RICONDUCIBILI AI BRILLAMENTI E ALLE ESPULSIONI CORONALI DI MASSA

Alle sorgenti degli elettroni solari superveloci

Grazie a oltre due anni di dati raccolti a varie distanze dal Sole dal telescopio spaziale Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea, è stato possibile individuare due gruppi distinti nel flusso di particelle ad alta energia lanciate nello spazio dal Sole, collegando ciascuno di essi a un diverso tipo di fenomeno esplosivo della nostra stella

     02/09/2025

Il Sole, come tutte le stelle, è una grande palla di plasma, il cosiddetto “quarto stato” della materia: quello in cui molti elettroni si ritrovano in libertà, strappati dalle orbite dei propri atomi. Essendo il Sole, come tutte le stelle, anche un eccellente acceleratore di particelle, una parte di questi elettroni liberi finisce per venire sparata verso l’esterno a velocità prossime a quelle della luce. Sono i cosiddetti elettroni solari ad alta energia: la componente “negativa” – avendo, appunto, carica con segno meno – delle particelle solari energetiche (Sep, dall’inglese solar energetic particles), che comprendono anche la controparte “positiva” – ioni e protoni.

Infografica che mostra come la sonda spaziale Solar Orbiter rintraccia gli elettroni superveloci fino alle loro regioni di origine sul Sole. Il Sole è raffigurato sulla sinistra, con punti colorati che rappresentano le fonti di elettroni energetici provenienti dai brillamenti solari (blu) e dalle espulsioni coronali di massa (rosso). Le linee curve illustrano le linee del campo magnetico lungo le quali gli elettroni viaggiano da questi eventi verso la sonda spaziale Solar Orbiter, mostrata sulla destra su uno sfondo stellato. Il testo spiega come tra novembre 2020 e dicembre 2022 siano state osservate più di 300 esplosioni di “elettroni energetici solari”, consentendo agli scienziati di collegare gli elettroni rilevati nello spazio con le loro origini sul Sole. Crediti: Esa & Nasa/Solar Orbiter/Stix & Epd

Provengono tutti dal Sole, questi elettroni ad alta energia, ma non sono tutti uguali – o meglio, non hanno tutti la stessa origine. Gli astronomi hanno infatti individuato due tipi di elettroni solari ad alta energia, con storie nettamente distinte. Ci sono quelli che hanno origine dai brillamenti (solar flares), intense esplosioni circoscritte a piccole regioni della superficie del Sole. E ci sono quelli che prendono invece le mosse dalle espulsioni coronali di massa (Cme, dall’inglese coronal mass ejections), enormi emissioni di gas caldo che hanno origine nell’atmosfera del Sole.

Ebbene ora, per la prima volta, grazie al telescopio spaziale dell’Esa Solar Orbiter, che è stato in grado di misurare un grande numero di eventi e di osservare il Sole da una distanza molto più ravvicinata rispetto ad altre missioni, è stato possibile tracciare a ritroso con certezza le due differenti regioni d’origine di questi elettroni solari, nonché di rilevare alcuni tratti caratteristici dei diversi fenomeni.

«Notiamo una netta distinzione tra eventi particellari impulsivi, in cui questi elettroni energetici vengono espulsi dalla superficie solare in raffiche attraverso brillamenti solari, ed eventi graduali associati a Cme più estese, che rilasciano un flusso più ampio di particelle per periodi di tempo più lunghi», osserva a questo proposito il primo autore dello studio pubblicato ieri su Astronomy & Astrophysics, Alexander Warmuth dell’Istituto Leibniz di astrofisica di Potsdam (Aip, Germania).

«Siamo riusciti a identificare e comprendere questi due gruppi solo osservando centinaia di eventi a diverse distanze dal Sole e con più strumenti, cosa che soltanto Solar Orbiter è in grado di fare», sottolinea Warmuth. «Avvicinandoci così tanto alla nostra stella, abbiamo potuto misurare le particelle in uno stato iniziale “incontaminato” e quindi determinare con precisione il momento e il luogo in cui hanno avuto origine sul Sole».

Lo studio – che si è avvalso dei dati ottenuti da otto dei dieci strumenti di Solar Orbiter acquisiti nel corso di 300 eventi tra novembre 2020 e dicembre 2022 – è il più completo mai realizzato finora sugli eventi di emissione di elettroni solari ad alta energia e ha prodotto un catalogo che continuerà ad arricchirsi nel corso dell’intera missione.

Infografica che illustra la suite di dieci strumenti di Solar Orbiter. Crediti: Esa/S.Poletti

«È la prima volta che riusciamo a cogliere chiaramente il collegamento tra gli elettroni energetici nello spazio e gli eventi che li generano sul Sole», aggiunge uno dei coautori dello studio, Frederic Schuller, anch’egli dell’Aip. «Abbiamo misurato le particelle in situ, grazie al fatto che Solar Orbiter ha effettivamente attraversato i flussi di elettroni, utilizzando il rilevatore di particelle energetiche [Epd, ndr] della sonda, mentre contemporaneamente abbiamo utilizzato altri strumenti di bordo per osservare ciò che stava accadendo sul Sole. Abbiamo anche raccolto informazioni sull’ambiente spaziale tra il Sole e la sonda».

Gli eventi sono stati rilevati a diverse distanze dal Sole. Ciò ha permesso di studiare il comportamento degli elettroni mentre viaggiano attraverso il Sistema solare, rispondendo a una domanda che da tempo aleggiava su queste particelle energetiche. Quando osserviamo un brillamento o una Cme, spesso si nota un evidente ritardo tra ciò che vediamo accadere sul Sole e il rilascio di elettroni energetici nello spazio. In casi estremi, le particelle sembrano impiegare ore per sfuggire. Perché?

«Abbiamo scoperto che ciò è almeno in parte correlato al modo in cui gli elettroni viaggiano nello spazio: potrebbe trattarsi di un ritardo nel rilascio, ma anche di un ritardo nella rilevazione», spiega un’altra coautrice dello studio, Laura Rodríguez-García, dell’Esa. «Gli elettroni incontrano turbolenze, vengono dispersi in diverse direzioni e così via, quindi non li individuiamo immediatamente. Questi effetti si accumulano man mano che ci si allontana dal Sole».

I risultati dello studio hanno un importante risvolto anche per quanto riguarda la comprensione del meteo spaziale, e in particolare per valutare la potenziale pericolosità dei due diversi tipi di eventi. Quelli che hanno origine nelle Cme, infatti, tendono ad avere molte più particelle ad alta energia e possono quindi produrre danni maggiori, per esempio sui satelliti. Riuscire a distinguere tra i due tipi di eventi d’emissione di elettroni ad alta energia è dunque estremamente importante per anticipare possibili rischi.

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