Non credo che nessuno pensi che il cielo di Milano sia adatto alla ricerca astronomica di punta. Questo è certamente vero oggi, ma vi garantisco che non è sempre stato così. Per questo vorrei proporvi di visitare il museo storico dell’Osservatorio di Brera che, con i suoi 260 anni di storia, è la più antica istituzione scientifica milanese ancora attiva. È nato nella seconda metà del ‘700 quando agli astronomi veniva chiesto di misurare il tempo usando le stelle, oppure le distanze per costruire mappe della Terra con un paziente lavoro di triangolazione. Poi l’osservatorio si è via via evoluto fino a diventare uno dei centri di eccellenza dell’astrofisica italiana. Un percorso ben raccontato nella rinnovata galleria degli strumenti, che costituisce il cuore del museo dell’Osservatorio. È qui che vengono accolti i visitatori che non hanno temuto di salire le scale che portano all’ultimo piano di Palazzo Brera, in quella che è da sempre la sede dell’Osservatorio in un indirizzo prestigioso che condivide con la Pinacoteca di Brera, l’Accademia di Belle Arti, la Biblioteca Braidense, l’Orto Botanico e l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Tuttavia, la sua collocazione sui tetti di un angolo del grande palazzo allontana l’Osservatorio dal normale percorso di visita ed è un peccato perché la sua lunga storia ha molto da insegnare.

Veduta della facciata meridionale del palazzo dove si trova l’Osservatorio astronomico di Brera a Milano, alla cui sommità è situata la cupola a fiore, vista dall’Orto Botanico di Brera. Immagine ripresa con cavalletto e filtro Uv Hoya Pro1 Digital. Crediti: Inaf Oa Brera
Provo a farvi da guida. Varcato il portone di palazzo Brera, ci si trova al cospetto della statua di Napoleone Bonaparte ritratto dal Canova come un eroe classico nudo e certamente parecchio abbellito rispetto all’originale. Peccato che al generale la statua non fosse affatto piaciuta. Superate le scale monumentali, che portano alla Pinacoteca, si entra in un lungo corridoio popolato da calchi di statue famose a cominciare dai monumenti funebri di Giuliano de’ Medici e di Lorenzo duca di Urbino scolpiti da Michelangelo per la Sacrestia Nuova a Firenze. È l’Accademia di Belle Arti, piacevolmente fresca nel caldo estivo. A sinistra c’è la scalinata che porta alla Biblioteca Braidense, ma noi dobbiamo proseguire girando a destra nel corridoio dell’Accademia fino a vedere, sulla sinistra, l’uscita per l’Orto Botanico e le scale che conducono all’Osservatorio astronomico, una delle sedi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) a Milano. Per arrivare alle stelle bisogna salire, non solo metaforicamente. Per evitare di fare fatica inutile è bene consultare gli orari del museo che non sempre è aperto al pubblico dal momento che è ospitato in un istituto di ricerca in piena attività. Quando si prenota si può scegliere una visita in autonomia, magari utilizzando l’app che spiega il funzionamento degli strumenti, oppure una visita guidata con la possibilità di salire nella cupola Schiaparelli che ospita lo storico telescopio restaurato da poco.
Sono stata molte volte nella cupola Schiaparelli e raccomando caldamente una visita perché è un luogo iconico. I casi della vita avevano portato un giovanissimo Schiaparelli a essere nominato direttore nel 1862 ed era toccato a lui risollevare le sorti di una istituzione un po’ trascurata a causa delle traversie politiche risorgimentali. In effetti, durante la sua lunga direzione, che terminò nel 1900 per motivi di salute, Schiaparelli trasformò l’osservatorio dotandolo di nuova strumentazione di ottima qualità. Per riuscire nell’impresa, oltre che sulla sua bravura, il giovane astronomo poteva contare su conoscenze altolocate, visto che a Torino aveva studiato con Quintino Sella, che aveva conservato un’ottima opinione di lui. All’osservatorio arrivarono i fondi per acquistare un nuovo strumento al passo con i tempi, L’acquisizione non fu immediata, il telescopio venne ordinato a Monaco di Baviera, poi bisognò costruire la cupola di forma cilindrica che si staglia sul tetto del palazzo con la sua bellissima struttura in legno, che avrebbe bisogno di qualche restauro.

Giovanni Schiaparelli nell’osservatorio astronomico di Brera in un disegno di Achille Beltrame per La Domenica del Corriere del 28 ottobre 1900. Fonte: Inaf Brera
Con questo strumento, entrato in funzione nel 1875, Schiaparelli contava di studiare le stelle doppie, uno dei suoi principali interessi insieme alle orbite degli asteroidi, ma fu il puntamento di Marte a segnare la sua carriera. Successe per caso, una notte del 1877 le condizioni non erano favorevoli per l’osservazione delle stelle doppie e l’astronomo ebbe l’idea di puntare Marte che si trovava in opposizione, cioè era opposto al Sole rispetto alla Terra. È un allineamento che si ripete ogni 26 mesi e segna il momento in cui Marte è più vicino quindi è più facile da osservare perché le dimensioni apparenti sono più grandi. Grazie alla qualità del suo nuovo telescopio Schiaparelli vide dettagli che non erano mai stati descritti. Oltre a notare grandi zone scure sulla superficie del pianeta, che due secoli prima erano già state usate da Giovanni Domenico Cassini per determinare il periodo di rotazione di Marte, Schiapparelli fu colpito dalle striature che sembravano mettere in connessione le grandi macchie. Immaginando un sistema idrografico, chiamò mari le grandi macchie e canali le striature. Non implicava che fossero strutture artificiali, nelle mappe che disegnò diede loro nomi di fiumi.
Schiaparelli produsse la prima mappa di Marte a partire dai disegni fatti nella cupola durante l’opposizione del 1877 ma, a ogni allineamento propizio, tornava ad osservare Marte aggiungendo dettagli anche grazie ad un nuovo telescopio molto più grande e potente che il sempre attento Quintino Sella riuscì a fargli finanziare. Questo secondo telescopio venne poi trasferito a Merate è ora al Museo della scienza e tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano.
Schiaparelli era un astronomo famoso e gli articoli che scriveva in italiano venivano puntualmente tradotti magari in modo approssimativo. Avvenne così che la parola canali che, in italiano, può significare sia un braccio di mare sia un’opera di ingegneria, venne tradotta in inglese con canals, un sostantivo che indica strutture artificiali che devono esser costruite da qualcuno. Meglio sarebbe stato usare il termine channel, ma l’americano Percival Lowell, autore della traduzione, era un entusiasta sostenitore dell’esistenza dei marziani intelligenti e operosi.
Oggi sappiamo che le striature erano un’illusione ottica, ma rimane vero che la saga dei marziani è nata da osservazioni fatte sui tetti di Brera quando il cielo di Milano permetteva le ricerche astronomiche. In effetti, avendo osservato per decenni dal centro di Milano, Schiaparelli si era reso conto del progressivo deterioramento delle condizioni del cielo. Nel 1893 scriveva “il fumo del carbone rende l’atmosfera sempre più opaca, e l’abuso della luce elettrica comincia a togliere molto dell’oscurità della notte”. Questo non gli aveva impedito di continuare a salire le scale che univano il suo appartamento con le cupole dei due telescopi che aveva utilizzato in una lunga carriera svolta in modalità casa-bottega impensabile per gli astronomi di oggi, che devono fare lunghi viaggi per trovare un cielo buio. L’abuso della luce elettrica è oramai ovunque.






