DIECI SORPRESE COSMICHE DA TRE ANNI DI OSSERVAZIONI

Buon anniversario, James Webb!

Domani ricorre il terzo compleanno dalla prima immagine del James Webb Space Telescope, presentata al mondo il 12 luglio 2022. In tre anni di attività questo strumento ha rivoluzionato le nostre conoscenze sull'universo. Vi raccontiamo dieci sorprese cosmiche selezionate dalla Nasa di questi primi tre anni di osservazioni

     11/07/2025

Era il 12 luglio del 2022, in Italia era da poco scoccata la mezzanotte quando l’allora presidente degli Stati Uniti Joe Biden presentò in diretta mondiale la prima immagine del James Webb Space Telescope, il più potente (e costoso) telescopio spaziale che sia mai stato costruito.

Sono passati tre anni, e da allora questo prodigioso strumento, sensibile come nessuno alla luce infrarossa, sta rivoluzionando le nostre conoscenze, dallo studio delle atmosfere planetarie alla scoperta delle galassie che per prime si sono accese nel buio cosmico, a immani lontananze dal nostro pianeta.

La presentazione al mondo della prima immagine di Jwst, il 12 luglio 2022. Crediti: Nasa/Bill Ingalls

Da quell’estate, Webb ha completato più di 860 programmi scientifici, con un quarto del suo tempo dedicato alla raccolta di immagini e i restanti tre quarti destinati alla spettroscopia. La mole di dati raccolti ammonta a quasi 550 terabyte, dati confluiti in oltre 1600 pubblicazioni scientifiche.

Per l’occasione, la Nasa ha stilato una compilation di dieci sorprese cosmiche che Webb ci ha regalato in questi primi tre anni di attività. Ve le raccontiamo.

1. L’universo si è evoluto molto più velocemente di quel che si pensava

Ne ha trovate svariate, a solo qualche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Appaiono decisamente brillanti e ricche di elementi chimici. Sono le prime galassie che si sono formate nell’universo, la cui luce ci raggiunge dalla cosiddetta alba cosmica, l’epoca in cui i primi astri si sono accesi.

Se tre anni fa a qualche astronomo fosse stato mostrato questo identikit, probabilmente in pochi avrebbero scommesso che le prime galassie avessero questa faccia. E che Webb ne trovasse così tante e con così tanta facilità. Flebili e rare, ce le saremmo immaginate così, piuttosto. E invece l’universo ci ha sorpresi, rivelandosi decisamente più precoce di quel che si pensava.

Da menzionare in questo senso sono certamente Jades-Gs-z14-0, per un annetto detentrice del record di galassia più lontana mai osservata, a 13 miliardi e mezzo di anni luce dalla Terra e la cui scoperta è stata a guida italiana; e Gn-z11, scoperta con Hubble ma osservata da Webb con dettagli mai visti, col suo profluvio di elementi chimici generati dalle prime generazioni di stelle che l’universo ha prodotto.

Ma le sorprese non finiscono qui, tra buchi neri che sembrano decisamente grossi per la loro età, e galassie che paiono gemelle della Via Lattea solo seicento milioni di anni dopo il Big Bang. E poi ci sono quelle che anziché lanciarsi in pirotecniche accensioni di nuovi astri hanno inopinatamente cessato ogni attività, o che somigliano in tutto e per tutto a maestose galassie a spirale, che nulla hanno da invidiare a quelle che popolano l’universo vicino, benché abbiano avuto solo un miliardo e mezzo d’anni per assumere tali grandiose fattezze. Per non parlare di quelle che hanno perforato muri di idrogeno che pensavamo invalicabili, raggiungendoci coi loro fotoni ultravioletti, spediti nell’infrarosso a causa dell’espansione dell’universo.

Tutto ciò appare straordinario se si pensa che è accaduto in poche centinaia di milioni di anni, un “soffio”, se lo si paragona con l’età dell’universo, che è di quasi 14 miliardi di anni.

Lo spettro della galassia Gn-z11, distante 13,4 miliardi di anni luce dalla Terra, osservato con lo spettrografo NirSpec di Webb. Molti degli elementi chimici indicati sono stati prodotti dalle prime generazioni di stelle che si sono accese nell’universo. Crediti: Bunker et al., A&A, Jades collaboration

2. Lo spazio è costellato da enigmatici puntini rossi

Piccoli punti rossi, li hanno chiamati (little red dots), e stanno dando notevole filo da torcere agli scienziati almeno dall’estate del 2023, quando un gruppo di ricercatori ne ha annunciato la scoperta. Da allora si può dire che abbiano scatenato una sorta di isteria tra gli astronomi, che ha generato numerosissimi studi per decifrare questi enigmatici oggetti, che appaiono compatti e di colore rosso nelle immagini di Webb. Una parte di loro sembrerebbe essere animata da buchi neri supermassicci alimentati dall’accrescimento di gas. I misteriosi puntini rossi hanno fatto la loro apparizione nell’universo seicento milioni di anni dopo il Big Bang, quando erano piuttosto abbondanti. Da allora il loro numero sembrerebbe essersi ridotto, ma secondo studi recenti potrebbero essercene ancora un bel po’, anche qualche miliardo d’anni dopo il Big Bang. E allora dove sono? E di che pasta sono fatti e come si evolvono nel corso del tempo? Prima di Webb ne ignoravamo l’esistenza e oggi domande come queste tormentano le notti degli astronomi.

