Erica Luzzi, geologa planetaria e ricercatrice presso il Mississippi Mineral Resources Institute, prima autrice dello studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Planets. Crediti: E. Luzzi
Per approfondire ulteriormente la notizia appena pubblicata sulle sorgenti d’acqua che potrebbero supportare le future missioni di esplorazione su Marte, vi proponiamo l’intervista rilasciata a Media Inaf dalla prima autrice dello studio pubblicato su Journal of Geophysical Research: Planets, Erica Luzzi. Con un’esperienza internazionale maturata lavorando alla Nasa, partecipando a campagne dell’Esa e collaborando con diverse università in Europa e negli Stati Uniti, Luzzi ha contribuito a campagne sul campo in ambienti estremi e ha pubblicato numerosi studi sulla geologia marziana, sugli analoghi di Encelado e sulla mappatura delle risorse per future missioni di esplorazione umana.
La ricerca, lo ricordiamo, rivela la posizione di quella che potrebbe costituire una potenziale fonte d’acqua per le future esplorazioni umane, presentando l’analisi geomorfologica di un’area al confine tra Arcadia Planitia e la parte settentrionale della Amazonas Planitia, situata alle medie latitudini di Marte.
Luzzi, avete identificato ghiaccio d’acqua vicino alla superficie di Marte, in una zona potenzialmente favorevole per future missioni umane. Come avete fatto a scoprirlo e cosa rende questa scoperta così cruciale per l’esplorazione del Pianeta rosso?
«Quest’area era già stata identificata come candidate landing site in un conference abstract da Golombek et al. 2021, ma nessuna analisi di dettaglio era mai stata fatta. Innanzitutto abbiamo condotto un’indagine geomorfologica e morfometrica delle forme tipicamente periglaciali rinvenute nell’area di studio. Tra queste la più indicativa è rappresentata dai thermal contraction polygons, delle fratture poligonali causate dalla contrazione termica di terreni che contengono ghiaccio. La dimensione di questi poligoni è proporzionale alla profondità del ghiaccio, pertanto dato il diametro dei 9mila poligoni che abbiamo misurato, stimiamo che al momento della formazione dei poligoni il ghiaccio era quasi superficiale, con una profondità nell’ordine delle decine di centimetri. Per assicurarci che questo ghiaccio sia presente anche oggi, abbiamo esaminato un catalogo di crateri da impatto recenti che hanno esposto ghiaccio quasi superficiale. Questa evidenza, che consideriamo come ground truth, ci fornisce un’informazione certa in grado di confermare le osservazioni da immagini satellitari. Uno di questi crateri si trova adiacente alla nostra area di studio, e il ghiaccio che ha esposto si trova a 50-60 cm dalla superficie. Pertanto, vista l’ampia distribuzione delle forme periglaciali e la confermata presenza attuale di ghiaccio nella zona, stimiamo che un vasto deposito di ghiaccio sia presente vicino la superficie».
Nel vostro studio parlate anche delle implicazioni astrobiologiche della presenza di ghiaccio. Quanto è realistica, secondo voi, la possibilità che questi depositi possano contenere tracce di vita passata o presente?
«È impossibile dirlo con certezza, ma il ghiaccio è sicuramente un ottimo mezzo per preservare biomarker, specialmente considerando che la superficie di Marte è ricca in perclorati che durante eventuali analisi distruggono le molecole organiche. Il ghiaccio può proteggere eventuali biomarker dall’azione distruttiva dei perclorati. Inoltre sulla Terra sono state trovate forme di vita batteriche all’interno del ghiaccio, quindi non si esclude che questo possa accadere anche su Marte. Tuttavia, siamo lontani dall’avere certezze in termini astrobiologici. Possiamo limitarci a dire che il ghiaccio sarebbe un buon posto in cui cercare».
Il prossimo passo è l’invio di missioni robotiche per analisi più dettagliate. Quali sono le sfide tecnologiche e operative principali per arrivare a una conferma definitiva sul terreno?
«Il grande lato positivo di questo candidate landing site è proprio che il ghiaccio è quasi superficiale, pertanto le prime missioni robotiche non necessiterebbero di drill a grande scala per perforare in profondità. Sicuramente i perclorati restano un problema per le analisi di molecole organiche, il planning dell’estrazione deve tenere conto di evitare contaminazioni del ghiaccio con i perclorati. Inoltre, essendo la zona quasi completamente piatta in termini di topografia, il landing stesso non pone sfide particolarmente difficili, si tratta di una zona ideale per far atterrare missioni sia robotiche che umane. Una criticità potrebbe essere rappresentata dalla sublimazione spinta che attualmente domina l’atmosfera marziana a queste latitudini, per cui l’eventuale estrazione di ghiaccio dovrebbe essere anche rapida oltre che incontaminata, evitando quindi prolungata esposizione dei campioni di ghiaccio con l’atmosfera».
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Geophysical Research: Planets l’articolo “Geomorphological Evidence of Near-Surface Ice at Candidate Landing Sites in Northern Amazonis Planitia, Mars” di Erica Luzzi, Jennifer L. Heldmann, Kaj E. Williams, Giacomo Nodjoumi, Ariel Deutsch, Alexander Sehlke
- Leggi su Media Inaf la news “Sorgenti d’acqua per futuri esploratori marziani“