GRAZIE A UN SISTEMA DI CALIBRAZIONE CHIAMATO “AMIGO”

Occhiali software per “guarire” il James Webb

Due dottorandi di Sydney hanno progettato e realizzato una soluzione – illustrata in due articoli ancora in corso di peer-review – che ha ridato vigore all’Aperture Masking Interferometer, uno fra gli strumenti più promettenti di Jwst, da tempo affetto da distorsioni elettroniche. Per celebrare, si sono fatti tatuare sul braccio la soluzione ideata per riparare lo strumento

     20/10/2025

Da quando è stato lanciato, il giorno di Natale 2022, il telescopio spaziale James Webb è diventato una sorta di supereroe fra i telescopi: dai 344 passaggi critici da eseguire subito dopo il lancio – tutti avvenuti con successo, tanto da farlo finire dritto in prima pagina su Science come “breakthrough” del 2022 – ai nuovi, molti, canali scientifici aperti nell’esplorazione di esopianeti, galassie lontane, oggetti antichissimi. Per finire con il suo outfit unico, con uno specchio dorato che da solo basterebbe. Non fosse che un supereroe che si rispetti porta sempre una maschera. E quella del telescopio spaziale Webb, l’Aperture Masking Interferometer (Ami), fino a poco tempo fa non funzionava proprio bene. È ora stata aggiustata da due dottorandi di Sydney, con una soluzione software che potenzia il funzionamento di uno degli strumenti più promettenti del telescopio.

Nella riga superiore sono riportate le immagini dei cosiddetti interferogrammi di tre sorgenti osservate con lo strumento Ami del Jwst: la galassia Ngc 1068, la luna di Giove Io e la stella Wolf-Rayet 137 (o WR 137). La riga inferiore mostra le immagini nitide o “de-sfocate” dopo essere state elaborate dalla pipeline sviluppata da Louis Desdoigts e Max Charles. Crediti: Max Charles/Università di Sydney

Lo strumento, progettato per acquisire, grazie all’interferometria, immagini ultra-alta risoluzione di stelle ed esopianeti combinando la luce proveniente da più porzioni dello specchio principale del telescopio, aveva cominciato a dare problemi da tempo. Le prestazioni avevano cominciato a degradare a causa di piccoli difetti elettronici nel rilevatore della sua camera infrarossa. Difetti che introducevano sfocature nelle immagini scientifiche, ricordando a molti la “miopia” iniziale del suo predecessore, il telescopio spaziale Hubble, risolta grazie a una missione dello Space Shuttle con sette astronauti in attività extraveicolare. Il James Webb, però, non si trova in orbita attorno alla Terra come Hubble, ma a 1.5 milioni di chilometri di distanza, irraggiungibile da qualsivoglia missione umana.

Per fortuna, la soluzione ideata da Louis Desdoigts e Max Charles – due giovani dottorandi  dell’Università di Sydney, luogo in cui l’Ami è anche stato progettato – non ha richiesto altro che un computer e qualche (si fa per dire) nozione di programmazione. I due hanno infatti sviluppato un sistema di calibrazione esclusivamente software, basato sui dati, che ha ripristinato la messa a fuoco a distanza. L’hanno chiamato Amigo (Aperture Masking Interferometry Generative Observations) e utilizza simulazioni avanzate e reti neurali per modellare come si comportano l’ottica e l’elettronica del telescopio nello spazio. Riconoscendo nella maschera Ami un difetto in cui la carica elettrica “sbordava” nei pixel vicini (un processo noto come “effetto brighter-fatter”), hanno sviluppato algoritmi in grado di «de-sfocare» le immagini e di riacquisire l’intera sensibilità dello strumento. La correzione ha già prodotto risultati soddisfacenti fra cui, ad esempio, l’imaging diretto di un debole esopianeta e di una nana rossa in orbita attorno alla vicina stella Hd 206893, a circa 133 anni-luce dalla Terra. Risultato che è stato incluso in un articolo sottomesso per la revisione su Publications of the Astronomical Society of Australia, a guida di Louis Desdoigts. O ancora, uno studio parallelo, guidato questa volta da Max Charles, che ha dimostrato le nuove performance dello strumento con le immagini ad alta risoluzione del getto di un buco nero, della superficie vulcanica di Io (una delle lune di Giove) e dei venti stellari polverosi della stella WR 137. Anche questo secondo articolo è in corso di revisione nella stessa rivista.

I due tatuaggi identici di Louis Desdoigts (sinistra) e Max Charles (destra) raffiguranti la “maschera non ridondante” che hanno contribuito a riparare. Crediti: Max Charles/University of Sydney

Ma il successo dei due giovani ricercatori non finisce qui: a fare notizia, più che il software scritto, è il tatuaggio che entrambi si sono fatti disegnare sul braccio: somiglia allo specchio di Webb, ma è proprio la maschera (in gergo tecnico si chiama “non-redundant mask”) dello strumento che hanno contribuito a salvare.

Per saperne di più:

  • Leggi su arXiv l’articolo “AMIGO: a Data-Driven Calibration of the JWST Interferometer“, di Louis Desdoigts, Benjamin Pope, Max Charles, Peter Tuthill, Dori Blakely, Doug Johnstone, Shrishmoy Ray, Anand Sivaramakrishnan, Jens Kammerer, Deepashri Thatte, Rachel Cooper, in attesa di peer-review nella rivista Publications of the Astronomical Society of Australia
  • Leggi su arXiv l’articolo “Image reconstruction with the JWST Interferometer“, di Max Charles, Louis Desdoigts, Benjamin Pope, Peter Tuthill, Dori Blakely, Doug Johnstone, Shrishmoy Ray, K. E. Saavik Ford, Barry McKernan, Anand Sivaramakrishnan, in corso di peer-review nella rivista Publications of the Astronomical Society of Australia

Correzione del 21/10/2025: i tre riquadri della prima riga della figura non mostrano le immagini dei dati grezzi, come erroneamente riportato nella versione iniziale della didascalia, bensì gli interferogrammi relativi alle tre sorgenti.