IL RUOLO DEL POTASSIO-40 NELL’EVOLUZIONE DELLE MOLECOLE PREBIOTICHE

La vita fa 40

Secondo un nuovo studio pubblicato il mese scorso sulla rivista Life, il potassio-40 potrebbe aver giocato un ruolo chiave nell’evoluzione chimica delle molecole prebiotiche alla base della vita, favorendo una parte delle reazioni di chimica prebiotica, la costruzione di nuove strutture molecolari e la nascita dell'omochiralità biologica. Ne parliamo con l'autore, Giovanni Paolo Vladilo dell’Inaf

     03/11/2022

Illustrazione artistica della Terra primordiale. Crediti: Peter Sawyer / Smithsonian Institution

Quando la Terra si è formata, circa 4.5 miliardi di anni fa, era una sterile palla di roccia. Qualche miliardo di anni dopo – tra la fine dell’eone Adeano e l’inizio dell’Archeano – è comparsa la vita, occupando nel tempo ogni centimetro del nostro pianeta. La sua origine è uno dei grandi misteri della scienza.

L’astrochimica prebiotica è una delle discipline che tenta di risolvere questo mistero. Lo fa studiando i fattori che nella Terra primitiva potrebbero aver guidato l’evoluzione chimica delle molecole protobiologiche in molecole più complesse, in grado poi di formare, sotto i vincoli geochimici abiotici, i sistemi autoreplicanti e autosufficienti che chiamiamo esseri viventi.

Tra i fattori che potrebbero aver agito da “motore” di questa evoluzione chimica c’è il riscaldamento radiogeno, prodotto dalle radiazioni emesse dal decadimento radioattivo dei radioisotopi o radionuclidi, elementi chimici con il nucleo instabile a causa di un eccesso di protoni e/o di neutroni.

La maggior parte degli studi nel campo della chimica prebiotica si è concentrata sui radionuclidi di uranio e torio. Un nuovo studio, pubblicato il 17 ottobre scorso sulla rivista mensile Life e nel numero speciale Advances in Space Biology, la sezione dedicata all’astrobiologia dello stesso periodico, indaga ora il potenziale ruolo nell’evoluzione chimica delle molecole prebiotiche alla base della vita di un altro radionuclide, il più leggero potassio-40, considerato solo marginalmente in studi precedenti.

L’autore del manoscritto è Giovanni Paolo Vladilo, astronomo associato presso l’Inaf – Osservatorio Astronomico di Trieste. Allievo di Margherita Hack, Vladilo si è laureato in fisica, indirizzo astrofisico, presso l’Università degli Studi di Trieste. I suoi interessi scientifici spaziano dalle abbondanze chimiche e polveri interstellari in galassie locali e primordiali agli ambienti abitabili in sistemi planetari extrasolari. È stato docente delle discipline “Pianeti e Astrobiologia” e “Astronomia Osservativa” del corso di Laurea Magistrale in Fisica dell’Università di Trieste, e di Astrobiologia nel corso di dottorato “Astrofisica e Cosmologia” della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa). Lo abbiamo intervistato.

Professo Vladilo, tra tutte le ipotesi formulate negli anni per spiegare l’origine della vita, qual è, secondo lei, quella più plausibile?

«In ambito scientifico riteniamo che la vita si sia originata seguendo un percorso evolutivo di chimica prebiotica caratterizzato da un aumento graduale di complessità molecolare. Sebbene non esista nessuna teoria in grado di ricostruire tutti i passaggi di questo percorso, dal punto di vista della sperimentazione di laboratorio sono stati fatti notevoli progressi per spiegare come potrebbero realizzarsi, in maniera plausibile e spontanea, varie tappe dell’evoluzione prebiotica. Dal punto di vista teorico, storicamente esistono diversi approcci, ciascuno dei quali si focalizza su un aspetto specifico, come ad esempio l’origine delle molecole genetiche, o delle molecole catalitiche, o delle membrane cellulari. Tutti questi punti di vista andrebbero trattati congiuntamente e credo siamo sulla buona strada per riuscirci. Attualmente gode di molto credito la teoria di un “mondo a Rna” che avrebbe preceduto l’attuale biochimica basata su Dna e proteine. A mio avviso, ciò non esclude che vi possano essere stati percorsi paralleli in grado di generare, ad esempio, le molecole con funzioni catalitiche che svolgono la stragrande maggioranza degli attuali processi metabolici».

Come si inserisce in questo contesto il concetto di radioattività naturale e in che modo è collegato al riscaldamento radiogeno?

