IL RISULTATO SU MONTHLY NOTICES OF THE ROYAL ASTRONOMICAL SOCIETY LETTERS

Buchi neri supermassicci, a tavola son tutti uguali

Analizzando un campione di buchi neri attivi al centro di 136 galassie, un team guidato da Ilaria Ruffa della Cardiff University ha scoperto che, indipendentemente dal loro “appetito” per la materia galattica circostante, mostrano una luminosità sorprendente simile, sia a microonde che a raggi X. Una conclusione che porta anche a un metodo indiretto per stimare la massa dei buchi neri

     05/12/2023

Ilaria Ruffa, prima autrice dello studio pubblicato su Mnras Letters, astrofisica di Vibo Valentia, con laurea e dottorato a Bologna, oggi ricercatrice postdoc alla Cardiff University (Regno Unito) e associata all’Inaf di Bologna. Crediti: Eva Duran-Camacho/Cardiff University

Non c’è tanta varietà, fra i buchi neri. Secondo gli astrofisici sono solo due le proprietà necessarie a descriverli: massa e spin. Per il resto, sono tutti uguali. Ma se usciamo appena un po’ dall’orizzonte degli eventi ecco che le cose cambiano radicalmente. Prendiamo un Agn, un nucleo galattico attivo, per esempio: vale a dire il “kit completo”, formato dal buco nero supermassicio – nel cuore di una galassia – più tutto quel che gli sta attorno e che gli consente di rilasciare enormi quantità di energia nell’ambiente circostante. Secondo il classico Modello unificato degli Agn, il kit dovrebbe comprendere un disco di accrescimento, attraverso il quale il buco nero “ingerisce” materia in maniera efficiente e a ritmi elevati, una corona sopra e sotto, e un “toro” di gas e polveri che circonda entrambi come una ciambella. Anche se la varietà fra gli Agn non manca, l’ipotesi attualmente più accreditata è che diversi gruppi di Agn possiedano queste caratteristiche, tra cui – per esempio – le galassie di Seyfert, suddivise a loro volta Seyfert 1 e Seyfert 2 in base alla presenza o meno di materiale oscurante lungo l’angolo di vista dell’osservatore, e dunque di righe di assorbimento.

Se invece proviamo a classificarli in base alla luminosità, ecco che abbiamo gli Agn low-luminosity e quelli high-luminosity: a distinguerli non è solo la quantità di luce che emettono, ma anche il modo il cui lo fanno – il processo fisico soggiacente. Semplificando un po’, gli Agn ad alta luminosità sarebbero quelli nei quali è in atto un processo di accrescimento ad efficienza molto alta, come quello delle galassie di Seyfert e dei quasar, che sono entrambi appunto Agn molto luminosi. Negli Agn a bassa luminosità, al contrario, il processo d’accrescimento non sarebbe quasar-like o Seyfert-like bensì Adaf-like, sigla che sta per advection-dominated accretion flow (flusso di accrescimento dominato dall’avvezione): un processo molto più inefficiente, nel quale il classico disco di accrescimento è troncato nelle zone più interne o addirittura assente, e il passaggio di materia verso il buco nero procede in maniera più turbolenta e a ritmi molto meno elevati rispetto a quanto avviene negli Agn ad alta luminosità.

Ora però uno studio condotto su un campione primario di 48 Agn, la maggior parte dei quali low-luminosity, osservati in banda millimetrica con Alma e in banda X con Chandra e pubblicato oggi su Mnras Letters, mette in dubbio questa dicotomia, suggerendo che anche negli Agn più luminosi il processo di accrescimento Adaf-like, dunque quello tipico degli Agn meno luminosi, possa avere un ruolo fondamentale. È un po’ come provare a capire se gli aerei che ci sorvolano funzionano a elica (Agn a bassa efficienza) o a reazione (Agn ad alta efficienza) ascoltandone il rumore (la luminosità in banda mm) e osservandone la velocità (la luminosità X). E scoprire che tutti gli aerei visti passare – non solo i 48 a elica ma anche quelli che si pensavano a reazione, anche i più veloci – sono in realtà aerei a elica.

«In base allo scenario attualmente più accreditato, high- e low-luminosity Agn sono considerati oggetti intrinsecamente diversi, caratterizzati da processi di accrescimento sul buco nero molto differenti tra loro. La cosa più sorprendente del nostro lavoro è stata quindi verificare che non solo entrambe le tipologie di Agn seguono le stesse correlazioni, ma anche che potrebbero condividere la stessa fisica dell’accrescimento», spiega infatti la prima autrice dello studio, Ilaria Ruffa, astrofisica di Vibo Valentia, con laurea e dottorato a Bologna, oggi ricercatrice postdoc alla Cardiff University (Regno Unito) e associata all’Inaf di Bologna. «È chiaro che – se confermati da ulteriori studi su campioni più grandi – un risultato simile potrebbe rivoluzionare la nostra conoscenza della fisica dei processi di accrescimento di materia sui buchi neri».

I campioni presi in considerazione nello studio, al quale ha preso parte fra gli altri anche Federico Lelli dell’Inaf di Arcetri, non sono comunque così piccoli. Le correlazioni emerse dall’analisi dei 48 Agn del campione primario – fra i quali c’è anche M87, divenuto celebre per essere stato il protagonista della prima “fotografia” di un buco nero – sono state infatti messe successivamente alla prova su un ulteriore campione di ben 88 Agn, tutti classificati come high-luminosity, ed è così che gli autori dello studio hanno verificato che entrambe le tipologie di Agn seguono le stesse correlazioni e che potrebbero condividere la stessa fisica del processo di accrescimento.

Si tratta, per la precisione, di due correlazioni: una tra la luminosità del nucleo dell’Agn osservato in banda millimetrica e la massa del buco nero, e una che insieme alle prime due include anche la luminosità nucleare in banda X. Quest’ultima è stata soprannominata “piano fondamentale nel millimetrico” (millimetre fundamental plane) dell’accrescimento di un buco nero. E potrebbe avere importanti ricadute non solo per ricostruire il processo di accrescimento, ma anche per calcolare la massa del buco al centro di un Agn: la massa di M87*, per esempio, stimata in maniera indiretta con il “piano fondamentale nel millimetrico” si scosta di appena il due per cento da quella misurata direttamente.

«Oltre a fornirci informazioni sulla fisica dell’accrescimento, le nostre correlazioni», sottolinea infatti Ruffa, «forniscono un nuovo metodo indiretto per stimare la massa del buco nero, che è un parametro tanto fondamentale per gli studi dell’interazione tra buco nero e galassia ospite quanto difficile da misurare in maniera diretta su larga scala. Cosa ancora più fondamentale, grazie all’utilizzo del potente interferometro Alma (o di quelli di prossima generazione, come il next-generation Very Large Array, ngVLA) e delle X-ray surveys che sono in corso e che verranno, le nostre correlazioni ci consentiranno di fare stime della massa del buco nero fino a distanze cosmiche che non erano accessibili fino a ora».

Per saperne di più:

  • Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters l’articolo “A fundamental plane of black hole accretion at millimetre wavelengths”, di Ilaria Ruffa, Timothy A. Davis, Jacob S. Elford, Martin Bureau, Michele Cappellari, Jindra Gensior, Daryl Haggard, Satoru Iguchi, Federico Lelli, Fu-Heng Liang, Lijie Liu, Marc Sarzi, Thomas G. Williams e Hengyue Zhang