La corona solare è la regione più esterna del Sole, e si estende per vari raggi solari. Osservazioni ai raggi X e ultravioletti, radiazione tipicamente emessa da fenomeni ad alta energia e plasma ad alta temperatura, rivelano che la corona è popolata da strutture brillanti che ospitano plasma a milioni di gradi, denominate regioni attive. Spesso da queste regioni si osservano lunghe arcate luminose, estese per molti raggi terrestri, in cui il plasma è confinato dal campo magnetico e riscaldato fino a temperature elevatissime. Queste strutture, chiamate archi coronali, sono state interpretate in termini di interazione tra plasma e campo magnetico già nel 1973 da Giuseppe Vaiana, astrofisico di origini siciliane, fra i padri dell’astrofisica solare ai raggi X. Solo oggi, dopo più di 50 anni, stiamo iniziando a comprendere in dettaglio i complessi meccanismi che permettono al campo magnetico coronale di riscaldare il plasma a milioni di gradi.

un arco coronale osservato in ultravioletto dalla sonda SDO/AIA. L’immagine del pianeta Terra dà un’idea delle dimensioni della struttura. Crediti: Nasa’s Gsfc/Sdo
Sorprendentemente, il segreto del riscaldamento di strutture così vaste, e di conseguenza dell’intera corona solare, risiede in fenomeni altamente localizzati e molto rapidi, chiamati nanobrillamenti. Considerando il campo magnetico come un insieme di linee che, con le dovute differenze, si comportano come corde elastiche, alla base dei nanobrillamenti si trova il fenomeno della riconnessione magnetica: esso avviene quando tali linee vengono distorte e si combinano tra loro rilasciando energia. Questo rilascio impulsivo lascia però un’impronta, recentemente osservata: micro-getti di plasma lanciati a centinaia di km/s in direzioni perpendicolari a quelle delle linee di campo, individuati per la prima volta una decina di anni fa con osservazioni della sonda Solar Dynamics Observatory.

Gabriele Cozzo (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e Inaf – Osservatorio astronomico di Palermo), primo autore dei due studi in uscita su ApJ
Ora alcune simulazioni magnetoidrodinamiche guidate dall’astrofisico Gabriele Cozzo (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e Inaf – Osservatorio astronomico di Palermo), presentate in due articoli in uscita su The Astrophysical Journal, hanno permesso di analizzare il ruolo dei nanobrillamenti nel riscaldamento della corona. Un primo set di simulazioni si concentra sui tubi magnetici che delimitano gli archi coronali e sul fatto che essi sono ancorati nella fotosfera solare, dove il moto del plasma fotosferico finisce per attorcigliare le linee di campo. Questo rende i tubi magnetici instabili, portandoli a frammentarsi e favorendo fenomeni di riconnessione che generano impulsi di riscaldamento, i quali producono intense correnti che, dissipandosi, portano il plasma fino a dieci milioni di gradi. Il processo procede continuamente, alimentato dal moto del plasma in fotosfera che continua ad attorcigliare le linee di campo, dando origine a una cascata di eventi capace di riscaldare l’intera struttura magnetica.
In un secondo set di simulazioni, il team ha riprodotto la formazione dei getti prodotti dai fenomeni di riconnessione: essi durano appena una decina di secondi e rilasciano un’energia dell’ordine di 10²⁴ erg, confermando il loro ruolo nel riscaldamento del plasma coronale.
«Si può rendere il concetto di nanogetti più semplice da capire», propone Cozzo, «tramite un’analogia tra accelerazione di nanogetti in seguito a riconnessione magnetica e lo scocco della freccia da una corda d’arco inizialmente tesa: il processo di tensione dell’arco è equivalente al processo di aggrovigliamento delle linee di campo, durante il quale esse assumono delle configurazioni più convolute, ricaricandosi di energia e tensione magnetica. Al momento della riconnessione, la corda viene “liberata”, e rapidamente ritorna a una configurazione più semplice. In questo processo di rilassamento, il plasma attorno la linea di campo viene accelerato, proprio come la freccia spinta dalla corda, trasversalmente al campo magnetico».
Si tratta però di fenomeni difficili da osservare e comprendere: un motivo in più per affidarsi alle simulazioni. «Il compito fondamentale di queste simulazioni», spiega infatti Cozzo, «è quello di riprodurre sia il meccanismo di caricamento di questi archi magnetici, che viene realizzato attraverso moti di attorcigliamento delle linee di campo alla base, e il successivo rilascio di energia magnetica in calore ed energia cinetica, che si ottiene inserendo nelle equazioni che vengono risolte dal computer la cosiddetta resistenza magnetica del plasma, simile a quella dei fili delle vecchie lampadine».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal “3D MHD simulations of coronal loops heated via magnetic braiding I. Continuous driving”, di Gabriele Cozzo, Paola Testa, Juan Martinez-Sykora, Fabio Reale, Paolo Pagano, Franco Rappazzo, Viggo Hansteen, Bart De Pontieu, Antonino Petralia, Edoardo Alaimo, Federico Fiorentino, Fabio D’Anca, Luisa Sciortino, Michela Todaro, Ugo Lo Cicero e Marco Barbera
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal “3D MHD simulations of coronal loops heated via magnetic braiding II. Automatic detection of reconnection outflows and statistical analysis of their properties”, di Gabriele Cozzo, Paola Testa, Juan Martinez-Sykora, Paolo Pagano, Fabio Reale, Franco Rappazzo, Viggo Hansteen e Bart De Pontieu






