LO STUDIO SU PHYSICAL REVIEW LETTERS

Il suono del buco nero dà ragione a Kerr e Hawking

I risultati dell’analisi del “ringdown” delle onde gravitazionali associate all’evento di fusione fra buchi neri Gw 250114, registrato dagli interferometri Ligo il 14 gennaio scorso, confermano due teoremi fondamentali dei buchi neri: sono descrivibili con due soli parametri (massa e spin), come previsto da Roy Kerr, e l'area del loro orizzonte degli eventi può solo aumentare, come previsto da Stephen Hawking

     10/09/2025

Spesso è guardandola mentre si trova ad affrontare circostanze di forte stress che si riesce a conoscere davvero una persona. In modo analogo, anche per comprendere a fondo i buchi neri è utile osservarne il comportamento in condizioni estreme. E in particolare, mostra uno studio pubblicato oggi su Physical Review Letters, all’uscita da una situazione estrema: quando il buco nero risultante dalla fusione – il cosiddetto merging – di due buchi neri più piccoli si stabilizza. È proprio “ascoltando” e analizzando la fase di smorzamento – il ringdown – che segue il caratteristico chirp di onde gravitazionali prodotto da una fusione che gli scienziati della Collaborazione Ligo-Virgo-Kagra sono riusciti a confermare, con osservazioni astrofisiche, due predizioni teoriche fondamentali sui buchi neri: una di Roy Kerr, secondo la quale per descrivere completamente un buco nero è sufficiente conoscerne due sole proprietà – spin e massa; e una di Stephen Hawking, secondo la quale l’area dell’orizzonte degli eventi di un buco nero può solo aumentare.

Infografica della Simons Foundation sulle nuove scoperte sulle proprietà dei buchi neri. Crediti: Lucy Reading-Ikkanda/Simons Foundation

Tutto questo analizzando il ringdown dell’evento Gw 250114, registrato dagli interferometri Ligo il 14 gennaio 2025 e scelto dagli autori dello studio per il suo eccellente rapporto segnale/rumore, pari a 80. A produrlo, dicevamo, un merging che ha dato origine a un buco nero con una massa pari a circa 63 volte quella del Sole e una velocità di rotazione – lo spin, appunto – di circa cento giri al secondo. Un segnale molto chiaro, ma comunque brevissimo: appena una manciata di millisecondi. Lo vediamo rappresentato nell’infografica qui sopra al termine dell’onda, là dove si smorza. Se è stato possibile estrarne così tante informazioni è grazie non solo alla sua intensità ma anche ai notevoli miglioramenti alle tecniche e agli strumenti per la rilevazione di onde gravitazionali avvenuti nel corso degli ultimi anni, e in particolare da quando venne osservato – sempre da Ligo – lo storico evento Gw 150914, del quale domenica prossima si festeggia il decimo anniversario.

«La nuova coppia di buchi neri è quasi identica alla prima rilevata storicamente nel 2015», ricorda uno degli autori dello studio, Maximiliano Isi, del Centro di astrofisica computazionale del Flatiron Institute di New York. «Gli strumenti sono però oggi molto migliori, quindi siamo in grado di analizzare il segnale in modi che non erano possibili dieci anni fa».

Ma veniamo alle due conferme rese possibili dall’analisi di Gw 250114. Già nel 2021 lo stesso Isi aveva condotto uno studio che utilizzava il segnale di quel primo evento del 2015 per mettere alla prova teorema dell’area di Hawking individuando componenti specifiche nella forma d’onda – gli ipertoni – utilizzabili per calcolare la massa e lo spin del buco nero finale nonché di calcolare l’area del suo orizzonte degli eventi. Ora, grazie al segnale molto più chiaro e alla strumentazione migliore, è stato possibile isolare il “suono” prodotto nello spaziotempo dal buco nero finale mentre si stabilizzava. Il ringdown, appunto.

«Il ringdown è ciò che si produce quando un buco nero viene perturbato, un po’ come una campana suona quando la si colpisce», spiega una delle coautrici dello studio, Katerina Chatziioannou, del Caltech. «Ascoltando i “modi” del ringdown, è stato possibile calcolare le proprietà del buco nero e confermare che erano coerenti con la metrica di Kerr, una soluzione esatta alle equazioni di campo della relatività generale di Einstein per un buco nero rotante descritta dal matematico Roy Kerr oltre sessant’anni fa. La soluzione di Kerr prevede che un buco nero – e con esso onde gravitazionali che produce quando viene perturbato – sia descritto in modo univoco dalla sua massa e dal suo spin – null’altro. Le implicazioni di questo risultato rivoluzionario distinguono i buchi neri da qualsiasi altro oggetto celeste: per descrivere una stella, per esempio, è necessario un insieme molto ampio di proprietà complesse, mentre anche i buchi neri supermassicci, quelli con masse pari a milioni di volte quella del Sole, sono sorprendentemente descritti da due semplici numeri soltanto: la massa e lo spin.

L’analisi del ringdown di Gw 250114, come dicevamo, ha anche confermato che la superficie del buco nero prodotto dalla fusione è aumentata, proprio come previsto da Hawking nel 1971. «Anche se si tratta di un’affermazione molto semplice – “le aree possono solo aumentare” – ha implicazioni immense», sottolinea Isi. Il teorema di Hawking, il “secondo principio della meccanica dei buchi neri”, rispecchia il secondo principio della termodinamica, quello secondo il quale l’entropia può solo aumentare. È un teorema che ha portato a considerare i buchi neri come oggetti termodinamici, un cambiamento di paradigma consolidato dalla scoperta dello stesso Hawking che essi hanno entropia ed emettono radiazione dovuta a effetti quantistici al confine dell’orizzonte degli eventi. «Ci dice che la relatività generale conosce qualcosa della natura quantistica di questi oggetti», spiega Isi, «e che l’informazione, o entropia, contenuta in un buco nero è proporzionale alla sua area».

Il risultato odierno fa seguito a una serie di recenti aggiornamenti volti a migliorare la sensibilità e la portata di Ligo. «Dieci anni fa osservavamo segnali circa una volta al mese», ricorda Chatziioannou. «Oggi ne vediamo più o meno uno ogni tre giorni». Man mano che la tecnologia continua a migliorare, si potranno ottenere segnali ancora più nitidi di queste increspature nello spaziotempo e, da essi, una migliore comprensione dell’universo. «Per molto tempo questo campo è stato oggetto di pure speculazioni matematiche e teoriche», conclude Isi. «Ora siamo invece in grado di osservare questi incredibili processi in azione, il che evidenzia i notevoli progressi compiuti in questo campo e quelli futuri».

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