LA RICERCA È STATA CONDOTTA SU 98MILA REPORT PUBBLICI DI AVVISTAMENTI

Gli Ufo? Si vedono meglio nel West

Utilizzando i dati pubblici di avvistamenti di fenomeni anomali non identificati pubblicati tra il 2001 e il 2020 dal National Ufo Reporting Center, un team di ricercatori dello Utah ha condotto uno studio per comprendere se esiste una correlazione tra queste segnalazioni e l’area geografica da cui provengono. I risultati, pubblicati su Scientific Reports, suggeriscono che c'è una stretta relazione e che questa relazione dipende dai fattori locali

     06/03/2024

Immagine che mostra un Uap. Il fotogramma è stato estratto dal video “Tic Tac Object: Unidentified Anomalous Phenomena“. Crediti: United States Navy

Sono fenomeni avvistati in aria, in mare o nello spazio la cui natura non è immediatamente spiegabile. Vengono descritti come oggetti tipicamente di forma sferica o ovale, che viaggiano ad alte velocità senza apparenti mezzi di propulsione. Sul loro conto ci sono molti punti interrogativi, ma una cosa è certa: a oggi non ci sono prove che siano il prodotto di tecnologie aliene.

Siamo parlando dei fenomeni anomali non identificati, unidentified anomalous phenomena (Uap), in inglese. Chiamati fino al 2020 Ufo, acronimo di unidentified flying objects, cioè oggetti volanti non identificati, nel corso degli anni sono stati segnalati numerosi avvistamenti di questi misteriosi fenomeni. E tra i paesi con il maggior numero di segnalazioni ci sono gli Stati Uniti d’America, che da qualche anno a questa parte ha manifestato maggiore interesse verso la questione, soprattutto in considerazione dei potenziali rischi per la sicurezza e l’incolumità delle persone che gli Uap potrebbero rappresentare. Prova ne è l’istituzione nel 2022 dell’All-Domain Anomaly Resolution Office (Aaro), un nuovo ufficio incaricato di portare avanti gli sforzi del governo per migliorare la raccolta dei dati, standardizzare i requisiti di segnalazione e mitigare – appunto – le potenziali minacce alla sicurezza. O ancora la conversione in legge, nel 2023, del National Defense Authorization Act 2024, un testo che, tra le altre cose, ridefinisce la politica relativa a questi fenomeni anomali attraverso la costituzione di un registro unico delle segnalazioni (la Unidentified Anomalous Phenomena Records Collection), l’istituzione di un comitato di revisione dei documenti e l’esercizio, da parte del governo federale, dell’esproprio di tutte le tecnologie di origine sconosciuta e le prove biologiche di intelligenza non umana eventualmente recuperate.

Ma torniamo alla questione degli avvistamenti. Uno tra i canali non ufficiali a disposizione dei cittadini statunitensi per inviare segnalazioni relative a Uap è il National Ufo Reporting Center (Nuforc), un’organizzazione non governativa che dal 1974, anno in cui è stata fondata, riceve, registra e documenta gli avvisi di rilevamento di tali oggetti. Avvisi che riportano informazioni sull’avvistamento (data, luogo, descrizione dell’oggetto, eccetera) e che non hanno alcuna pretesa di validità, precisa il team del Reporting Center, sebbene venga fatto un lavoro di scrematura delle segnalazioni palesemente false, riservando una pagina a quelle più credibili. Dal 1994 a oggi, il sito web del Nuforc conta 180.442 segnalazioni.

Ora un team di ricercatori guidati dall’Università dello Utah, negli Usa, ha utilizzato questi rapporti per condurre un interessante lavoro di ricerca. L’obiettivo? Capire se esiste una correlazione tra queste segnalazioni e l’area geografica da cui provengono. E, in caso affermativo, comprendere quali sono i fattori locali dai quali dipende la maggiore o minore propensione all’avvistamento di Uap. I risultati della ricerca sono pubblicati alla fine dello scorso anno su Scientific Reports.

