LO STUDIO SU NATURE GEOSCIENCE

Micropolveri vs Dinosauri: uno a zero

Finora sottovalutate, le polveri di silicato generate, insieme alla fuliggine e allo zolfo, dall’impatto del meteorite Chicxulub sulla Terra sarebbero state all’origine del raffreddamento climatico e della mancata fotosintesi che causarono l’estinzione di massa di molte specie. A sostenerlo è un team di ricerca belga che ha realizzato un nuovo modello paleoclimatico

     02/11/2023

Le simulazioni dei modelli paleoclimatici mostrano il rapido trasporto di polvere attraverso il pianeta, suggerendo che il mondo nel Paleogene sia stato avvolto dagli ejecta di polvere di silicato nel giro di pochi giorni dall’evento d’impatto di Chicxulub. Crediti: Cem Berk Senel

Il grande inverno, non quello del Trono di Spade, ma quello provocato dalle polveri sottili arrivate nell’atmosfera dopo l’impatto del meteorite Chicxulub sulla Terra, potrebbe essere realmente la causa dell’estinzione dei dinosauri.

Uno studio pubblicato questa settimana su Nature Geoscience da ricercatori del Royal Observatory of Belgium suggerirebbe, infatti, che le polveri di silicato della roccia polverizzata generata dall’impatto di Chicxulub hanno avuto un ruolo dominante nel raffreddamento globale del clima e, successivamente, anche nell’interruzione della fotosintesi sul nostro pianeta. I due fenomeni, di conseguenza, avrebbero portato alla scomparsa dei dinosauri e di circa il 75 per cento delle specie sulla Terra nel periodo di passaggio tra il Cretaceo e il Paleogene noto come limite K-T, o limite K-Pg, circa 66 milioni di anni fa.

L’ipotesi del meteorite come causa dell’estinzione di massa delle specie terrestri è stata già avanzata da vari scienziati nel corso degli anni. Tuttavia, le conseguenze climatiche dei vari detriti emessi nell’atmosfera in seguito all’impatto di Chicxulub rimangono poco chiare, così come non sono ancora stati definiti gli esatti meccanismi attraverso i quali si verificò l’estinzione di massa in quel periodo. Ricerche precedenti avevano già suggerito che lo zolfo rilasciato nell’impatto del meteorite e la fuliggine proveniente dagli incendi conseguenti fossero le principali cause dell’“inverno da impatto” che si verificò in quegli anni. L’espulsione di polvere di silicato nell’atmosfera non era stata considerata finora tra le possibili cause del raffreddamento globale, forse per una scarsa conoscenza delle effettive proprietà fisiche delle particelle di polvere.

Per valutare il ruolo dello zolfo, della fuliggine e delle polveri di silicato sul clima post-impatto, il team di ricerca belga ha sviluppato un nuovo modello paleoclimatico, specializzato nel simulare la risposta climatica e biotica dopo la caduta di Chicxulub. Queste simulazioni sono state effettuate incorporando nuovi dati geologici ad alta risoluzione provenienti da una specifica località del North Dakota, negli Stati Uniti. I campioni di sedimento sono stati raccolti e misurati mediante analisi granulometrica a diffrazione laser da Pim Kaskes e colleghi dell’Archaeology, Environmental Changes & Geo-chemistry (Amgc) alla Vrije Universiteit Brussel e della Vrije Universiteit Amsterdam.

Limite Cretaceo-Paleogene nel North Dakota (Usa). I sedimenti indicano un ambiente fluviale e paludoso; lo strato rosa-marrone contiene detriti derivanti dall’impatto di Chicxulub e i dati granulometrici di questo intervallo sono stati utilizzati per lo studio di modellazione paleoclimatica. Crediti: Pim Kaskes

In alcuni affioramenti terrestri dove è possibile osservare la stratigrafia geologica, il limite K-T è marcato dalla presenza di un livello, avente spessore massimo di un centimetro, che contiene una notevole quantità di metalli solitamente rari in natura, ma molto diffusi nelle meteoriti. «Abbiamo campionato specificamente l’intervallo millimetrico superiore del limite K-T. Questo intervallo ha rivelato una distribuzione granulometrica molto fine e uniforme, che interpretiamo come la ricaduta atmosferica finale di polvere ultrafine legata all’impatto del meteorite sul nostro pianeta», spiega Kaskes. «I nuovi risultati mostrano valori di granulometria molto più fini di quelli usati in precedenza in altri modelli climatici. Ciò è stato molto importante per le nostre ricostruzioni climatiche».

