A 30 ANNI DALL’INTRODUZIONE

Un dottorato finalmente europeo

Nel suo libro, 30 anni di dottorato di ricerca. L’ora del 2+3, Nicola Vittorio ripercorre la storia di questo istituto, non ancora soggetto protagonista di un percorso formativo che invece, nella stragrande maggioranza dei paesi esteri, vale come tale

     11/07/2014

vittoriolibro nicola vittorioCosa è un dottorato di ricerca? O meglio, cosa dovrebbe essere? Secondo Nicola Vittorio, docente di astronomia e astrofisica all’Università di Tor Vergata e, tra l’altro, membro dell’Accademia delle Scienze di Torino, dovrebbe essere un percorso di formazione alla ricerca facendo ricerca.

Nel suo libro, 30 anni di dottorato di ricerca. L’ora del 2+3, realizzato col giornalista Giampaolo Cerri ed edito da Exorma, Nicola Vittorio ripercorre la storia di questo istituto, troppe volte servito in Italia quale borsa di studio a studenti meritevoli, e non soggetto protagonista di un percorso formativo che invece, nella stragrande maggioranza dei paesi esteri, vale come tale.

Nel ripercorrere la sua storia, l’autore ci spiega come questo, fin da quando è nato, è stato considerato avulso dal percorso formativo. Da una parte la laurea magistrale e dall’altra il dottorato. Per prendervi parte, dovevi uscire da un percorso, la laurea, per intraprendere poi una strada altra, eppure entrambe sovente nello stesso luogo, l’università.

E questo è restato, anche dopo l’introduzione da parte di Luigi Berlinguer, che ha scritto la prefazione al volume, del 3+2, il tentativo cioè, chiamato poi il processo di Bologna, di rendere la formazione europea omogenea, così che una laurea italiana piuttosto che polacca siano reciprocamente riconosciute anche nel processo formativo.

Ma il mancato aggancio al dottorato di ricerca della laurea magistrale limita questa “unità” formativa europea. Vale a dimostrarlo il paragone con gli altri paesi: il processo di selezione dei possibili futuri dottorandi all’estero inizia durante la fase finale del corso di formazione, definiamolo così, magistrale. In Italia solo successivamente al compimento di quel percorso. E così accade che vi è una dispersione delle potenzialità, i migliori migreranno in altri lidi, con grave danno all’investimento in formazione (non irrilevante, anzi) che lo stato compie.

Si tratta in sostanza di inserire il dottorato nel percorso formativo complessivo. Il 3+2 diventi il 2+3, non perché bisognerebbe invertire i fattori, ma perché il percorso completo dovrebbe essere 3+2+3, dove il 2+3 diventa il momento fondamentale del futuro formativo e occupazionale dello studente.

Nel libro c’è molto di più, ovviamente, altri attuali problemi e possibili soluzioni, ma, a mio parere, l’analisi su come dovrebbe essere visto e inserito nel percorso formativo il dottorato di ricerca, sono l’essenza di un uovo di colombo, che come tale, rischia di rimanere inascoltato, e quindi da sottolineare.

La scheda del libro