SPARATI DA UN ACCELERATORE DI PARTICELLE A 46 MILIONI DI ANNI LUCE DA NOI

Dalla Balena al Polo Sud, 79 neutrini per IceCube

Provengono dalla regione che circonda il buco nero supermassiccio al centro di una galassia oscurata, Ngc 1068. Una galassia il cui nucleo si comporta come un acceleratore naturale di particelle in grado di raggiungere livelli d’energia inimmaginabili nei nostri acceleratori terrestri. Solo i neutrini riescono però a giungere fino a noi dal cuore dell'Agn, offrendoci una vista inedita di ciò che accade nei dintorni del buco nero

     07/11/2022

Rappresentazione schematica del funzionamento di IceCube. Crediti: University of Wisconsin-Madison

L’astronomia multimessaggera – quella in cui ai fotoni si affiancano altri “messaggeri” – mette a segno un nuovo colpo. Anzi, settantanove. Tanti sono infatti i neutrini ad alta energia provenienti da M77 – uno fra gli Agn radio-quieti più luminosi e più vicini – registrati da IceCube, il megarivelatore di ghiaccio nelle profondità del Polo Sud, tra il 2011 e il 2020. Il risultato, pubblicato la settimana scorsa su Science, è di quelli destinati a essere ricordati a lungo da chi si occupa di astrofisica delle alte energie: estrapolando da quei 79 neutrini, gli autori dello studio ritengono che l’emissione dagli Agn radio-quiet o comunque poco luminosi – molto più abbondanti delle loro controparti radio-loud – possa spiegare la presenza del fondo di neutrini registrata negli anni da IceCube.

Settantanove neutrini in dieci anni possono sembrare pochi, ma va ricordato che si tratta di neutrini extragalattici di energia elevatissima. Neutrini che non è semplice intercettare: la prima osservazione di una sorgente di neutrini astrofisici ad alta energia è avvenuta – sempre grazie ad IceCube – solo cinque anni fa. In quell’occasione di neutrini se ne vide uno soltanto, tanto da potergli dare un “nome proprio”: IC 170922A, lo avevano chiamato, dalle iniziali di IceCube e dalla data dell’osservazione – il 22 settembre 2017. La sorgente, in quel caso, era un blazar a quasi cinque miliardi di anni luce di distanza, come stabilì per primo un team guidato da Simona Paiano dell’Inaf.

Questi 79 neutrini riportati ora su Science provengono invece da un oggetto cento volte più vicino. Dal cuore di M77, appunto: una galassia – nota anche come Ngc 1068, scoperta nel 1780 e visibile dall’emisfero sud anche con un semplice binocolo – situata a 46 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione della Balena. Inoltre, a differenza del blazar all’origine del neutrino del 2017, che sparava il suo getto direttamente verso la Terra, Ngc 1068 è orientata in modo tale che, osservata dal nostro pianeta, la sua regione centrale ci appare avvolta da una spessa “ciambella” – il termine corretto sarebbe toro – di polvere.

La galassia a spirale Ngc 1068 vista dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: Nasa / Esa / A. van der Hoeven

È dunque oscurata, come si dice in gergo: la polvere, infatti, assorbe un’ampia porzione dello spettro elettromagnetico. Ma è completamente trasparente per nunzi inarrestabili quali appunto i neutrini. Non solo: per queste che sono le Houdini delle particelle, in grado di farsi beffe d’ogni barriera, persino una trappola infernale qual è il muro di radiazione e materia che cinge un buco nero supermassiccio diventa una rete a maglie larghissime.

Dunque i “messaggi” che questi neutrini ci portano sono tremendamente interessanti, visto che sono i soli in grado d’offrirci una testimonianza di prima mano di quel che sta accadendo là nel cuore delle galassie attive, mentre la loro “controparte” elettromagnetica – in particolare i raggi gamma – rimane intrappolata là all’interno.  «Modelli recenti degli ambienti dei buchi neri in questi oggetti», ricorda infatti, a proposito degli Agn oscurati, uno fra gli autori dello studio, Hans Niederhausen, della Michigan State University, «suggeriscono che gas, polvere e radiazioni dovrebbero bloccare i raggi gamma che altrimenti accompagnerebbero questi neutrini».

Scenario che trova concorde anche Alessandra Lamastra dell’Inaf di Roma, ricercatrice non coinvolta in quest’ultimo lavoro del team di IceCube ma fra le autrici di uno studio del 2019 sull’emissione gamma – o meglio, sull’assenza di emissione gamma – da Ngc 1068 condotto sui dati acquisiti dai telescopi Magic. «L’unico modo per spiegare la differenza di flusso tra neutrini e raggi gamma», spiega Lamastra a Media Inaf, «è assumere un forte assorbimento dei raggi gamma nella regione di produzione dei neutrini. Condizione che si può riscontrare nelle regioni molto vicine al buco nero, dove è presente un’intensa radiazione emessa dal nucleo attivo».

Questo per ciò che riguarda l’assenza di raggi gamma. Come spiegare, invece, la presenza di tutti questi neutrini a energie elevatissime? Da dove sgorgano? «Pensiamo che i neutrini ad alta energia», dice una fra le autrici dello studio appena uscito su Science, Elisa Resconi, della Technical University di Monaco (Germania), «siano il risultato dell’accelerazione estrema che subisce la materia in prossimità del buco nero, che raggiunge così energie molto elevate. Sappiamo dagli esperimenti con gli acceleratori di particelle che i protoni ad alta energia generano neutrini quando entrano in collisione con altre particelle. In altre parole: abbiamo trovato un acceleratore cosmico».

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