Gli scienziati hanno così scoperto che la distribuzione dimensionale dei detriti di silicato – di circa 0,8-8,0 micrometri – assegna alle polveri sottili un ruolo maggiore rispetto a quanto precedentemente si pensasse. «Secondo le nuove simulazioni paleoclimatiche, una tale nube di micro polveri di silicati potrebbe essere rimasta nell’atmosfera fino a 15 anni dopo l’evento», descrive Cem Berk Senel, primo autore della ricerca. «Ciò potrebbe aver contribuito al raffreddamento globale della superficie terrestre di ben 15 gradi centigradi nelle fasi iniziali successive all’impatto». Questa tempistica è coerente con le recenti osservazioni dello strato di iridio globale presente nell’antico cratere da impatto di Chicxulub, sepolto sotto la penisola messicana dello Yucatán: il tempo impiegato per l’assestamento del materiale a grana fine nella nube di polvere creatasi dopo l’impatto è stato stimato di meno di 20 anni.

Modello concettuale della nube di polveri dopo l’impatto di Chicxulub con le diverse fasi di (a) produzione e (b) trasporto e deposizione dell’ejecta generato dall’impatto. (c) Simulazioni di modelli paleoclimatici che mostrano l’evoluzione temporale del flusso di radiazione fotosintetica attiva indotta dalla polvere sul pianeta. Crediti: Nature Geoscience

Gli autori, inoltre, hanno analizzato come le variazioni dell’irraggiamento solare indotte dallo “schermo” di polvere di silicato, insieme alla fuliggine e allo zolfo, potrebbero aver interrotto la fotosintesi per quasi due anni dopo l’impatto del meteorite, causando il crollo della produttività primaria e innescando una reazione a catena di estinzioni. L’interruzione della fotosintesi, se prolungata, può porre gravi problemi agli habitat terrestri e marini. Per questa ragione, durante il “grande inverno”, i gruppi biotici non adattati a sopravvivere al buio, al freddo e alla mancanza di cibo per quasi due anni sarebbero andati incontro all’estinzione di massa. I dati paleontologici, osservati dai ricercatori,  dimostrano che la fauna e la flora in grado di entrare in una fase di quiescenza – ad esempio, attraverso semi, cisti o ibernazione nelle tane – e di adattarsi a una dieta onnivora, non dipendente da una particolare fonte di cibo, in genere sarebbero sopravvissute meglio all’evento del periodo K-T.

Un evento catastrofico, senza dubbio. Ma c’è il rischio che possa verificarsi di nuovo? «Gli impatti massicci, da parte di asteroidi di dimensioni chilometriche come Chicxulub, in grado di causare eventi di estinzione di massa sono molto rari. Al contrario, gli asteroidi di piccole e medie dimensioni – nell’ordine dei 100 metri di diametro – sono molto più comuni nel nostro Sistema solare e possono causare distruzioni su scala regionale o nazionale», spiega Özgür Karatekin del Royal Observatory of Belgium che, assieme ad altre istituzioni scientifiche, rappresenta il contributo europeo alla difesa planetaria dagli asteroidi all’interno della missione Hera. Promossa dall’Agenzia spaziale europea, la missione Hera convaliderà la tecnica di deflessione cinetica, cioè di deviazione della traiettoria, degli asteroidi e fornirà ulteriori informazioni scientifiche in grado di migliorare la nostra comprensione della geofisica e dei processi di impatto degli asteroidi.

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