RICORDI SPAZIALI

Pranzo di Natale con decollo

Il viaggio nello spazio del James Webb Space Telescope ebbe inizio il 25 dicembre 2021 con il lancio dalla base Esa di Kourou a bordo di un razzo Ariane 5. A ricordare quei momenti emozionanti, in quest’articolo pubblicato due settimane fa sul Sole24Ore e che vi riproponiamo qui con il consenso dell’autrice, è l’astrofisica Patrizia Caraveo

     30/12/2025

Il pranzo di Natale del quale conservo un ricordo più vivido è quello del 2021 quando, insieme alla pasta al forno, è stato servito il decollo del James Webb Space Telescope.

Già da diversi giorni il telescopio più complesso e costoso della storia spaziale era pronto, chiuso nell’ogiva di un Ariane 5 nello spazioporto di Kourou, nella Guyana Francese. Il lancio era parte del contributo dell’Agenzia spaziale europea e il telescopio aveva fatto un lungo viaggio via mare dalla California, dove era stato integrato e accuratamente ripiegato, fino al porto vicino alla base di lancio (dopo un passaggio attraverso il canale di Panama). La procedura di ripiegamento era stata particolarmente complicata: più che un telescopio Jwst era una specie di gigantesco e complicatissimo origami spaziale. Il suo specchio di 6,5 metri di diametro non avrebbe potuto essere inserito nell’ogiva di nessun lanciatore disponibile all’epoca. Per questo, lo specchio, composto da 18 esagoni di berillio dorato, ha dovuto partire ripiegato, così come è stato ripiegato l’ombrello parasole grande come un campo da tennis. L’apertura e il corretto allineamento di tutte le parti dell’osservatorio spaziale si sarebbero articolati in oltre 300 manovre che avrebbero occupato buona parte del viaggio di circa un mese necessario per raggiungere la sua postazione di lavoro a 1,5 milioni di km dalla Terra. Si tratta di L2, il secondo punto lagrangiano, in direzione opposta alla congiungente Sole-Terra, un non luogo gravitazionale dove le orbite dei satelliti sono stabilissime e un telescopio può puntare le sorgenti celesti senza mai dovere fare i conti con l’intromissione del Sole.

Il James Webb Space Telescope inizia la sua lunga avventura dalla base Esa di Kourou il 25 dicembre 2021. Crediti: Nasa’s Goddard Space Flight Center, Esa

Il lancio natalizio non era una scelta ma piuttosto conseguenza di piccoli problemi tecnici. Così, complice il cattivo tempo il 24 dicembre, si era arrivati a Natale con la finestra di lancio giusto a ora di pranzo. Ero ospite dei miei consuoceri e non potevo fare altro che chiedere il permesso di tenere acceso il cellulare.

Guardando le riprese, condite con le chiacchiere dei commentatori, riconoscevo i luoghi dove ero stata oltre vent’anni prima per il lancio del telescopio per raggi X Xmm-Newton e mi tornava alla mente la sensazione di morsa allo stomaco che si prova quando uno strumento sul quale hai lavorato per anni viene lanciato. Non si tratta di un processo indolore, lo strumento è scosso dalle fortissime vibrazioni dei motori e l’unica cosa da fare è sperare che non venga danneggiato. Pur non essendo direttamente coinvolta nel progetto, sapevo che Jwst rappresentava il futuro della ricerca astronomica mondiale e mi auguravo che tutto andasse per il meglio. Progettato come successore dello Hubble Space Telescope, Jwst doveva spingersi nell’infrarosso lontano dove è possibile vedere l’emissione delle prime galassie che si sono formate qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang. Infatti, a seguito dell’espansione dell’universo, la luce delle loro antiche stelle è “scivolata” dal visibile, dove è stata emessa, all’infrarosso.

Persa in tutti questi pensieri, temo di non essere stata una commensale particolarmente brillante. Nessuno me lo ha fatto pesare, a eccezione di mia figlia che sostiene di essere diventata allergica all’astrofisica perché ci è cascata dentro da piccola.

Finalmente arriva il grande momento. Siamo a Kourou e il conto alla rovescia è in francese: trois-deux-unité-top. I motori si accendono. Si vede la fiammata. Décollage, dice il direttore di volo. “Decollage, lift-off, from the tropical rain forest” ha precisato il commentatore della Nasa, evidentemente divertito dall’utilizzo del francese, mentre il razzo, dopo essersi alzato maestosamente, si infilava nelle nuvole.  A quel punto non c’era più niente da vedere e l’attenzione era tutta sui monitor, perché è dai grafici della velocità e dell’altezza che si capisce se tutto sta andando bene.

Sapevo che ci sarebbero voluti diversi minuti per arrivare all’inserimento in orbita e altro tempo sarebbe passato prima del distacco dall’ultimo stadio del lanciatore dopo la spinta finale per mettere il carico in traiettoria.

Niente immagini per intrattenere il pubblico, solo simulazioni insieme alle interviste.

Mentre guardavo il video con la coda dell’occhio, cercando di prendere parte alla conversazione, ho visto brillare qualcosa. Non era computer graphic, era il telescopio liberato dall’ogiva che brillava al Sole.

La telecamera montata sul razzo vettore, che aveva esaurito il suo compito e si era staccato, ci aveva regalato la prima, e unica, immagine del telescopio in orbita: un parallelepipedo scintillante che stava iniziando il suo lungo viaggio. Nelle brevi riprese si è anche visto il dispiegamento del pannello solare, assolutamente necessario per fornire energia al sistema. A quel punto il controllo del telescopio è passato alla Nasa dove hanno confermato che le batterie si stavano caricando, come da programma.

Credo che i tecnici di Kourou, che avevano dovuto rinunciare al Natale in famiglia, avessero già le valigie pronte per tornare a casa. Avevano fatto un ottimo lavoro. Giorni dopo si sarebbe saputo che Ariane 5 aveva immesso Jwst perfettamente in traiettoria. Non dovendo fare manovre di correzione di rotta, si è potuto risparmiare carburante, cosa che allungherà la vita della missione ben oltre le stime più ottimistiche. Si parla di vent’anni, più del doppio delle previsioni iniziali.

Onestamente non saprei dire cosa ho mangiato, ma il pranzo con decollo è entrato negli annali famigliari.