevare da grandi distanze. Il modo migliore per farlo è di misurare le molecole di azoto collidere le une con le altre. Le coppie che si vengono a creare mostrano delle uniche strutture spettroscopiche.

La stessa missione aveva una “seconda parte”, EPOXI, che oltre a compiere un fly by di Hartley 2, prevedeva l’osservazione e la caratterizzazione della Terra come se si trattasse di un pianeta extrasolare. Confrontando i dati reali della missione EPOXI e i dati dai modelli del Virtual Planetary Laboratory, gli autori sono stati in grado di confermare la presenza delle collisioni di azoto nella nostra atmosfera e che potrebbero essere visibili anche a un osservatore distante. Ha detto Schwieterman: «utilizzare la Terra come un pianeta extrasolare è importante perché siamo stati in grado di confermare che l’azoto produce un impatto sullo spettro del nostro pianeta visto da un veicolo spaziale lontano. Questo ci dice che vale la pensa guardare altrove».

Per saperne di più:

Leggi QUI l’articolo pubblicato su The Astrophysical Journal“Detecting and Constraining N2 Abundances in Planetary Atmospheres Using Collisional Pairs”, di  Edward W. Schwieterman et al.