INO, UN TELESCOPIO TUTTO IRANIANO DA 3.4 METRI

Notti persiane

Esce oggi su Science uno speciale dedicato alla scienza in Iran. Fra le prospettive che si potrebbero concretizzare con la rimozione delle sanzioni, c’è anche la costruzione di un osservatorio astronomico. Ne parliamo con Piero Salinari, dell’INAF di Arcetri, esperto a livello internazionale nel campo dell’ottica adattiva

     04/09/2015
Il cielo sopra Mount Gargash. Crediti: TWAN/Babak A. Tafreshi

Il cielo sopra Mount Gargash. Crediti: TWAN/Babak A. Tafreshi

Parlando di Iran, dici scienza e inevitabilmente il pensiero corre al nucleare. Ma è una visione a dir poco limitata. Perché sono numerosi i campi nei quali, nonostante la povertà e l’isolamento internazionale, gli scienziati iraniani hanno perseguito in questi anni difficili un programma ambizioso. E quando le sanzioni finiranno, la ricerca sboccerà. Così prevede un avvincente “speciale” – firmato da Richard Stone, pubblicato sul numero odierno di Science e liberamente accessibile in rete – interamente dedicato alla scienza in Iran.

Numerosi campi, dicevamo, fra i quali anche l’astronomia. Anzi, soprattutto l’astronomia: se tutto andrà secondo i programmi, nel giro di cinque anni, sulla cima del monte Gargash – a 3600 metri, nel cuore dell’Iran – dovrebbe entrare in funzione INO (l’acronimo inglese sta per Iranian National Observatory): un telescopio da 3.4 metri tutto iraniano. Un telescopio che gli astronomi locali sognano da lungo tempo, come ben sa Piero Salinari, astrofisico dell’INAF di Arcetri ed esperto a livello mondiale nel campo delle ottiche adattive.

Salinari, chi sono, e quanti sono, gli astronomi iraniani oggi?

«Quelli che si occupano di astrofisica osservativa direi pochi: dispongono di vecchi telescopi della classe 40-50 cm e saranno in tutto una decina di persone. Però occorre tenere conto che c’è anche una vasta comunità esterna all’Iran, emigrata all’estero. Quanto al gruppo con il quale ho avuto occasione d’interagire – una ventina di persone in tutto, fra le quali anche quattro o cinque donne, perlopiù ingegnere – si tratta di persone brillanti, molto aperte. E a parte il capo, sono tutte persone giovani».

Com’è entrato in contatto con loro?

«Li conosco da molti anni, da quando Sepehr Arbabi, un giovane iraniano, mi chiese di poter fare una visita ad Arcetri: venne, mi descrisse questo telescopio da tre metri che intendevano realizzare, e io gli dissi che avremmo potuto interagire e dar loro una mano. L’idea che avevo in mente era d’ospitare alcuni dei loro ricercatori al TNG, il Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF, alle Canarie. Per loro sarebbe stata un’ottima scuola. E chissà: dalla collaborazione si sarebbe potuta anche ricavare qualche opportunità di finanziamento, per strumenti o per il mantenimento del nostro telescopio. Arbabi andò in effetti a visitare il TNG, ma il progetto prese successivamente un’altra strada».

A proposito: il telescopio che stanno realizzando ha molto in comune, con il nostro TNG?

«È un telescopio della stessa classe, con una buona ottica. Purtroppo è però del tipo Ritchey–Chrétien: un’ottica a largo campo, dunque, utile per avere un telescopio in grado di fare immagini a grande campo, ma che ne rende più difficile – sebbene non impossibile – la trasformazione in telescopio adattivo».

Piero Salinari. Crediti: INAF/R. Cerisola

Piero Salinari. Crediti: INAF/R. Cerisola

Glielo ha fatto presente?

«Nelle ultime conversazioni che ho avuto con il direttore del progetto, Reza Mansouri, la loro intenzione, finita la prima fase di costruzione del telescopio, era di costruire un secondario di tipo tip-tilt, così da migliorare ulteriormente il seeing. Io gli ho suggerito di mettere uno specchio adattivo, visto che il costo sarebbe paragonabile. Con un 10-15 percento di aggiunta al costo del telescopio, gli ho spiegato, trasformi il tuo 3 metri e 40 nell’equivalente di un 10 metri. Semplicemente grazie allo spostamento della banda in cui si fa l’ottica adattiva. Una soluzione, questa, che secondo me può consentire la rinascita dei telescopi piccoli».

E Mount Gargash, il luogo in cui sorgerà, è adatto per un osservatorio astronomico?

«Premetto che a Mount Gargash non ci sono mai stato. Ma ho visto i dati delle loro campagne di test del seeing: sono eccellenti. Forse addirittura un po’ meglio di Mauna Kea, alle Hawaii. E nettamente migliori sia rispetto alle Canarie sia al sito dove sorge LBT, il Large Binocular Telescope, in Arizona. Hanno una statistica del seeing sotto al mezzo secondo d’arco per un quarto del tempo. Dunque un sito estremamente competitivo. D’altronde, il segreto dei siti è la quota. Ed è vero che Mauna Kea sta a 4000 metri, loro a 3600. Però evidentemente è una zona con meno turbolenza negli strati alti».

Una volta realizzato, quali potenzialità scientifiche avrà?

«È presto detto: non ci sono telescopi fra la longitudine di La Palma, alle Canarie, e quella delle Hawaii. Quindi c’è mezzo mondo senza telescopi. Ora, è vero che loro non sarebbero esattamente a metà, trovandosi a circa sessanta gradi est, ma per tutti quei fenomeni che noi astronomi chiamiamo “transienti” – fenomeni che hanno bisogno d’un’osservazione continua – avere un punto lì in mezzo, dove per 150 gradi non ci sono telescopi, permetterebbe una ricerca di prima classe».

In che senso? Ci può fare un esempio?

«Pensiamo a quando sorge il sole sul telescopio che sta alle Hawaii: chi lo può seguire il fenomeno transiente, nelle ore immediatamente successive, se alle Canarie ancora c’è luce? Nessuno. I transiti dei pianeti extrasolari, per esempio: avvengono a una certa ora, e se a quell’ora nel luogo in cui si trova il telescopio c’è luce, non puoi osservarli. Dunque è chiaro che questo rappresenta un potenziale notevole, per il telescopio iraniano. Certo, a patto che possano stabilire collaborazioni internazionali, con i gruppi che osservano dagli altri telescopi».

Ottica buona, sito eccellente, potenzialità scientifiche interessanti. Ma ce la faranno a realizzarlo?

«Mah, non lo so, non ho notizie di prima mano. Certo, il clima politico è cambiato. Tant’è vero che due mesi fa Reza Mansouri mi diceva che stanno già discutendo di una fase due, nella costruzione del telescopio. E se già pensi alla fase due, vuol dire che alla fase uno ormai sei tranquillo che ci arrivi, no?»

Ubicazione dei quattro osservatori dell'emisfero settentrionale citati nell'intervista

Ubicazione dei quattro osservatori dell’emisfero settentrionale citati nell’intervista. In sovraimpressione, la copertura giorno/notte alle 17:30 GMT del 25 luglio. Come si può vedere, l’unico telescopio in posizione notturna sarebbe quello iraniano