«I decadimenti radioattivi possono fornire energia per una parte delle reazioni di chimica prebiotica. Inoltre, la rottura di legami molecolari da parte di radiazioni ionizzanti può portare alla costruzione di nuove strutture molecolari di potenziale interesse prebiotico. Oltre a questo, la radioattività naturale sviluppa calore nella crosta terrestre ed è quindi una sorgente importante di energia per l’attività geofisica, che riteniamo giochi un ruolo importante per l’abitabilità a lungo termine del nostro pianeta».

Nel suo studio prende in considerazione il potassio-40, perché proprio questo radioisotopo?

«Il potassio, nella sua forma stabile e più abbondante (39K), era sicuramente presente negli stadi più avanzati dell’origine della vita, e dunque anche il suo isotopo instabile, il potassio-40 per l’appunto, doveva essere un costituente delle primissime forme di vita. Inoltre, all’epoca dell’origine della vita terrestre, il potassio-40 aveva un rapporto isotopico più alto di adesso e dunque, a parità di altre condizioni, poteva aver un maggior impatto radiogenico durante il percorso di evoluzione molecolare prebiotica».

Qual è l’origine di questo elemento?

«Dal punto di vista astrofisico, gli isotopi stabili di potassio (39K e 41K) sono prodotti dal bruciamento dell’ossigeno in stelle massicce e durante la loro esplosione come supernove di Tipo II. Il potassio-40 può essere prodotto durante gli stessi bruciamenti e in parte nei bruciamenti di neon e carbonio. È importante sottolineare che gli isotopi del potassio, ed in particolare il potassio-40, sono anche prodotti per cattura lenta di neutroni in stelle di ramo asintotico. Come risultato dei processi di formazione planetaria, il potassio è un elemento relativamente abbondante nella crosta e negli oceani terrestri. È plausibile che tale abbondanza sia riscontrabile anche nei numerosissimi pianeti rocciosi che riteniamo esistano nella Galassia sulla base delle statistiche osservative degli esopianeti».

La sua tesi di partenza è che il potassio-40 possa aver favorito l’evoluzione chimica delle molecole prebiotiche. In che modo?

«Rispetto a quanto succede per gli isotopi radioattivi considerati in precedenti studi di chimica prebiotica – come il torio-232, l’uranio-235 e l’uranio-238 – il potassio-40 ha prodotti di decadimento stabili ed emette radiazioni beta che possono influenzare, senza distruggere, le prime molecole biologiche. Questo fatto, e il suo alto rapporto isotopico nell’Archeano, indicano che il potassio-40 può aver giocato un ruolo nell’evoluzione delle prime molecole biologiche e delle protocellule».

Tra gli obiettivi del suo lavoro c’è quello di comprendere se gli effetti radiochimici del potassio-40 possano aver contribuito alle condizioni che hanno permesso alla vita di emergere. Come ha valutato questi effetti?

«Ho confrontato il potenziale impatto sulla chimica prebiotica di diversi tipi di radiazioni ionizzanti presenti sulla Terra al momento attuale e all’epoca dell’origine della vita terrestre, che riteniamo abbia avuto luogo nell’Archeano».

Cosa suggeriscono i risultati?

«L’insieme di numerosi dati sperimentali suggerisce che, a differenza di altri isotopi radioattivi naturali, e dei raggi cosmici, il potassio radioattivo poteva avere un impatto radiochimico maggiore nell’Archeano rispetto all’epoca attuale. Nell’articolo presento alcune stime preliminari del tasso di decadimenti di potassio-40 che potrebbero influenzare strutture molecolari prebiotiche nell’Archeano. Sebbene sia difficile quantificare tali effetti, il potassio-40 sembra essere un ottimo candidato per uno studio più approfondito dell’effetto delle radiazioni ionizzanti nel contesto prebiotico».

Nel manoscritto parla di effetti diretti e indiretti di queste radiazioni: cosa intende?

«In ambito biologico, o in una soluzione chimica prebiotica, le radiazioni ionizzanti interagiscono direttamente con le molecole d’acqua creando dei prodotti di radiolisi, come ad esempio alcuni tipi di radicali liberi. Sono tali prodotti ad interagire poi con le molecole biologiche, agendo come intermediari indiretti della radiazione ionizzante».

Nello studio prende in esame anche la possibilità che il potassio-40 possa essere stato fondamentale nell’origine dell’omochiralità biomolecolare. Di cosa si tratta? E in che modo l’isotopo avrebbe potuto favorirla?

