LE SIMULAZIONI HANNO DIMOSTRATO LA SUA CAPACITÀ DI RILEVARE SEGNI DI VITA

Per la missione Life un banco di prova di nome Terra

Si chiama Large Interferometer For Exoplanets. Life, in breve. È un concetto di missione per indagare l’abitabilità degli esopianeti simili alla Terra e identificare potenziali biofirme nelle loro atmosfere sfruttando la tecnica della Mir nulling interferometry. E promette bene: in un esperimento volto a validarne il potenziale scientifico, condotto utilizzando la Terra come modello, si è dimostrata capace di individuare le tracce rivelatrici della presenza di vita. Lo studio su ApJ

     01/03/2024

La caratterizzazione dell’atmosfera degli esopianeti situati nella zona abitabile delle loro stelle madri è uno sforzo chiave nel campo delle scienze esoplanetarie. Studiare la composizione, la struttura e la dinamica dell’involucro gassoso che avvolge questi mondi fornisce infatti preziose informazioni sulla loro abitabilità. Inoltre, è essenziale per individuare la presenza di eventuali bioforme – cioè le tracce lasciate da una qualche forma di attività biologica –  e dunque per identificare la vita al di fuori del Sistema solare.

Una delle tecniche che utilizzano gli astronomi per analizzare la composizione chimica dell’atmosfera di un esopianeta è la spettroscopia nel medio infrarosso, consistente nel rivelare la radiazione termica emessa dalle molecole. Ciò che si ottiene da questo tipo di indagini sono i cosiddetti spettri di emissione termica: una sorta di codice a barre contenente le impronte digitali di tutte le specie chimiche presenti. Life, acronimo di Large Interferometer For Exoplanets, è un concetto di missione a guida europea il cui obiettivo primario è proprio questo: ottenere gli spettri di emissione termica di mondi simili alla Terra in orbita ad altre stelle, al fine di caratterizzare le loro atmosfere, valutarne l’abitabilità e identificare eventuali biofirme.

Illustrazione artistica che mostra la configurazione nello spazio dei satelliti della missione Life. Crediti: Eth Zurich / Life

Per riuscire nell’intento, il team della missione, comprendente tra gli altri Laura Silva e Stavro Ivanovski dell’Inaf di Trieste, prevede di posizionare nello spazio quattro satelliti, chiamati satelliti collettori, che rifletteranno la luce verso un veicolo spaziale cosiddetto combinatore. La disposizione spaziale di questi manufatti tecnologici sarà la seguente: i quattro satelliti saranno disposti a raggiera, mentre il veicolo combinatore sarà al centro. In questa configurazione, i cinque satelliti si comporteranno come un unico grande telescopio, che sarà in grado captare la radiazione termica nel medio infrarosso emessa da un esopianeta sfruttando la cosiddetta Mir nulling interferometry. Si tratta di una metodologia abbastanza nuova, che permette di eliminare dalla luce raccolta dai telescopi quella di origine stellare, lasciando la sola luce proveniente dal pianeta sotto osservazione, che è quella che interessa ai fini delle analisi.

Come tutte le missioni in fase embrionale, la missione Life deve affrontare però sfide non indifferenti. Tra queste sfide ci sono la validazione del metodo di caratterizzazione e la corretta interpretazione degli spettri Mir ottenuti. Detto in altri termini, prima che la missione veda la luce, occorre che sia valutato il suo potenziale scientifico. Lo ha fatto di recente un team di ricercatori guidato da Jean-Noël Mettler, ricercatore all’Eth di Zurigo, optando per una soluzione molto efficace: hanno utilizzato la Terra come modello di pianeta extrasolare.

Le domande alle quali volevano rispondere i ricercatori erano queste: se la missione Life osservasse la Terra, riuscirebbe a rivelare tracce di vita? Se sì, che tipo di spettri di emissione termica acquisirebbe? E ancora: se questi spettri venissero poi analizzati per recuperare informazioni sull’atmosfera e sulle condizioni della superficie planetaria, in che modo i risultati dipenderebbero dalle variazioni stagionali e dalla particolare vista del pianeta che catturerebbero i telescopi?

Per rispondere a questi quesiti, l’approccio utilizzato dai ricercatori è stato il seguente. Utilizzando i dati climatici della Terra ottenuti dallo strumento Airs (Atmospheric Infrared Sounder) a bordo del satellite Aqua Earth della Nasa, hanno generato spettri di emissione termica nella gamma del medio infrarosso simili a quelli che potrebbero essere registrati dalla missione nelle future osservazioni degli esopianeti. Hanno quindi dato in pasto questi dati a Lifesim, un software appositamente sviluppato per simulare le osservazioni di sistemi esoplanetari da parte della missione Life. Infine, hanno esaminato quanto bene possa essere caratterizzata la Terra in termini di abitabilità. In tutte le simulazioni con dati reali, i ricercatori hanno impostato quattro specifiche geometrie per l’osservazione della Terra – due viste dai poli e due viste equatoriali – per valutare la dipendenza delle osservazioni dal tipo di vista. Inoltre, per tenere conto dei cambiamenti stagionali, hanno utilizzato i dati raccolti nei mesi di gennaio e luglio.

Le quattro geometrie di osservazione della Terra considerate nello studio. Crediti: J. N. Mettler, B. Konrad, S.P. Quanz e R. Helled

I risultati dello studio, pubblicato su The Astrophysical Journal, sono incoraggianti: se la missione Life osservasse il nostro pianeta da una distanza di circa 30 anni luce, troverebbe segni di un mondo temperato e abitabile, spiegano i ricercatori. Negli spettri Mir, il team è  riuscito infatti a rilevare l’anidride carbonica e il metano, ma anche l’acqua e l’ozono, molecole considerate biofirme atmosferiche. I risultati mostrano inoltre che la geometria dell’osservazione, cioè la vista del pianeta che catturano i telescopi, non influenza né la rilevabilità delle molecole né la loro abbondanza relativa. Lo stesso vale per le variazioni stagionali.

I risultati, concludono i ricercatori, suggeriscono che Life potrebbe identificare correttamente la Terra come un pianeta in cui la vita potrebbe prosperare, con livelli rilevabili di bioindicatori, un clima temperato e condizioni superficiali che consentono la presenza di acqua liquida. Anche se la stagionalità atmosferica non è facilmente osservabile, lo studio dimostra inoltre che le missioni spaziali di prossima generazione potranno stabilire se i vicini esopianeti terrestri sono abitabili o addirittura abitati.

Per saperne di più:

Correzione del 2.3.2024: Laura Silva è ricercatrice all’Inaf di Trieste, non all’Inaf di Torino come inizialmente riportato.