TELESCOPIO SPAZIALE DA 10 MILIARDI DI DOLLARI

C’è qualcuno là fuori? Potrebbe dircelo HDST

Un progetto avveniristico per l’erede di Hubble e del James Webb: un super-telescopio con uno specchio da 12 metri di diametro da porre in orbita negli anni Trenta. Per ora poco più d’un sogno, descritto però in dettaglio in un rapporto appena pubblicato da un gruppo d’astronomi Usa

     09/07/2015
Ecco come HDST vedrebbe un sistema solare gemello del nostro situato a 45 anni luce di distanza. Crediti: L. Pueyo e M. N’Diaye / STScI

Ecco come HDST vedrebbe un sistema solare gemello del nostro situato a 45 anni luce di distanza. Crediti: L. Pueyo e M. N’Diaye / STScI

Prendete un gruppo d’astronomi fra i più quotati degli Stati Uniti. Metteteli attorno a un tavolo. E chiedetegli di progettare il telescopio dei loro sogni. È più o meno quello che ha fatto l’AURA, l’Association of Universities for Research in Astronomy. Il risultato, pubblicato lunedì scorso, è un rapporto, a metà strada fra visione e realtà, che descrive il potenziale erede di Hubble e JWST. Un rapporto che ha per tempo il futuro e per modo il condizionale. Un rapporto che inizia citando il pronostico d’un astrofisico d’origini italiane, il Nobel Riccardo Giacconi.

Nel prossimo secolo – prevedeva Giacconi nel 1997 – l’umanità avrà gli strumenti per «studiare l’evoluzione dell’Universo così da porre in relazione causale le condizioni fisiche durante il Big Bang con lo sviluppo dell’RNA e del DNA». Ebbene, il prossimo secolo è adesso. «I tempi sono maturi per raccogliere quella sfida», scrivono gli autori di “From Cosmic Birth to Living Earth“. E lo strumento al quale vorrebbero affidare l’ambizioso compito ha già un nome: High Definition Space Telescope (HDST).

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Tre generazioni di telescopi spaziali a confronto: da sinistra, gli specchi dello Hubble Space Telescope, del James Webb Space Telescope e del progetto dello High Definition Space Telescope (HDST). Crediti: C. Godfrey / Space Telescope Science Institute

Nipote designato dell’ancora insuperato Hubble Space Telescope (HST) e figlio del James Webb (JWST, il cui lancio è previsto per il 2018), il visionario progetto promette, com’è ovvio, caratteristiche da far impallidire anche il più ottimista fra gli ingegneri spaziali. Vediamone un rapido identikit. Anzitutto lo specchio, che in questo caso è praticamente tutto: un occhio composito (honeycomb, come per JWST) formato da 54 segmenti, da dispiegare a destinazione fino a raggiungere 12 metri di diametro – il doppio di quello già enorme del James Webb e cinque volte quello di Hubble. Un’area di raccolta da far invidia ai migliori telescopi terrestri odierni, dunque, ma piazzata in quel punto lagrangiano secondo (L2) che – già meta di WMAP, Planck, Herschel e GAIA – è da tempo diventato il paradiso spaziale dell’astronomia. Con tutti i problemi che ne conseguono, primo fra tutti il peso: come spedire uno specchio monstre del genere a un milione e mezzo di km dalla Terra è infatti, fra i tanti aspetti che confinano l’HDST nel regno dei desideri, quello a oggi più insormontabile.

Significativamente più grande rispetto a JWST, dunque, ma anche diverso quanto a sensibilità ai “colori”. Dimensioni a parte, infatti, dal punto di vista della copertura dello spettro elettromagnetico HDST promette d’essere più simile a “nonno Hubble” che a “babbo James Webb”: sensibile quindi alla luce visibile e ultravioletta, mentre JWST si concentra sull’infrarosso. Una scelta con almeno due importanti conseguenze: l’attesa di vita e gli obiettivi scientifici. Quanto alla prima, è presto detto: niente infrarosso significa nessun bisogno di liquidi criogenici, destinati prima o poi a esaurirsi. Potendo operare a temperatura ambiente, HDST potrà lavorare per parecchi anni.

Prestazioni a confronto. In queste due immagini, la risoluzione con la quale Hubble vede una galassia a 10 miliardi di anni luce confrontata con una simulazione di quanto promette di fare HDST. Crediti: D. Ceverino, C. Moody, G. Snyder e Z. Levay / STScI.

Prestazioni a confronto. In queste due immagini, la risoluzione con la quale Hubble vede una galassia a 10 miliardi di anni luce confrontata con una simulazione di quanto promette di fare HDST. Crediti: D. Ceverino, C. Moody, G. Snyder e Z. Levay / STScI.

E gli obiettivi scientifici? Premesso che a un mostro del genere si può chiedere praticamente tutto ciò che un astronomo non ha mai osato domandare, se la sensibilità all’infrarosso del James Webb lo rende particolarmente adatto allo studio delle stelle e delle galassie più remote, terreno d’elezione di HDST sono invece corpi celesti piccoli e relativamente vicini: gli esopianeti. In particolare, quelli che orbitano attorno alle circa 600 stelle presenti nel raggio d’un centinaio d’anni luce da noi. Stando alle stime che ci ha lasciato la sonda NASA Kepler, circa una su dieci di queste stelle potrebbe ospitare un pianeta – con dimensioni paragonabili al nostro – in “zona abitabile”: vale a dire, là dove la temperatura è compatibile con la vita così come la conosciamo. In altre parole, qualche dozzina di potenziali “sorelle” della Terra. Ebbene, analizzandone le atmosfere HDST potrebbe essere in grado di dirci se ospitano effettivamente qualche forma di vita.

Potrebbe, al condizionale. E non proprio a prezzo di saldo: almeno 10 miliardi di dollari, grosso modo l’importo del pacchetto di riforme che la Grecia sta negoziando in queste ore. D’altronde, capire se siamo o meno soli nell’universo è una di quelle missioni che nessuna cifra, nemmeno la più stratosferica, potrà mai convincerci ad abbandonare.