«Un possibile effetto sulle strutture molecolari riguarda proprio la chiralità, una proprietà di simmetria rotazionale che ci permette di distinguere tra molecole sinistrorse e destrorse, data un’opportuna definizione del verso di rotazione. Gli amminoacidi che compongono le proteine della vita terrestre hanno tutti la stessa chiralità (di tipo L) e questo è un esempio (ma non l’unico) di omochiralità biomolecolare. L’omochiralità gioca un ruolo essenziale nei processi di sintesi biomolecolare, ma non sappiamo esattamente quale fenomeno fisico possa averla generata. Una possibile spiegazione, proposta già nel passato, riguarda la violazione della parità, una sorprendente proprietà delle forze elettrodeboli scoperta alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Il decadimento beta è caratterizzato dalla violazione della parità e, in linea di principio, l’elettrone energetico generato in tale processo può indurre un lieve eccesso chirale. Nella maggior parte dei suoi decadimenti il potassio-40 emette proprio raggi beta che potrebbero generare un lieve eccesso di amminoacidi di tipo L. Il condizionale è d’obbligo perché l’effetto è molto piccolo. D’altra parte, l’effetto potrebbe accumularsi nel tempo se il potassio radioattivo è presente in maniera continuativa nel corso dell’evoluzione prebiotica».

Per simulare gli effetti sull’omochiralità indotti dal radioisotopo suggerisce anche un esperimento, quale?

«Suggerisco di considerare esplicitamente la presenza di potassio radioattivo negli esperimenti di chimica prebiotica. Per rendere realistico l’esperimento bisognerebbe arricchire il potassio con il suo isotopo radioattivo fino ad ottenere un rapporto isotopico simile a quello dell’Archeano. Inoltre si potrebbero cercare di simulare altre condizioni dell’Archeano come, ad esempio, il flusso di raggi cosmici e la radiazione ultravioletta. Infine, ho anche proposto di prendere in considerazione la formammide, già utilizzata con successo in numerosi esperimenti di chimica prebiotica, come possibile solvente prebiotico propenso a trasmettere i deboli effetti chirali generati dai decadimenti beta del potassio-40».

Riassumendo, quali sono le conclusioni dello studio?

«La principale conclusione è che il radio-potassio dovrebbe essere preso seriamente in considerazione come uno degli ingredienti che hanno portato all’origine della vita. La possibilità di un suo ruolo prebiotico andrebbe poi valutata in un contesto astronomico che travalichi i confini del Sistema solare, tenendo conto, ad esempio, dell’evoluzione dell’abbondanza degli isotopi del potassio nel corso dell’evoluzione chimica galattica».

L’autore dello studio, il professor Giovanni Vladilo

Professore, un’ultima domanda: riusciremo mai a rispondere con certezza alla domanda “come si è originata la vita sulla Terra”?

«Data la scarsità di dati sperimentali riguardanti la Terra nell’Archeano sarà estremamente difficile dare una risposta definitiva riguardo l’esatta sequenza di eventi che ha portato all’origine della vita. D’altra parte, con una nota di ottimismo, bisogna dire che gli esperimenti di laboratorio riescono a vincolare sempre di più le condizioni fisico-chimiche che potrebbero portare alla nascita della vita. Anche dal punto di vista teorico esistono indicazioni che l’evoluzione prebiotica non è solamente soggetta al caso, ma ha aspetti fortemente deterministici. Pertanto non escludo che in futuro si arrivi ad individuare un numero ristretto di percorsi prebiotici plausibili che potrebbero essere testati con nuove tecniche sperimentali. In ogni caso, l’incertezza sull’origine della vita non ci deve far desistere dal portare avanti questo tipo di ricerca. È opportuno notare che anche negli studi sull’origine dell’universo vi sono notevoli incertezze osservative e teoriche riguardo le condizioni iniziali. In particolare ciò è vero per l’era dell’inflazione cosmologica, durante la quale non possiamo utilizzare le leggi fisiche che conosciamo. Rispetto a tale situazione, gli studi sull’origine della vita sono avvantaggiati, nel senso che l’evoluzione prebiotica deve obbedire a leggi fisiche e chimiche ben conosciute. Inoltre, l’origine della vita non appartiene necessariamente solo a un passato remoto, ma può riproporsi anche in epoca attuale in qualcuno dei numerosissimi sistemi planetari che stiamo gradualmente scoprendo. In ogni caso, al fine di chiarire se possa esistere vita negli esopianeti, è fondamentale gettar luce non solo sulle condizioni di abitabilità planetaria, ma anche sulle condizioni che potrebbero consentire alla vita di emergere in altri mondi».


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