SVILUPPATI MODELLI 2D E 3D DEGLI INTERNI PLANETARI

Anatomia di un pianeta di lava

Grazie all’uso di simulazioni all’avanguardia, uno studio guidato da Charles-Édouard Boukaré della York University (Toronto, Canada) ha svelato i meccanismi evolutivi dei pianeti di lava, offrendo nuove chiavi di lettura per comprendere la formazione e l’evoluzione di questi mondi, fra i più estremi dell’universo. Il risultato è stato pubblicato ieri su Nature Astronomy

     30/07/2025

Un mondo dove i mari sono oceani di magma e l’alba non arriva mai sul lato notturno. Non è fantascienza. Esistono davvero pianeti così: sono i cosiddetti pianeti di lava, esopianeti rocciosi e infuocati così estremi da sembrare usciti da un incubo mitologico. Grazie ai loro brevissimi periodi orbitali, questi pianeti sono relativamente facili da osservare e rappresentano un’occasione unica per studiare i processi fondamentali che guidano l’evoluzione planetaria.

Uno studio pubblicato ieri su Nature Astronomy, guidato da Charles-Édouard Boukaré della York University (Toronto, Canada), ha sviluppato il primo modello teorico completo dell’evoluzione interna e atmosferica di questi mondi estremi. Un passo avanti che potrebbe cambiare il modo in cui i ricercatori osservano, interpretano e classificano gli esopianeti più ostili dell’universo.

«I pianeti di lava si trovano in configurazioni orbitali così estreme che la nostra conoscenza dei pianeti rocciosi del sistema Solare non è direttamente applicabile, lasciando molte incertezze su cosa aspettarsi quando li osserviamo», spiega Boukaré. «Le nostre simulazioni propongono un modello concettuale per interpretare la loro evoluzione e fornire scenari che permettano di indagarne la dinamica interna e i cambiamenti chimici nel tempo. Questi processi, sebbene amplificati nei pianeti di lava, sono fondamentalmente gli stessi che modellano i pianeti rocciosi del nostro Sistema solare».

Illustrazione artistica della struttura interna di un pianeta di lava in stato “freddo”, con un oceano di magma sul lato diurno sormontato da un’atmosfera minerale. Le frecce indicano la direzione del trasporto di calore all’interno del pianeta e la radiazione termica emessa dal lato notturno. Crediti: Romain Jean-Jaques (Instagram: @romainjean.jacques)

I mondi di lava hanno le dimensioni della Terra o poco più, e orbitano così vicino alle loro stelle da completare un giro in meno di un giorno terrestre. Si presume che siano in rotazione sincrona con la propria stella – volgendo dunque verso di essa sempre lo stesso lato, come la Luna con la Terra – e che le temperature estreme sul lato diurno facciano sì che le rocce di silicati si fondano e si vaporizzino, creando condizioni che non trovano eguali nel nostro Sistema solare.

La ricerca condotta integra competenze in meccanica dei fluidi geofisici, atmosfere esoplanetarie e mineralogia per esplorare come la composizione dei pianeti di lava si evolva attraverso un processo simile alla distillazione. Dunque, quando le rocce si fondono o si vaporizzano, elementi come magnesio, ferro, silicio, ossigeno, sodio e potassio si distribuiscono in modo differente tra le fasi solido, liquido e gassoso. Le particolari condizioni orbitali di questi pianeti mantengono l’equilibrio tra le diverse fasi per miliardi di anni, guidando un’evoluzione chimica a lungo termine.

Ed è proprio questa evoluzione interna dei pianeti di lava che gli scienziati hanno simulato, per osservare i cambiamenti nell’arco di miliardi di anni, dallo stato iniziale completamente fuso fino alla quasi totale solidificazione. Hanno usato modelli numerici avanzati combinando simulazioni bidimensionali (2d), per studiare il comportamento di solidi e liquidi, e simulazioni sferiche 3d, per includere forma, turbolenza e rotazione. In particolare, in 2d è stato utilizzato il modello basato sul pianeta K2-141 b, considerando che più della metà della sua superficie è illuminata dalla luce della stella. In 3d, invece, si è ipotizzato che solo metà del pianeta riceva luce. In entrambi i modelli, il pianeta ha un raggio pari a 1,5 volte quello terrestre e il confine tra nucleo e mantello è stato fissato a metà strada, in linea con la sua densità stimata.

Grazie a queste simulazioni numeriche avanzate, il team di ricerca ha identificato due possibili scenari evolutivi estremi dei pianeti di lava. Nel primo caso, che riguarda probabilmente i pianeti più giovani, l’interno è ancora completamente fuso, l’atmosfera riflette la composizione chimica dell’intero pianeta e il trasporto di calore mantiene caldo e dinamico anche il lato notturno. Nel secondo caso, più comune nei pianeti più vecchi, l’interno si è in gran parte solidificato. Rimane solo un oceano di lava superficiale sul lato diurno, mentre l’atmosfera si impoverisce di elementi come sodio, potassio e ferro, probabilmente a causa delle temperature estreme. Boukaré ricorda come la ricerca sui pianeti di lava fosse iniziata come un progetto altamente esplorativo, senza aspettative precise. Eppure, le simulazioni e le ipotesi sviluppate nel corso del lavoro si sono rivelate così solide da diventare la base per un importante programma di osservazione con il James Webb Space Telescope (Jwst).

Finora, questi esopianeti sono stati osservati quasi esclusivamente come istantanee, frammenti fissi nel tempo, senza indizi sul loro passato né prospettive sul loro futuro. Il nuovo studio, invece, apre la possibilità di raccontarli come mondi in evoluzione, tracciandone la storia e i cambiamenti, spiega e conclude Boukaré: «Speriamo davvero di poter osservare e distinguere i pianeti lavici più vecchi da quelli più giovani. Se ci riuscissimo, segneremmo un passo importante verso il superamento della tradizionale visione istantanea degli esopianeti».

Per saperne di più: