COLTO NELL’ATTO DI CIBARSI DI UNA STELLA DELL’AMMASSO

Individuato un buco nero di massa intermedia

Il telescopio spaziale Hubble e l’osservatorio a raggi X Chandra hanno individuato quello che potrebbe essere un buco nero di massa intermedia: un oggetto estremamente raro nell’universo. La luminosa sorgente di raggi X, chiamata Ngc 6099 Hlx-1, sembra risiedere in un ammasso globulare all’interno di una galassia ellittica gigante. Tutti i dettagli su ApJ

     24/07/2025

Il telescopio spaziale Hubble e l’osservatorio a raggi X Chandra della Nasa hanno collaborato per individuare un nuovo possibile esemplare di una rara classe di buchi neri, quelli di massa intermedia. Chiamata Ngc 6099 Hlx-1, la luminosa sorgente di raggi X oggetto dello studio congiunto sembra risiedere in un ammasso globulare all’interno di una galassia ellittica gigante.

Le due galassie ellittiche visibili in questa immagine sono Ngc 6099 (sotto) e Ngc 6098 (sopra). Il pallino viola è il transiente X che si pensa essere dovuto al buco nero di massa intermedia. Il puntino bianco dentro il pallino viola è probabilmente un ammasso globulare di Ngc 6099 che contiene il buco nero di massa intermedia. Crediti: Nasa/Hst, Chang et al.

Pochi anni dopo il suo lancio, avvenuto nel 1990, Hubble ha scoperto che tutte le galassie possono ospitare nel loro centro buchi neri supermassicci, la cui massa è milioni o miliardi di volte quella del Sole. Inoltre, ospitano anche milioni di buchi neri più piccoli – i cosiddetti buchi neri stellari – ognuno dei quali si forma quando una stella massiccia (con una massa inferiore a 100 masse solari) raggiunge il termine della propria vita.

I buchi neri di massa intermedia (in inglese, Intermediate-mass black hole, o Imbh), con masse che vanno da alcune centinaia fino a centinaia di migliaia di volte quella del Sole, sono molto più elusivi. Non troppo grandi né troppo piccoli, spesso risultano invisibili perché non assorbono tanto gas e tante stelle quanto i buchi neri supermassicci, i quali, proprio grazie a questo processo, emettono potenti radiazioni e risultano visibili. I buchi neri di massa intermedia, per essere individuati devono essere colti nell’atto di “cibarsi”. Quando occasionalmente divorano una stella sfortunata che gli capita nei paraggi – in quello che gli astronomi chiamano evento di distruzione mareale – emettono una raffica di radiazioni, che possiamo riuscire a cogliere.

Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal, riporta l’identificazione del più recente candidato a buco nero di massa intermedia, individuato grazie ai dati dei due telescopi spaziali. L’oggetto si trova alla periferia della galassia Ngc 6099, a circa 40mila anni luce dal suo centro. La galassia stessa dista circa 450 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione di Ercole. Al centro di Ngc 6099 si presume risieda un buco nero supermassiccio attualmente in stato di quiete.

Gli astronomi hanno osservato per la prima volta un’insolita sorgente di raggi X nel 2009 grazie a una immagine ripresa dal telescopio Chandra e ne hanno seguito l’evoluzione con l’osservatorio spaziale Xmm-Newton dell’Esa. «Queste sorgenti di raggi X molto luminose sono estremamente rare e possono essere cruciali per identificare gli elusivi buchi neri di massa intermedia. Rappresentano un anello mancante fondamentale nell’evoluzione dei buchi neri, tra quelli di massa stellare e i buchi neri supermassicci», spiega la prima autrice Yi-Chi Chang, dottoranda presso la National Tsing Hua University di Hsinchu, Taiwan.

