TROVATI GRANI SIMILI A QUELLI PRESENTI NELLA VIA LATTEA

Polvere di carbonio in una galassia primordiale

Osservazioni condotte con il James Webb Space Telescope della galassia Jades-Gs-z6-0, a oltre 13 miliardi di anni luce da noi, mostrano una caratteristica sorprendente: una “gobba” nell’ultravioletto che rivela la presenza di idrocarburi policiclici aromatici. Abbiamo intervistato la prima autrice dello studio pubblicato oggi su ApJL, Ambra Nanni del Centro nazionale per la ricerca nucleare polacco

     14/07/2025

La polvere cosmica, ricca di silicati e carbonio, è ovunque: invisibile a occhio nudo, ma fondamentale per la nascita di stelle, pianeti e persino della vita come la conosciamo. Comprendere dove, come e quando si forma ci aiuta a ricostruire la storia dell’universo e forse anche la nostra qui sulla Terra. Un recente studio guidato dal Centro nazionale di ricerca nucleare polacco ha gettato nuova luce su questo tema grazie a uno degli strumenti più potenti mai costruiti e attualmente in orbita: il telescopio spaziale James Webb, che di polvere cosmica se ne intende.

Questa immagine evidenzia la posizione della galassia Jades-Gs-z6 in una porzione della regione celeste nota come Goods-South, osservata nell’ambito del programma Jwst Advanced Deep Extragalactic Survey, o Jades. Crediti: Esa/Webb, Nasa, Csa, B. Robertson (Uc Santa Cruz), B. Johnson (Center for Astrophysics, Harvard & Smithsonian), S. Tacchella (University of Cambridge), M. Rieke (Univ. of Arizona), D. Eisenstein (Center for Astrophysics, Harvard & Smithsonian), A. Pagan (STScI), J. Witstok (University of Cambridge)

La galassia al centro dell’articolo scientifico, pubblicato oggi sulla rivista The Astrophysical Journal Letters, è Jades-Gs-z6-0, a oltre 13 miliardi di anni luce da noi: risale cioè a quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni (tecnicamente a redshift z ∼6,7). Eppure, il suo spettro mostra una caratteristica sorprendente: una “gobba” nell’ultravioletto che rivela la presenza di grani di carbonio complessi, noti come idrocarburi policiclici aromatici (in inglese polycyclic aromatic hydrocarbons o Pahs) e simili a quelli che troviamo nella Via Lattea. Una scoperta sorprendente, che potrebbe riscrivere ciò che sappiamo sulla rapidità con cui l’universo si è arricchito di elementi complessi.

Cosa vuol dire? I dati raccolti dal gruppo di ricerca suggeriscono che la galassia abbia già attraversato un processo rapido e intenso di arricchimento chimico, nonostante si trovi in un’epoca molto giovane dell’universo. Lo studio propone due possibili scenari per spiegare la presenza di questi grani: o una produzione efficiente da parte delle supernove, oppure un processo di accrescimento nel mezzo interstellare. Ne abbiamo parlato con la responsabile dello studio, Ambra Nanni, ricercatrice al Centro nazionale di ricerca nucleare di Varsavia e associata all’Inaf d’Abruzzo che dal 2021 guida il progetto “Dingle”, finanziato dal National Science Centre, in Polonia, e incentrato sullo studio dell’evoluzione delle polveri ed emissione infrarossa attorno alle giganti rosse e nel mezzo interstellare di galassie vicine e lontane.

Nanni, da cosa deriva il suo interesse nello studio delle polveri cosmiche e delle galassie primordiali? E come vi aiuta a capire anche le nostre origini e la formazione dei pianeti?

«La polvere è ovunque nell’universo e sebbene rappresenti solo una piccola frazione in massa dei barioni (circa l’1 per cento) ha un ruolo fondamentale per molti processi fisici e chimici come la formazione di stelle, pianeti, e persino molecole, l’evoluzione stellare, e l’evoluzione spettrale delle galassie siccome I grani di polvere assorbono la luce delle stelle giovani nell’ultravioletto e nell’ottico e la riemettono nell’infrarosso. Dunque, lo studio delle polveri e della loro evoluzione è di fondamentale importanza per comprendere vari processi fisici nel nostro Universo dalle piccole alle grandi scale. La polvere nelle nubi interstellari costituisce poi quelli che sono i mattoni da cui formare planetisimi e i pianeti come la Terra. Quindi studiare come evolvono le polveri, ad esempio nei grani presolari nei meteoriti, è essenziale per capire anche le origini del nostro Sistema solare. I grani presolari sono stati inglobati, infatti, nei meteoriti all’epoca della formazione del nostro Sistema solare portando informazioni sulle sue origini».

Ambra Nanni, National Centre for Nuclear Research e Inaf

Perché avete scelto proprio la galassia Jades-Gs-z6-0 come obiettivo del vostro studio? E questa “gobba” nell’ultravioletto cosa indica?

