Le origini della vita sul nostro pianeta sono ancora oggi avvolte nel mistero. Decenni di studi di chimica prebiotica hanno portato tuttavia gli scienziati a formulare varie teorie. Tra queste, ce n’è una, la teoria della pseudo-pansmermia, che prevede che la materia prima per lo sviluppo della vita si sia formata sui ghiacci interstellari e sia poi giunta sulla Terra primordiale – oltre quattro miliardi di anni fa – con le meteoriti. Secondo questa ipotesi, le meteoriti – frammenti di asteroidi e comete provenienti dallo spazio profondo – potrebbero dunque aver recapitato sulla Terra tutti o parte dei “semi” necessari per la nascita dei sistemi autoreplicanti e autosufficienti che chiamiamo esseri viventi. I “semi” in questione sono le molecole prebiotiche, in particolare quelle sostanze che gli addetti ai lavori chiamano materia organica solubile (soluble organic matter, Som, in inglese): aminoacidi e idrocarburi policiclici aromatici, molecole essenziali per la costruzione di Rna, Dna e proteine.
Ricercare questi mattoncini della vita all’interno delle meteoriti che ci sono giunte dallo spazio è un lavoro tutt’altro che semplice. L’approccio che gli scienziati utilizzano per individuarli prevede diverse fasi, la prima delle quali è la preparazione del campione, consistente generalmente nell’estrazione della materia organica dal frammento meteorico con solventi o acidi. Si tratta di una separazione chimica delle molecole dalla roccia che, sebbene minimamente, può modificare la composizione elementare dei campioni.
Negli studi di caratterizzazione chimica di queste pietre extraterrestri, l’ideale sarebbe dunque indagare la presenza di molecole prebiotiche in un contesto petrografico che sia il meno alterato possibile, magari non prevedendo alcuna estrazione chimica preliminare. Un team di ricercatori guidato dall’Università di Münster (Germania) è ora riuscito a farlo: utilizzando un nuovo approccio metodologico, ha dimostrato – ed è la prima volta che accade – che è possibile rilevare la presenza di aminoacidi e idrocarburi in un frammento di meteorite praticamente intonso, cioè non sottoposto ad alcun trattamento chimico preliminare.
La meteorite oggetto dello studio è la meteorite di Winchcombe, un pezzo di roccia caduto nella contea di Gloucestershire, in Inghilterra, il 28 febbraio 2021 e recuperato poche ore dopo il suo avvistamento da parte della telecamere coordinate dalla UK fireball alliance.
«Le meteoriti raccolte immediatamente dopo l’avvistamento del bolide, come nel caso della meteorite di Winchcombe, sono importanti “testimoni” della nascita del nostro Sistema solare. E ciò li rende particolarmente interessanti per scopi di ricerca», spiega Christian Vollmer, ricercatore all’Università di Münster e primo autore dello studio, pubblicato su Nature Communications, che riporta i risultati della ricerca.
Nel lavoro di ricerca, Vollmer e colleghi di questo meteorite ne hanno analizzato la composizione mediante tecniche di spettroscopia di sincrotrone e microscopia elettronica ad alta risoluzione.
Il microscopio utilizzato è quello del laboratorio SuperStem di Daresbury, in Inghilterra: uno strumento che non solo permette di visualizzare i composti del carbonio con risoluzione atomica, ma può anche analizzare chimicamente i campioni per mezzo di un nuovo tipo di rilevatore. La novità dell’approccio metodologico però sta anche a monte di queste analisi. I ricercatori, infatti, non sono partiti da campioni di materia organica estratta dal meteorite, bensì da una minuscola fettina di cinque per dieci micrometri tagliata utilizzando un nano-manipolatore e un fascio ionico focalizzato. Dopo aver ottenuto le sottilissime lamelle, gli scienziati le hanno analizzate, trovando la firma sia di amminoacidi come l’alanina, la treonina e la glutammina, sia di nucleobasi come l’imidazolo, la pirimidina e l’adenina.
«Dimostrare l’esistenza di questi composti organici biologicamente rilevanti in una meteorite non trattata è un risultato significativo per la ricerca», conclude Vollmer. «Ciò significa che gli elementi costitutivi della vita possono essere caratterizzati in questi sedimenti cosmici anche senza una loro estrazione chimica». I ricercatori sono fiduciosi che le indagini e la combinazione di tecniche implementate nel loro studio saranno direttamente applicabili alla possibile rilevazione e analisi di molecole prebiotiche nei campioni Osiris-Rex recentemente restituiti dall’asteroide Bennu.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “High-spatial resolution functional chemistry of nitrogen compounds in the observed UK meteorite fall Winchcombe”, di Christian Vollmer, Demie Kepaptsoglou, Jan Leitner, Aleksander B. Mosberg, Khalil El Hajraoui, Ashley J. King, Charlotte L. Bays, Paul F. Schofield, Tohru Araki e Quentin M. Ramasse