La ricerca di un ulteriore pianeta nel Sistema solare è iniziata con la scoperta casuale di Urano ad opera di William Herschel nel 1781. Studiando il moto di Urano ci si accorse che appariva perturbato da un corpo sconosciuto e nel 1846, grazie al lavoro del matematico Urbain Le Verrier, fu trovato il pianeta Nettuno. Il moto di Urano continuava ad apparire perturbato anche tenendo conto dell’azione di Nettuno, da qui la ricerca di un ulteriore corpo perturbatore da parte degli astronomi Percival Lowell e William Pickering, che venne chiamato Pianeta X. La scoperta di Plutone nel 1930, grazie all’infaticabile lavoro osservativo dell’astronomo Clyde Tombaugh, aveva lasciato l’amaro in bocca: non poteva essere lui il perturbatore di Urano, era un corpo troppo piccolo. Nel 1992 si scoprì che le ulteriori perturbazioni nel moto di Urano erano dovute a un valore errato dello 0,5 per cento della massa di Nettuno e che non c’era nessun Pianeta X. La ricerca di un nuovo pianeta nel Sistema solare attraversò un lungo periodo di quiescenza fino al 20 gennaio 2016, quando venne pubblicato su The Astronomical Journal un famoso articolo dal titolo “Evidence for a distant giant planet in the solar system” a firma di Batygin & Brown. Si tratta di un articolo teorico che ha come punto di partenza l’orientamento orbitale dei corpi noti più distanti appartenenti alla fascia di Kuiper, la fascia asteroidale che si trova oltre l’orbita di Nettuno. Considerando i trans-Nettuniani remoti ossia i corpi con semiasse maggiore più grande di 250 au (corpi che non sono perturbati gravitazionalmente da Nettuno), nel paper si esaminano sette oggetti (fra cui Sedna), che hanno orbite ellittiche grosso modo tutte orientate e inclinate nello stesso modo. Nell’articolo gli autori mostrano che un simile allineamento casuale è molto improbabile e che deve esistere un qualche motivo fisico per la sua esistenza.

Rappresentazione artistica di Planet Nine. Crediti: Nasa
Nel paper di Batygin & Brown si dice che una possibile spiegazione per questo allineamento delle orbite potrebbe essere la presenza di un pianeta con una massa di circa dieci volte quella terrestre, posto su un’orbita abbastanza eccentrica, avente un raggio medio di circa 700 au e che verrebbe percorsa in circa 18mila anni. Il valore di dieci masse terrestri per la massa di questo ipotetico pianeta lo fa ricadere nella classe dei pianeti chiamati genericamente super-Terre. Nell’articolo il pianeta viene chiamato Planet Nine, ma viene indicato anche come Planet X. Tuttavia, diversi studi successivi sostengono che il raggruppamento degli oggetti trans-nettuniani remoti derivi semplicemente da un bias osservativo.
Alla luce di queste interpretazioni contrastanti, un recente articolo di Batygin et al., pubblicato nel 2024, ha presentato i risultati di una nuova simulazione sulle orbite dei Tno (oggetto transnettuniani) a lungo periodo. Gli autori correggono per i bias osservativi e confrontano il risultato della loro simulazione con la distribuzione del perielio di 17 Tno a lungo periodo tratti dal database del Minor Planet Center. Il risultato mostra che la distribuzione del perielio di questi Tno contrasta in modo significativo con lo scenario senza Planet Nine: in poche parole, il pianeta ci deve essere. Diversi articoli teorici hanno anche fornito ulteriori previsioni sulle caratteristiche di questo fantomatico pianeta. La simulazione più aggiornata suggerisce che Planet Nine si trovi su un’orbita avente un semiasse maggiore di 380 au, con una distanza del perielio di 300 au e una massa pari a circa sei masse terrestri.