Alcuni degli elusivi piccoli punti rossi (little red dots) scoperti da Webb. Crediti: Matthee et al., ApJ

3. Webb conferma la “tensione di Hubble

L’universo è in espansione. Ma quanto velocemente si sta espandendo? Attualmente metodi diversi forniscono risposte diverse a questa domanda cruciale della cosmologia. Le possibilità sono due: che ci sia qualcosa di sbagliato nelle misure o che l’universo stia dando particolare sfoggio della sua bizzarria. Webb è riuscito a distinguere le stelle pulsanti in un campo molto affollato di stelle vicine, confermando l’accuratezza delle misure precedenti del telescopio Hubble dell’omonima costante. Ha inoltre stimato il tasso di espansione dell’universo sfruttando un’esplosione di supernova a oltre dieci miliardi di anni luce dalla Terra, che ci è giunta triplicata in tre momenti diversi nelle immagini grazie al lensing gravitazionale. I due metodi sono indipendenti e forniscono, ancora una volta, stime inconsistenti della costante di Hubble, confermando l’allarmante tensione.

4. Le atmosfere degli esopianeti giganti sono sfaccettate

Era il 2001 quando il telescopio Hubble rivelò per la prima volta i gas nell’atmosfera di un pianeta orbitante attorno a una stella diversa dal Sole. Oltre vent’anni dopo, Webb ci consegna dettagli raffinatissimi delle atmosfere degli esopianeti gassosi, che si rivelano un cocktail sorprendente di velenosissimo idrogeno solforato, ammoniaca, anidride carbonica, metano e anidride solforosa. Nessuno di questi gas era stato rivelato al di fuori del Sistema solare. Il prodigioso telescopio spaziale si è spinto a scrutare i fiocchi di silice che “nevicano” sul pianeta Wasp-17b e ha studiato le differenze di temperatura e di copertura nelle nubi tra gli eterni mattini e le eterne notti di Wasp-39b, pianeta che rivolge alla sua stella sempre la stessa faccia. Proprio come la Luna alla Terra.

Gli spettri Hubble (in verde) e Webb (in giallo e magenta) dell’esopianeta Wasp-107b. L’atmosfera dell’esopianeta presenta chiare tracce d’acqua, monossido e diossido di carbonio, metano, anidride solforosa e ammoniaca. Crediti: Nasa, Esa, Csa, R. Crawford (StScI)

5. Vedute inedite delle atmosfere degli esopianeti rocciosi

Impresa ardua è scorgere quel velo sottilissimo che è l’atmosfera di un piccolo pianeta roccioso. Ma evidentemente non lo è abbastanza da mettere in crisi le capacità di Webb, in virtù della sua superba sensibilità, che gli consente di cogliere variazioni minime della radiazione infrarossa che ci raggiunge dagli esopianeti. Finora, Webb ha escluso la presenza di atmosfera in numerosi pianeti rocciosi e ha rilevato possibili tracce o di monossido o di diossido di carbonio in 55 Cancri, un pianeta la cui superficie potrebbe presentarsi sotto forma di magma, e che orbita attorno a una stella simile al Sole. I risultati di Webb sono preparatori in vista dell’Habitable Worlds Observatory, prima missione della Nasa che verrà dedicata interamente alla ricerca di vita su esopianeti simili alla Terra, orbitanti attorno a stelle come il Sole.

6. Primi piani mozzafiato delle galassie a spirale vicine

Semplicemente magnifiche, coi loro imponenti bracci scolpiti dalla polvere che riluce alle lunghezze d’onda infrarosse. Pullulanti di bolle scavate da stelle giovani e caldissime, talvolta avvilupate in bozzoli di polvere e gas. Mentre le stelle vecchie si addensano nelle regioni centrali. Sono le galassie a spirale che ci consegna lo sguardo di Webb. Mai abbiamo potuto ammirare la struttura di queste galassie con tanti, strabilianti, dettagli. Immagini di questo tipo stanno aiutando gli astronomi a capire qualcosa in più su come i venti stellari e le esplosioni di supernova modellano gli ambienti galattici. Ogni telescopio ha un suo sguardo e ci costringe a modificare il nostro, mentre proviamo a decifrare questo irrefrenabile generatore di enigmi e di meraviglie che è l’universo.

