Al National Astronomy Meeting (Nam) della Royal Astronomical Society, attualmente in corso a Durham, due astronomi del Regno Unito domani pomeriggio presenteranno il loro ultimo studio, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, secondo il quale la Terra e l’intera Via Lattea potrebbero trovarsi all’interno di un enorme vuoto cosmico, in cui lo spazio si espande più velocemente rispetto alle regioni circostanti dell’universo. Se fosse davvero così, la loro teoria rappresenterebbe una potenziale soluzione alla cosiddetta tensione di Hubble.

Se ci trovassimo in una regione con densità inferiore alla media, come quella indicata dal punto verde, la materia si allontanerebbe da noi a causa della maggiore gravità esercitata dalle regioni circostanti più dense, come mostrato dalle frecce rosse. Crediti: Moritz Haslbauer e Zarija Lukic
La costante di Hubble, proposta per la prima volta da Edwin Hubble nel 1929 per descrivere la velocità di espansione dell’universo, può essere determinata a partire dalla distanza degli oggetti celesti e dalla loro velocità di allontanamento da noi. Oppure, per determinarla si può usare il fondo cosmico a microonde (Cmb). Il problema è che le misurazioni basate sul Cmb – sull’universo primordiale, quindi, molto distante nel tempo e nello spazio – forniscono un valore della costante inferiore rispetto a quello ottenuto osservando l’universo locale. È proprio questa fastidiosa discrepanza a essere nota come tensione di Hubble.
«Una possibile soluzione a questa discrepanza è che la nostra galassia si trovi vicino al centro di un grande vuoto locale», spiega Indranil Banik dell’Università di Portsmouth. «Ciò causerebbe un’attrazione gravitazionale della materia verso l’esterno del vuoto, a maggiore densità, tale per cui “il vuoto si svuota” nel tempo. Man mano che il vuoto si svuota, la velocità degli oggetti che si allontanano da noi sarebbe maggiore rispetto a quella che si avrebbe se il vuoto non ci fosse. Questo dà quindi l’impressione di un tasso di espansione locale più rapido».
«La tensione di Hubble è in gran parte un fenomeno locale, con scarse prove che il tasso di espansione non sia in linea con le aspettative della cosmologia standard più indietro nel tempo», continua Banik. «Quindi una soluzione locale come un vuoto locale è un modo promettente per risolvere il problema».

Le oscillazioni acustiche barioniche (Bao) – il “suono del Big Bang” – supportano l’idea di un vuoto locale. Crediti: Gabriela Secara, Perimeter Institute
Affinché l’idea regga, la Terra e il Sistema solare dovrebbero trovarsi vicino al centro di un vuoto di circa un miliardo di anni luce di raggio e con una densità di circa il 20 per cento inferiore alla media dell’universo nel suo complesso. Effettivamente, il conteggio diretto delle galassie nel vicino infrarosso supporta tale ipotesi, poiché la densità dell’universo locale sembra essere inferiore rispetto a quella delle regioni limitrofe. Tuttavia, l’esistenza di un vuoto così vasto e profondo è controversa, poiché non si accorda facilmente con il modello cosmologico standard, secondo il quale la materia, su scale così grandi, dovrebbe essere distribuita in modo più uniforme.
Nonostante ciò, i nuovi dati presentati nello studio mostrano che l’eventualità di un vuoto locale ben si accorda con le oscillazioni acustiche barioniche (Bao), il “suono” del Big Bang. «Queste onde sonore hanno viaggiato solo per un breve periodo prima di congelarsi sul posto una volta che l’universo si è raffreddato abbastanza da permettere la formazione di atomi neutri», dice il ricercatore. «Fungono da righello standard, la cui dimensione angolare può essere usata per tracciare la storia dell’espansione cosmica. Un vuoto locale distorce leggermente la relazione tra la scala angolare del Bao e il redshift, poiché le velocità indotte da un vuoto locale e il suo effetto gravitazionale aumentano leggermente il redshift a causa dell’espansione cosmica».
«Considerando tutte le misurazioni delle Bao disponibili negli ultimi 20 anni, abbiamo dimostrato che un modello con un vuoto è circa cento milioni di volte più probabile rispetto a un modello senza vuoti, i cui parametri sono stati definiti per adattarsi alle osservazioni della radiazione cosmica di fondo effettuate dal satellite Planck: la cosiddetta cosmologia omogenea di Planck».
Il passo successivo è quindi confrontare il modello di vuoto locale con altri metodi utilizzati per stimare la storia dell’espansione dell’universo, come gli orologi cosmici. Questo approccio si basa sull’osservazione di galassie che hanno smesso di formare nuove stelle. Analizzando i loro spettri, è possibile determinare il tipo di stelle presenti e la loro distribuzione. Poiché le stelle più massicce hanno una vita più breve, la loro assenza nelle galassie più antiche offre un indicatore utile per stabilirne l’età. Sarà quindi possibile combinare l’età di una galassia con il suo spostamento verso il rosso, che indica quanto si è espanso l’universo durante il tempo impiegato dalla luce per raggiungerci. E questo confronto permetterà di ricostruire la storia dell’espansione dell’universo.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Testing the local void hypothesis using baryon acoustic oscillation measurements over the last 20 yr” di Indranil Banik e Vasileios Kalaitzidis






