Alberto Colombo Sormani, ricercatore all’Inaf di Roma
Un ponte tra scienza e arte, tra le profondità dello spazio e il suono della voce umana. È questa l’idea al centro di Imago Vocis, il progetto divulgativo ideato da Alberto Colombo Sormani dell’Inaf di Roma, che si è aggiudicato il prestigioso premio College Regia under 30 della Biennale di Venezia.
Il lavoro – attualmente in fase di sviluppo e previsto in scena nel 2026 – parte da un accostamento tanto inaspettato quanto potente: quello tra le onde gravitazionali, che increspano il tessuto dello spazio-tempo, e le vibrazioni della voce, che modellano l’aria per dare forma al pensiero. Abbiamo raggiunto Alberto per farci raccontare meglio questa visione, il processo creativo e ciò che possiamo aspettarci dallo spettacolo.
Innanzitutto complimenti per questo riconoscimento! La prima curiosità che ho è: cosa ti ha ispirato a mettere insieme le onde sonore generate dalla voce umana e le onde gravitazionali?
«Tutto è nato qualche anno fa, mentre spiegavo la mia tesi di dottorato a una mia amica, Nicole Zanin, che è attrice e logopedista. Ascoltandola parlare del suo lavoro, sono rimasto colpito da quanto le nostre discipline si sovrapponessero. Entrambi, in fondo, studiavamo vibrazioni fisiche per cercare di accedere a una dimensione della realtà altrimenti invisibile. Attraverso le onde gravitazionali possiamo studiare oggetti inaccessibili come i buchi neri. Allo stesso modo, lei, attraverso l’ascolto e l’analisi della voce, riesce a entrare in contatto con parti profonde e spesso inconsce delle persone. Da lì è nato il mio interesse per i modi in cui percepiamo la realtà e per i confini tra ciò che è visibile e ciò che non lo è».
Quanto è stato complesso nella fase creativa intrecciare tra loro gli aspetti narrativi e teatrali con il rigore scientifico nello spettacolo?
«Estremamente complesso! Ma spesso sono proprio le domande più difficili a rendere un processo creativo davvero stimolante. Il confronto tra linguaggi così diversi, come quello scientifico e quello teatrale, è una sfida che richiede di mantenere lo sguardo aperto su ciò che accade dentro e fuori di noi, accogliendo prospettive diverse nella speranza di generarne di nuove. Proprio con questa visione ho co-fondato, insieme a Greta Milani, Giulia Nespoli e Valeria Torresan, Kilonova Art: un collettivo artistico nato per esplorare la creazione in chiave transdisciplinare. Come una kilonova è l’esplosione generata dalla collisione di due stelle di neutroni, capace di produrre oro, così noi cerchiamo ciò che c’è di prezioso nell’incontro (e spesso nello scontro) tra discipline, visioni e pratiche artistiche.
Proiezione visuale utilizzata in Imago Vocis, realizzata da Giulia Nespoli. Uno spettrogramma reagisce in tempo reale alla voce di una performer, trasformandosi nella trama dello spazio-tempo deformata dalla presenza di un buco nero
Il progetto è stato ora premiato al Festival internazionale del Teatro Biennale di Venezia: secondo te, quali aspetti hanno convinto maggiormente la giuria?
«È stata la prima domanda che ho rivolto al direttore artistico Willem Dafoe — quando mi sarebbe ricapitata l’occasione di chiedere un feedback a una giuria di questo tipo? Mi ha detto che ciò che lo ha colpito di più è stato l’equilibrio complessivo del progetto: la capacità di tenere insieme la dimensione teatrale, visiva e scientifica in modo armonico e coerente. Ha anche sottolineato il talento delle attrici e performer in scena, che hanno dato forza e presenza al lavoro.
Chi immagini come pubblico ideale per questo spettacolo, e che tipo di esperienza vorresti offrire?
«Esperienza è davvero la parola giusta, perché il pubblico ideale, indipendentemente dal suo background, è quello pronto ad accettare una sfida. Il teatro deve essere pericoloso, proprio perché è irripetibile nella presenza condivisa di uno spazio e di un momento – qualcosa che cinema e tv non possono offrire. Il teatro deve avere la forza di mettere in crisi le nostre certezze e di scardinare il nostro pensiero. Esattamente come fa la scienza: non per spiegare tutto, ma per costringerci a riformulare le domande, ad ampliare il nostro sguardo. È questa l’esperienza che vorrei offrire».
Guardando al futuro, come ti piacerebbe far evolvere il progetto? Hai già in mente nuovi formati, contesti o collaborazioni?
«Per il futuro mi auguro che la rete intorno al progetto continui ad allargarsi. Mi piacerebbe che sempre più artistə, scienziatə, enti di ricerca e realtà culturali trovassero in Kilonova Art uno spazio fertile per incontrarsi, collaborare e dare forma a nuovi immaginari».