La galassia a spirale Ngc 4254 vista da Webb. Crediti: Nasa, Esa, Csa, StScI, J. Lee, T. Williams e il team di Phangs

7. Nane brune e pianeti erranti possono risultare indistinguibili

Stelle mancate o pianeti vagabondi? Questo è il dilemma. Le prime non sono altro che nane brune, oggetti freddi e fiochi che potrebbero formarsi come le stelle ma che non raggiungono le condizioni per innescare la fusione dell’idrogeno all’interno del nucleo. I secondi sono invece pianeti espulsi dai loro sistemi planetari, e che vagano per gli spazi interstellari, orfani della loro stella. Webb ha stanato centinaia di nane brune nella Via Lattea, e qualcuna l’ha vista anche in una galassia vicina. Ma, in alcuni casi, si tratta di oggetti così piccoli, grossi qualche volta la massa di Giove, che non è facile dire se siano nane brune o pianeti erranti. Non ne siamo ancora certi, ma i dati di Webb suggeriscono che ci sia una sequenza continua che include pianeti, nane brune e stelle. Insomma, la demarcazione fra questi oggetti può essere meno netta del previsto certe volte.

8. Certe volte si sopravvive alla morte di una stella

Esiste una distanza di sicurezza per sopravvivere alla fine di una stella? Sembrerebbe di sì. Webb potrebbe aver trovato alcuni pianeti che orbitano attorno a delle nane bianche. Quando una stella come il nostro Sole si avvia alla conclusione della propria sfolgorante esistenza, diventa una gigante rossa e i suoi strati esterni si espandono, travolgendo gli sventurati pianeti che si trovano nei paraggi. Una volta espulsi i livelli più esterni, quel che rimane è una caldissima nana bianca. Se i risultati di Webb verranno confermati, vorrebbe dire che certi pianeti escono indenni dalla morte della loro stella, continuando ad orbitare attorno ad essa, tramutata in altra forma.

9. Il gigantesco geyser di Encelado

Si è fatta conoscere per i suoi geyser, Encelado, luna di Saturno tra le più intriganti del nostro sistema planetario. Era stata la missione Cassini la prima a notarli, presso il polo sud di questa vivacissima luna. Ma solo grazie a Webb è stato possibile stimare le dimensioni di questa imponente colonna di vapore acqueo, che si innalza per circa diecimila chilometri, più o meno venti volte il diametro di Encelado. L’acqua si diffonde in una struttura toroidale che circonda Saturno e il suo sistema di anelli, e alimenta l’intero sistema saturniano, mentre parte di essa addirittura “piove” sul gigante gassoso. Con le sue impressionanti osservazioni di aurore, anelli, ghiacci, nubi, venti e gas, Webb sta rivoluzionando lo studio dei pianeti del Sistema solare, rivelandone sfaccettature mai viste e aiutandoci a comprendere come si sono evoluti nel corso del tempo.

La colonna di vapore acqueo espulsa dal polo sud di Encelado. L’imponente geyser è venti volte più grande della vivace luna di Saturno, che occupa il pixel riquadrato in rosso, e che possiamo vedere ingrandita nel riquadro in alto a sinistra. Crediti: Nasa, Esa, Csa, StScI, G. Villanueva, A. Pagan

10. A caccia di asteroidi potenzialmente pericolosi

Lo scorso anno un asteroide ha fatto parlare di sé in quanto potenzialmente rischioso per il nostro pianeta. Immediatamente puntato sull’oggetto, Webb ha consentito di stimarne le dimensioni, pari a quelle di un palazzo di quindici piani. Fortunatamente, l’asteroide in questione si è poi rivelato innocuo per il nostro pianeta. Ciononostante, questo esperimento ha evidenziato le capacità di Webb di studiare oggetti di questo tipo. Inoltre, Webb è stato puntato assieme ad Hubble verso Didymos e Dimorphos, sistema binario di asteroidi su cui si è schiantata (intenzionalmente) la sonda Dart (Double Asteroid Redirection Test) della Nasa, per testare le nostre capacità di deviare un asteroide in rotta di collisione col nostro pianeta. Le osservazioni spettroscopiche di Webb hanno mappato la composizione chimica del materiale espulso durante l’impatto con Dimorphos, dimostrando che il sistema bersagliato da Dart è rappresentativo degli asteroidi di tipo condrite che transitano nelle vicinanze del nostro pianeta. E che potrebbero rappresentare una pericolo.

Per il futuro? Secondo gli scienziati, Webb ha ancora davanti a sé almeno vent’anni di attività. In tre anni di osservazioni questo eccezionale strumento più che fornirci risposte non ha fatto altro che sollevare nuove, mirabili domande sui fatti inusitati che accadono nell’universo, interrogativi che neppure c’immaginavamo, prima che le immagini e gli spettri ottenuti dal suo impareggiabile occhio ci raggiungessero. Non ci resta che restare in attesa delle nuove, meravigliose storie che Webb ci narrerà. Attraverso il suo sguardo.

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