Fonte: R. M. Medina et al., Scientific Reports, 2023

Le segnalazioni oggetto dello studio sono quelle pubblicate dal Nuforc dal 2001 al 2020, per un totale di circa 98mila report. Analizzando questo set di dati, e utilizzando un indice basato sul numero di rapporti di avvistamenti per 10mila persone per contea, i ricercatori hanno costruito una mappa che mostra la distribuzione geografica degli avvistamenti di Uap. Osservando tale mappa (qualcosa di simile è stata prodotta anche in Italia sulla base di avvistamenti segnalati all’Aeronautica Militare, ne abbiamo parlato qui su Media Inaf), quello che salta immediatamente agli occhi è che esistono aree con un maggior numero di avvistamenti, quelle che gli autori chiamano “punti caldi” (hot spot), e aree dove invece vi è un basso numero di segnalazioni, i cosiddetti “punti freddi” (cold spot). Dunque sì: esiste una correlazione tra le segnalazioni di avvistamenti di Uap e l’area geografica da cui provengono. Sono punti caldi Washington, l’Oregon, il Nevada e l’Arizona, ampie porzioni del New Mexico e dello Utah. Praticamente quasi tutti gli stati occidentali – il cosiddetto West, insomma. Spostandoci nella parte opposta, più precisamente a nord-est, il New England è un altro punto caldo, con il Vermont, il New Hampshire e il Maine, che ha registrato il maggior numero di avvistamenti. Eccetto altri hot spot isolati qua e là, tutte le altre aree degli Stati Uniti sono cold spot.

Quello che si sono chiesti a questo punto i ricercatori è perché in alcune località ci sono più avvistamenti di Uap rispetto ad altre. La risposta a questa domanda è emersa dall’analisi di cinque variabili, utilizzate dai ricercatori come attributi per definire ciascuna area geografica: tre sono variabili associate all’ambiente fisico, in particolare alla copertura del cielo, due sono invece legate all’attività aerea. Le variabili sono: inquinamento luminoso, copertura nuvolosa, copertura da parte della chioma di alberi, vicinanza ad aeroporti e installazioni militari.

I risultati di questa ulteriore indagine suggeriscono che la maggior parte delle segnalazioni di avvistamenti di Uap provengono dalla parte occidentale degli Stati Uniti per via della particolare geografia di queste aree. I punti caldi sono infatti risultati perlopiù essere aree caratterizzate da molti spazi aperti e cieli tersi. In pratica, spiegano i ricercatori, le persone segnalano più avvistamenti dove hanno una visione migliore del cielo. L’analisi ha inoltre mostrato che esiste una stretta relazione tra punti caldi, presenza di traffico aereo e attività militare, il che fa supporre che in questi luoghi le persone vedano meglio il cielo, individuino oggetti reali ma probabilmente non riconoscano cosa siano.

«L’idea è che se hai la possibilità di vedere qualcosa, allora è più probabile che vedrai fenomeni inspiegabili nel cielo», dice a questo proposito Richard Medina, professore di geografia presso l’Università dello Utah e primo autore dello studio. «Il West ha un rapporto storico con gli Uap. L’Area 51 in Nevada, Roswell nel New Mexico e lo Skinwalker Ranch e la struttura militare Dugway Proving Ground dell’esercito statunitense qui nello Utah, sono alcuni esempi che lo testimoniano. Inoltre, c’è una folta comunità di amanti della vita all’aria aperta che si dedica ad attività ricreative tutto l’anno. Essendo all’esterno, le persone guardano verso il cielo».

Come dicevamo in apertura, l’istituzione dell’All-Domain Anomaly Resolution Office e la conversione in legge del National Defense Authorization Act 2024 indicano che il governo statunitense vuole comprendere meglio questi misteriosi fenomeni, soprattutto in considerazione della minaccia che essi possono rappresentare per la sicurezza. E studi come questo dimostrano che gli Uap sono sotto i riflettori anche della comunità scientifica.

«Il governo degli Stati Uniti – l’esercito, l’intelligence e le agenzie civili – deve capire cosa c’è negli ambiti operativi per garantire la sicurezza e la protezione della nazione e del suo popolo», dice a questo proposito Sean Kirkpatrick, direttore dell’All-Domain Anomaly Resolution Office, professore di fisica all’Università della Georgia e co-autore dello studio. «Le incognite sono inaccettabili in questa epoca di sensori onnipresenti e disponibilità di dati. La comunità scientifica ha la responsabilità di indagare ed educare».

«Nel nostro studio», concludono i ricercatori, «non facciamo ipotesi su ciò che le persone vedono, diciamo solo che vedranno di più quando e dove ne avranno l’opportunità. Affrontiamo la questione degli Uap con cautela, sia per la complessità dell’argomento che per la sensibilità dei dati disponibili. La posizione del governo statunitense in questo senso è che “gli Uap pongono chiaramente un problema di sicurezza del volo e possono rappresentare una sfida alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Indipendentemente da ciò che vedono le persone, siano essi piloti militari, piloti civili o semplici cittadini, esiste una potenziale minaccia, che cresce man mano che crescono le nostre incertezze. I nostri risultati ci fanno fare un passo avanti verso la comprensione di queste minacce».

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