LA MISSIONE NASA FORSE AL CAPOLINEA

Che succede a Kepler?

Seri problemi al sistema di puntamento del satellite dedicato alla caccia di pianeti extrasolari sembrano mettere la parola fine alla missione. Sul tipo di guasto e sul rilevante contributo scientifico fornito da Kepler in questi anni abbiamo ascoltato rispettivamente Enrico Flamini (ASI) e Raffaele Gratton (INAF).

     16/05/2013

keplerMaledetti giroscopi. Saranno forse proprio loro a segnare la fine definitiva della missione Kepler della NASA. Già lo scorso anno uno dei quattro dispositivi a bordo del satellite era andato in avaria, sostituito da quello di riserva. Ed ecco arrivare negli ultimi giorni un nuovo problema a uno dei tre rimanenti che potrebbe dargli il colpo di grazia. Questi apparati sono infatti vitali per il corretto funzionamento delle attività del satellite poiché provvedono al suo perfetto puntamento e stabilità: “senza questi dispositivi un telescopio che deve avere un’altissima precisione di puntamento e poter ripetere lo stesso puntamento anche a distanza di molto tempo con la stessa altissima precisione, semplicemente non riesce più a fare il suo lavoro” dice Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana. “È chiaro che quando si parla di un guasto, bisogna ragionare sempre in termini di probabilità. Si fa tutto il possibile nel progettare e realizzare missioni spaziali per ridurre al minimo la probabilità di avarie, soprattutto critiche come quella sperimentata da Kepler, ma purtroppo non è mai possibile azzerare questa probabilità”.

Quali dunque le ripercussioni immediate sull’attività scientifica della missione?

“Questo problema provocherà sicuramente una perdita di accuratezza nella precisione fotometrica, cioè della misura della radiazione proveniente dalle stelle che sono  monitorate alla ricerca di pianeti orbitanti attorno ad esse” spiega Raffaele Gratton, astronomo INAF ed esperto di pianeti extrasolari.

Un colpo che risulterebbe decisivo per i possibili futuri risultati della missione che riuscirebbe sì ancora a trasmetterci dati, ma poco o per nulla utilizzabili dalla comunità scientifica. Eppure Kepler, in quasi quattro anni di vita operativa da poco superata – proprio quella prevista dal progetto iniziale – ci ha regalato una nuova visione su quelli che sono i mondi al di fuori del nostro Sistema solare, neanche lontanamente immaginabile prima della sua entrata in funzione.

Kepler è stato un enorme successo. Ha segnato una rivoluzione nella nostra comprensione dei sistemi  planetari e ha completamente realizzato le attese che erano estremamente ambiziose. Al di là del numero di pianeti che ha scoperto, maggiore di quanto era stato anticipato, ci sono delle caratteristiche che hanno questi pianeti che determinano il successo della missione. Intanto è stata fornita una enorme statistica sui pianeti, in particolare quelli con periodi corti. Questo è un dato fondamentale per la nostra comprensione di come si formano ed evolvono i sistemi planetari. Molti dei pianeti scoperti sono di piccole dimensioni e alcuni di questi si trovano nella zona abitabile. Anche questo risultato è importantissimo per capire qual è la probabilità  che esistano pianeti con queste caratteristiche e sui quali eventualmente potrebbero esserci le condizioni per ospitare forme di vita” prosegue Gratton. “Ma dobbiamo ricordare che Kepler ha dato un enorme contributo anche sulla comprensione della struttura interna delle stelle, informazioni che vengono dallo studio delle loro pulsazioni, quello che noi chiamiamo asterosismologia”.

Eppure, nonostante questi enormi successi, non tutta la mole dei dati finora inviati dalla missione è stata sfruttata dalla comunità scientifica internazionale: “noi abbiamo misure estremamente accurate della variazione di luminosità per circa 100.000 stelle e per ognuna di queste abbiamo all’incirca un milione di misure, ciascuna delle quali con una precisione estrema. Stiamo parlando quindi di centinaia di miliardi di misure ed estrarre tutte le importanti informazioni che si celano dietro questa enorme mole di dati sarà un lavoro che richiederà ancora anni” sottolinea l’astronomo.

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