RILEVATE A 210MILA ANNI LUCE DA NOI ALL’INTERNO DI NGC 346

Giovani stelle in formazione per Jwst

Scrutando con il James Webb Space Telescope un noto ammasso di stelle all'interno della Piccola Nube di Magellano, un team di astronomi ha osservato numerose stelle appena nate e strutture di gas e polveri mai viste prima, che fanno luce sulla formazione stellare durante il “mezzogiorno cosmico”, più di dieci miliardi di anni fa. Con il commento di Katia Biazzo dell'Inaf di Roma, coautrice dell’articolo in pubblicazione su Nature Astronomy

     31/01/2023

L’immagine di Ngc 346 ottenuta dalla Near-Infrared Camera (Nircam) del James Webb Space Telescope. Crediti per la parte scientifica: Nasa, Esa, Csa, Olivia C. Jones (UK Atc), Guido De Marchi (Estec), Margaret Meixner (Usra). Crediti per l’image processing: Alyssa Pagan (Stsci), Nolan Habel (Usra), Laura Lenkić (Usra), Laurie E. U. Chu (Nasa Ames)

Ngc 346 è una regione di formazione stellare situata a circa 210mila anni luce di distanza da noi all’interno della Piccola Nube di Magellano, una galassia nana vicina alla Via Lattea. Nuove osservazioni condotte dal telescopio James Webb della Nasa nell’ambito del programma Guaranteed Time Observations (Gto) 1227 (“Ngc 346: Star Formation at Low Metallicity in the Small Magellanic Cloud”) hanno rivelato all’interno di questa “culla cosmica” la presenza di una consistente popolazione di giovani stelle e di strutture di gas e polveri mai osservate prima. Una scoperta che getta nuova luce sulla prima era della formazione stellare. I risultati della ricerca, presentati  l’11 gennaio scorso durante il 241esimo meeting dell’American Astronomical Society a Seattle (Usa), sono in pubblicazione sulla rivista Nature Astronomy.

Gli autori dello studio hanno puntato il potente occhio placcato oro di Jwst verso la Piccola Nube di Magellano per un motivo ben preciso: le condizioni e la quantità di “metalli” – termine gli astronomi usano per riferirsi a tutti gli elementi più pesanti dell’elio – presenti al suo interno assomigliano a quelle possedute da galassie esistite nell’universo primordiale, durante un’epoca nota come “mezzogiorno cosmico”.

«Queste regioni di formazione stellare sono distanti (quindi complicate da osservare) e a bassa metallicità, molto più bassa di quella a cui siamo abituati nell’intorno solare e simile a quella che c’era 3.5 miliardi di anni dopo il Big Bang, nel cosiddetto “mezzogiorno cosmico”, quando c’è stato un picco nel tasso di formazione stellare», spiega a Media Inaf  Katia Biazzo, ricercatrice all’Inaf – Osservatorio astronomico di Roma e co-autrice dello studio. «Studiare queste regioni è importante sia per il processo di formazione stellare che per quello planetario. Grazie alle osservazioni con Jwst siamo riusciti a vedere che all’interno di Ngc 346 c’è un alto contenuto di polveri e ci sono stelle che accrescono intensamente materia. Nonostante il basso contenuto di metalli, ci sono quindi tutte le condizioni ambientali per avere formazione stellare e planetaria».

Nelle immagini ad alta risoluzione acquisite dalla Near-Infrared Camera (Nircam) di Jwst, gli autori dello studio hanno rivelato più di 33mila sorgenti alla ricerca di stelle in formazione. Oggetti stellari giovani (in inglese, Young Stellar Objects): è così che li chiamano gli astronomi.

Non è la prima volta che all’interno di questa regione vengono individuate stelle in fasce. Studi precedenti vi erano già riusciti. Ma si trattava di oggetti da cinque a otto volte più massicci del Sole. Grazie al suo elevato potere risolutivo, il telescopio James Webb ha rilevato – per la prima volta in un ambiente extra-galattico – oggetti stellari di piccola massa, e in tutti gli stadi evolutivi.

«Con James Webb possiamo arrivare a sondare anche le protostelle più leggere, con massa fino un decimo del Sole, per vedere se il loro processo di formazione è influenzato dal basso contenuto di metalli», dice a questo proposito Olivia Jones, ricercatrice dell’Osservatorio Reale di Edinburgo, nel Regno Unito, e prima autrice dello studio.

Le immagini di Jwst mostrano anche una rete di strutture gassose molto più intricata rispetto a quanto precedentemente scoperto, con pennacchi e archi costituiti da due tipi di idrogeno: l’idrogeno molecolare freddo (nell’immagine qui sopra, le pennellate color arancio), con temperature di circa 200 gradi Celsius sotto lo zero – l’ambiente perfetto per la formazione di nuove stelle – e l’idrogeno energizzato dal “vagito” delle stelle appena nate (le pennellate di rosa), la cui temperatura si aggira intorno ai 10mila gradi.

Ma non è finita: Jwst è andato oltre, osservando all’interno di Ngc 346 anche i grani di polvere lì dove nessuno si era mai spinto prima. Le stelle si formano a partire da densi bozzoli di gas e polveri che collassano sotto l’effetto della gravità, mentre il gas e le polveri presenti nella circostante nube molecolare si raccolgono in un disco di accrescimento che alimenta la protostella centrale. Le osservazioni nel vicino infrarosso di Webb segnano la prima volta che in questi dischi vengono rivelate le polveri.

«Stiamo vedendo gli elementi costitutivi delle stelle, ma anche potenzialmente dei pianeti», conclude Guido De Marchi, astronomo dell’Agenzia spaziale europea tra i firmatari dello studio. «E poiché la Piccola Nube di Magellano ha un ambiente simile alle galassie durante il mezzogiorno cosmico, è possibile che i pianeti rocciosi si siano formati nell’universo prima di quanto avremmo potuto pensare».

Per saperne di più:

  • Leggi su  su arXiv.org il pre-print dell’articolo l’articolo “Discovery of dusty sub-solar mass young stellar objects in NGC 346 with JWST/NIRCam” di Olivia C. Jones, Conor Nally, Nolan Habel, Laura Lenkić, Katja Fahrion, Alec S. Hirschauer, Laurie E. U. Chu, Margaret Meixner, Guido De Marchi, Omnarayani Nayak, Massimo Robberto, Elena Sabbi, Peter Zeidler, Catarina Alves de Oliveira, Tracy Beck, Katia Biazzo, Bernhard Brandl, Giovanna Giardino, Teresa Jerabkova, Charles Keyes, James Muzerolle, Nino Panagia, Klaus M. Pontoppidan, Ciaran Rogers, B. A. Sargent e David R. Soderblom

Guarda il video (in inglese) sul canale YouTube del Jwst:

Correzione del 31.01.2023: le “giovani stelle” in senso stretto non sono 33mila, come scritto in una versione precedente dell’articolo, bensì meno d’un migliaio.