«La galassia Jades-Gs-z6-0 si trova a redshift di circa 6,7 che corrisponde a circa 800 milioni di anni di età dell’universo. Il telescopio James Webb ha rivelato per la prima volta prove della presenza di polvere di carbonio in galassie fino a redshift 7. La galassia Jades-Gs-z6-0 presenta una protuberanza particolarmente pronunciata che indica la presenza di piccoli grani di carbonio, compatibili con idrocarburi policiclici aromatici osservati anche nella nostra Via Lattea. Ciò implica anche che questa galassia abbia formato carbonio molto più velocemente di quanto ci si aspetterebbe. In questo studio, abbiano analizzato quali possono essere i canali di produzione di questi grani. In particolare, esplosioni da stelle massicce (supernove), evoluzione di stelle di massa intermedia (giganti rosse) e accrescimento di grani nel mezzo interstellare. Per il nostro studio abbiamo utilizzato modelli di evoluzione chimica delle galassie e codici di trasporto radiativo per modellizzare come la radiazione delle stelle nella galassia viene riprocessata dalle polveri. Questo ha permesso di produrre spettri teorici calcolati in base a diverse assunzioni nei modelli di evoluzione chimica che sono stati confrontati con lo spettro osservato».

Perché è così interessante studiare la presenza di polvere di carbonio in un periodo così “giovane”?

«Il motivo principale è che non ci si aspetterebbe una quantità cospicua di carbonio già a quest’epoca. In particolare, le stelle giganti rosse, che evolvono più lentamente rispetto ai progenitori delle supernove e alle quali viene attribuita la maggior parte della produzione di grani di carbonio nell’universo locale, potrebbero non avere tempo a sufficienza per produrre questo materiale a quest’epoca della storia dell’universo, come ha anche evidenziato il nostro studio».

Avete ipotizzato due percorsi principali per spiegare la formazione di queste polveri: ce li può spiegare? Quale sembra il più plausibile oggi?

«In molti lavori in letteratura si è ipotizzato che gli idrocarburi policiclici aromatici possano formarsi da frammentazione di grani più grossi nel mezzo interstellare, ma la nostra analisi ha evidenziato che questo difficilmente è il canale principale nella galassia Jades-Gs-z6-0. Di conseguenza, abbiamo analizzato la possibilità che gli idrocarburi policiclici aromatici possano essere prodotti, oltre che dalle giganti rosse, dall’evoluzione di stelle massicce (venti stellari o supernove) e/o dalla formazione diretta nel mezzo interstellare. Al momento, non è possibile distinguere fra i due scenari in basi alla nostra analisi, e sono necessari ulteriori studi».

Quanto siamo vicini a comprendere davvero come si formano polveri e metalli nelle prime galassie?

«Ci sono ancora molte domande aperte sul tema, come ad esempio se le supernove siano produttrici o distruttrici di polvere. Infatti l’esplosione delle supernove non è solo all’origine della produzione di polveri, ma induce delle onde d’urto in grado di distruggere gli stessi grani già presenti nel mezzo interstellare. Un’altra questione aperta riguarda l’efficienza di accrescimento dei grani nel mezzo interstellare, un processo non ancora compreso dal punto di vista microscopico. Tramite il confronto fra osservazioni come quelle del James Webb e previsioni teoriche potremmo comprendere meglio questi processi fisici».

Lei svolge attualmente attività di ricerca in Polonia. Ci sono differenze significative rispetto ad altri contesti europei?

«Lavoro presso il Centro nazionale per la ricerca nucleare, nel gruppo di astrofisica. Negli ultimi anni, tre membri del gruppo hanno ottenuto finanziamenti nazionali per progetti sulla polvere cosmica, e questo ci ha permesso di costruire una collaborazione ampia che ha coinvolto i tre responsabili scientifici, due postdoc e cinque dottorandi. Una particolarità del sistema polacco è che, diversamente da molti altri paesi europei, è possibile ottenere finanziamenti nazionali anche senza avere una posizione permanente. Questo dà ai giovani ricercatori l’opportunità concreta di iniziare a costruirsi un gruppo, fare esperienza come principal investigator e rafforzare il proprio profilo scientifico. Dal punto di vista umano, l’ambiente è internazionale, il che significa confrontarsi con una varietà di approcci e mentalità: un aspetto di sicuro stimolante».

Cosa l’ha spinta a intraprendere il suo percorso professionale lontana dall’Italia? E che opportunità o sfide ha incontrato lungo il cammino?

«Ho iniziato il mio percorso professionale in Polonia come postdoc assistant professor, successivamente, ho ottenuto un finanziamento a lungo termine (di cinque anni), che mi ha permesso di assumere un postdoc e un dottorando. È stata per me un’importante opportunità di crescita, sia scientifica che personale, e l’occasione concreta per iniziare a costruire in modo indipendente un piccolo gruppo di ricerca. Le sfide, naturalmente, non sono mancate. Le principali riguardano la lingua, la burocrazia — che bisogna imparare a conoscere e gestire per far funzionare un progetto — e, più in generale, l’adattamento a un sistema accademico diverso, che, come in molti altri paesi, richiede tempo per essere compreso fino in fondo».

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