Dall’ottico all’infrarosso
Data la posta in gioco, ci sono diversi team di ricercatori che stanno andando a “caccia” di Planet Nine, sia nell’ottico, sia nell’infrarosso, finora con scarso successo. Ad esempio, nessun traccia del pianeta è stata trovata nei dati del satellite Wise (Wide-field Infrared Survey Explorer) e Neowise, mentre l’analisi dei dati nelle onde millimetriche ottenute dell’Atacama Cosmology Telescope ha fornito dieci possibili candidati che andranno verificati. Le stime ci dicono che Planet Nine ha una temperatura compresa tra -220 e -245 °C, con un picco di emissione nel lontano infrarosso fra 50 e 100 micron. Inoltre, in base al periodo orbitale di circa 7500 anni si può stimare un moto proprio medio dell’ordine di 0,5 arcsec/giorno. Per vedere uno spostamento sensibile del pianeta sulla sfera celeste bisogna aspettare circa un mese, così che possa spostarsi di 10-15 arcsec. Con queste caratteristiche, per poterlo rilevare bisogna avere a disposizione dati della stessa zona della sfera celeste ripresi a distanza di mesi e nel lontano infrarosso, dove c’è il picco di emissione del pianeta stesso.
A questo scopo, recentemente è stata fatta una ricerca all’interno del database del satellite infrarosso giapponese Akari che, dotato di un telescopio raffreddato con elio liquido di 68,5 cm di diametro, fece una survey nel lontano infrarosso fra il febbraio 2006 e l’agosto 2007. Questa missione ha esaminato tutto il cielo in quattro bande fotometriche centrate alle lunghezze d’onda di 65, 90, 140 e 160 micron con una risoluzione angolare che va da 1 a 1,5 minuti d’arco. Le bande in cui ha osservato Akari corrispondono al probabile picco di emissione infrarossa di Planet Nine e la risoluzione è sufficiente per mettere in evidenza il moto del pianeta nell’arco di circa sei mesi. Per la ricerca è stata usata una versione speciale del catalogo di Akari alla lunghezza d’onda di 90 micron, con incluse tutte le sorgenti, anche quelle molto deboli e in movimento, che nelle release ufficiale erano state tolte. Da questo nuovo catalogo le sorgenti stazionarie sono state tolte confrontando la loro posizione con quelle presenti in altri cataloghi, così come gli oggetti già noti del Sistema solare. Tolti i raggi cosmici sono rimaste solo 13 sorgenti, di cui tre con un elevato moto proprio che sono risultati nuovi asteroidi. Dei dieci candidati rimasti, otto sono stati eliminati perché non più presenti a distanza di un anno entro una distanza angolare paragonabile al moto proprio di Planet Nine, così ne sono rimaste solo due. Per confermare se una di queste sorgenti infrarosse che si sono mosse sia effettivamente Planet Nine bisognerebbe determinarne l’orbita. Tuttavia, due sole posizioni distinte sono insufficienti, pertanto sono necessarie osservazioni di follow-up che potranno essere condotte utilizzando il telescopio Subaru, che ha un diametro di 8,2 metri ed è sulla cima del Mauna Kea, nell’Isola di Hawaii.
Se fosse effettivamente scoperto, Planet Nine potrebbe giustificare diverse cose. Ad esempio, perché i Tno a lungo periodo nella fascia di Kuiper sono, in media, inclinati di circa 20° rispetto al piano dell’eclittica; perché queste orbite a lungo periodo hanno un raggruppamento nei loro orientamenti; perché esistono corpi minori fra le orbite dei pianeti giganti che orbitano in senso retrogrado; e, infine, perché esistono Tno le cui orbite intersecano quella di Nettuno. La presenza di Planet Nine potrebbe far sembrare il nostro Sistema solare anche un po’ più “normale” rispetto agli altri: nei sistemi planetari extrasolari sono infatti molto comuni le super Terre, pianeti con una massa compresa fra 2 e 10 volte quella della Terra ossia più grandi della Terra ma più piccoli di Nettuno. Nel Sistema solare questa tipologia di pianeti è assente e Planet Nine contribuirebbe a colmare questa lacuna. La caccia continua.
Per saperne di più:
- Leggi su Publications of the Astronomical Society of Australia l’articolo “A far-infrared search for planet nine using AKARI all-sky survey” di Amos Y.A. Chen et al.







