Ha viaggiato per milioni di anni prima di attraversare il Sistema solare la cometa interstellare 3I/Atlas, visitatrice da mondi lontani che reca con sé un messaggio, divenuto leggibile grazie allo sguardo ultravioletto del Neil Gehrels Swift Observatory, telescopio per le alte energie della Nasa. Messaggio che rivela la presenza di idrossile (formula chimica “OH”), impronta chimica di una molecola ben più familiare: quella dell’acqua.
La notizia è della scorsa settimana ed è uscita in una lettera a The Astrophysical Journal Letters firmata dall’astronomo Zexi Xing e da altri scienziati dell’Università di Auburn, in Alabama. La scoperta consente di confrontare la chimica del Sistema solare con quella dello sconosciuto sistema planetario da cui 3I/Atlas proviene. Nelle comete del Sistema solare l’acqua viene utilizzata per tracciarne l’attività e per studiare come la radiazione solare determini il rilascio di altre sostanze. Adesso gli astronomi possono fare la stessa cosa per una cometa interstellare.
C’è però un fatto peculiare che i ricercatori hanno riscontrato. L’idrossile si forma quando le molecole di acqua vengono disgregate dall’affilata radiazione ultravioletta della nostra stella – la stessa da cui ci proteggiamo con la crema solare. Solo che le sventurate comete non dispongono di quel portentoso scudo dai raggi UV che è l’atmosfera terrestre. Alla distanza dal Sole alla quale si trovava 3I/Atlas al momento delle osservazioni di Swift – grossomodo il triplo di quella della Terra dalla nostra stella – le comete del Sistema solare tipicamente non presentano segni di attività. C’è bisogno infatti che si avvicinino di più al Sole affinché i loro ghiacci possano sublimare in modo significativo. 3I/Atlas invece produce un forte segnale ultravioletto, grazie al quale i ricercatori hanno stimato un tasso di perdita di acqua di quaranta chilogrammi al secondo.

La cometa 3I/Atlas vista nella luce visibile (a sinistra) e ultravioletta (a destra). Nell’immagine a destra si nota l’emissione dell’idrossile (OH) che traccia vapor d’acqua rilasciato dalla cometa. Le immagini sono state ottenute il 31 luglio e il 19 agosto 2025. Nell’immagine del 19 agosto l’emissione di OH è più pronunciata. Crediti: Dennis Bodewits, Auburn University
Non è chiaro perché 3I/Atlas sia così attiva. Secondo gli scienziati è possibile che la luce solare stia scaldando dei piccoli frammenti di ghiaccio rilasciati dal nucleo e che darebbero origine alla nube gassosa che avviluppa la cometa. Strutture così estese sono state osservate solo in una manciata di comete lontane e fanno pensare a una stratificazione di ghiacci che può fornire indicazioni sulle origini di queste vagabonde spaziali.
«Quando rileviamo acqua, o anche solo la sua debole eco ultravioletta, cioè l’OH, da una cometa interstellare, stiamo leggendo un biglietto proveniente da un altro sistema planetario», commenta Dennis Bodewits, professore di fisica ad Auburn che ha partecipato allo studio. «Ci dice che gli ingredienti della chimica della vita non sono esclusivi del nostro».
Fondamentale per la scoperta è stato l’utilizzo del telescopio Neil Gehrels Swift. Benché abbia solo trenta centimetri di diametro, in virtù della sua collocazione al di fuori dell’atmosfera terrestre che gli consente di catturare la radiazione UV, lo strumento è riuscito ad individuare le tracce di OH. Cruciale è stata pure la rapidità di puntamento dello stesso, che ha consentito di seguire 3I/Atlas prima che divenisse troppo debole o troppo vicina al Sole.
Ciascuna delle tre comete interstellari finora scoperte – 3I/Atlas si aggiunge alle già note 1I/’Oumuamua e 2I/Borisov – traccia la chimica del sistema planetario di provenienza. E insieme ci raccontano che questa può differire non poco fra un ambiente e l’altro. Le differenze riscontrate potrebbero essere riconducibili a una diversità nelle condizioni a cui vengono esposti i planetesimi, i corpi rocciosi a partire dai quali si formano i pianeti. Fattori ambientali che condizionerebbero l’emergere della vita stessa.
«Ogni cometa interstellare finora è stata una sorpresa», conclude Xing. «‘Oumuamua era secca, Borisov era ricca di monossido di carbonio e ora Atlas sta rilasciando acqua a una distanza che non ci aspettavamo. Ognuna di esse sta riscrivendo ciò che pensavamo di sapere su come si formano i pianeti e le comete attorno alle stelle».
Adesso 3I/Atlas non è più visibile ma tornerà a esserlo verso metà novembre, quando gli scienziati avranno un’altra opportunità di studiarne l’attività a mano a mano che la cometa si avvicinerà alla nostra stella.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Water Production Rates of the Interstellar Object 3I/ATLAS” di Zexi Xing, Shawn Oset, John Noonan e Dennis Bodewits