L’emissione di raggi X proveniente da Ngc 6099 Hlx-1 ha una temperatura di 3 milioni di gradi, compatibile con un evento di distruzione mareale. Hubble da parte sua ha trovato prove dell’esistenza di un piccolo ammasso stellare intorno al buco nero, che darebbe al buco nero molto da mangiare, visto che le sue stelle sono ammassate l’una all’altra, a distanze di pochi mesi luce (circa 800 miliardi di chilometri).

Il presunto Imbh ha raggiunto la massima luminosità nel 2012 e poi ha continuato ad affievolirsi fino al 2023. Le osservazioni ottiche e a raggi X del periodo non si sovrappongono e questo complica l’interpretazione. Il buco nero potrebbe aver fatto a pezzi una stella catturata, creando un disco di plasma che mostra variabilità, oppure potrebbe aver formato un disco la cui luminosità aumenta quando il gas precipita verso il buco nero.

Roberto Soria, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Torino, secondo autore dello studio. Crediti: R. Soria

«Se l’Imbh sta mangiando una stella, quanto tempo impiega per inghiottire il suo gas? Nel 2009, Hlx-1 era abbastanza luminoso. Poi, nel 2012, era circa 100 volte più luminoso. E poi è sceso di nuovo», riferisce il coautore dello studio Roberto Soria dell’Istituto nazionale di astrofisica di Torino, uno dei supervisor della prima autrice. «Dobbiamo attendere e vedere se avrà altri picchi di attività, oppure se c’è stato un inizio, un picco, e adesso la sua luminosità diminuirà fino a scomparire».

Come sottolineato dal team, una survey sui buchi neri di massa intermedia potrebbe rivelare come si formano i buchi neri supermassicci più grandi. Attualmente esistono due ipotesi alternative in proposito. Una prevede che i buchi neri di massa intermedia siano i semi per la nascita di buchi neri ancora più grandi attraverso la coalescenza, poiché le grandi galassie crescono accogliendo galassie più piccole. Anche il buco nero al centro di una galassia cresce con queste fusioni. Le osservazioni di Hubble hanno scoperto che più massiccia è la galassia, più grande è il buco nero. Il quadro che emerge da questa nuova scoperta è che le galassie potrebbero avere Imbh “satelliti” che orbitano nell’alone della galassia ma non sempre cadono al centro.

Un’altra ipotesi è che le nubi di gas al centro degli aloni di materia oscura nell’universo primordiale non producano prima stelle, ma collassino direttamente in un buco nero supermassiccio. La scoperta da parte del James Webb Space Telescope che i buchi neri molto distanti sono sproporzionatamente più massicci rispetto alla galassia che li ospita tende a sostenere questa idea.

Tuttavia, potrebbe esserci un pregiudizio osservativo nell’individuazione dei buchi neri estremamente massicci nell’universo lontano, poiché quelli di dimensioni inferiori sono troppo deboli per essere rilevati. In realtà, potrebbe esistere una maggiore varietà nei modi in cui l’universo accresce i buchi neri. I buchi neri supermassicci che collassano all’interno di aloni di materia oscura potrebbero semplicemente crescere in modo diverso rispetto a quelli che si trovano nelle galassie nane, dove l’accrescimento potrebbe rappresentare il meccanismo di crescita predominante.

«Quindi, se siamo fortunati, troveremo più buchi neri liberi che diventano improvvisamente luminosi ai raggi X a causa di un evento di distruzione mareale. Se riuscissimo a fare uno studio statistico, sapremmo quanti di questi Imbh ci sono, quanto spesso distruggono una stella, come le galassie più grandi sono cresciute assemblando galassie più piccole», conclude Soria.

Chandra e Xmm-Newton osservano solo una piccola frazione del cielo, quindi rilevano nuovi eventi di distruzione mareale – in cui i buchi neri divorano le stelle – solo occasionalmente. Il Vera C. Rubin Observatory, in Cile, potrebbe invece individuare questi eventi in luce ottica fino a centinaia di milioni di anni luce di distanza. Osservazioni successive con Hubble e Webb potranno rivelare l’ammasso di stelle che circonda il buco nero.

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