CONFERMA SPETTROSCOPICA DI 68 LENTI GRAVITAZIONALI FORTI

Tutte le lenti gravitazionali di Agel

All’inizio del 2022, un algoritmo di apprendimento automatico aveva individuato circa 5mila potenziali lenti gravitazionali. A oggi ne sono state analizzate in dettaglio 77 e, di queste, 68 sono state confermate come tali. L’alta percentuale di successo suggerisce che l’algoritmo sia molto affidabile e che potremmo quindi avere a disposizione migliaia di nuove lenti gravitazionali. Tutti i dettagli su ApJ

     28/09/2022

Immagini di lenti gravitazionali dalla survey Agel. Le immagini sono centrate sulla galassia in primo piano e in esse è riportato anche il nome dell’oggetto. Ciascun pannello include la distanza confermata dalla galassia in primo piano (zdef) e dalla galassia distante sullo sfondo (zsrc). Crediti: Kim-Vy H. Tran et al, 2022

Le lenti gravitazionali – distribuzioni di materia, come galassie o buchi neri, in grado di curvare la traiettoria della luce in transito in modo analogo a una lente ottica – sebbene previste dalla teoria della relatività generale, sono state piuttosto difficili da trovare e solo un centinaio di esse vengono utilizzate abitualmente.

All’inizio di quest’anno, un algoritmo di apprendimento automatico sviluppato da Colin Jacobs della University of New South Wales (Unsw, di Sydney) e di Astro 3D (Arc Center of Excellence for All Sky Astrophysics in 3-Dimensions) ha identificato circa 5mila potenziali lenti gravitazionali. Di queste, l’astronoma Kim-Vy Tran ne ha esaminate 77 utilizzando l’Osservatorio Keck alle Hawaii e il Very Large Telescope in Cile, confermandone ben 68, su vaste distanze cosmiche.

Questa elevata percentuale di successo – pari all’88 per cento del campione – suggerisce che l’algoritmo può considerarsi affidabile e che quindi potremmo davvero avere a disposizione migliaia di nuove lenti gravitazionali.

Questa scoperta è descritta nell’articolo di Kim-Vy Tran e colleghi, recentemente pubblicato su The Astronomical Journal, che presenta la conferma spettroscopica di alcune delle lenti gravitazionali precedentemente identificate da Jacobs utilizzando le reti neurali convoluzionali. Lo studio fa parte della survey Agel, acronimo di Astro 3D Galaxy Evolution with Lenses, ed è il risultato di una collaborazione internazionale tra ricercatori provenienti dall’Australia, Stati Uniti, Regno Unito e Cile.

«La nostra spettroscopia ci ha permesso di mappare un’immagine 3D delle lenti gravitazionali per dimostrare che sono reali e non solo sovrapposizioni casuali», afferma Tran. «Il nostro obiettivo con Agel è confermare spettroscopicamente circa 100 lenti gravitazionali forti che possono essere osservate dall’emisfero settentrionale e meridionale, durante tutto l’anno».

Oltre a consentirci di vedere oggetti distanti milioni di anni luce in modo più chiaro, le lenti gravitazionali permettono di fare stime sulla materia oscura invisibile, che costituisce la gran parte dell’universo. Inoltre, avere molte più lenti gravitazionali a varie distanze permette di avere un’immagine più completa della linea temporale, fin quasi al Big Bang. «Più lenti d’ingrandimento abbiamo, maggiori sono le possibilità di rilevare oggetti più distanti. Si spera di poter misurare meglio i dati demografici di galassie molto giovani», afferma Tran. «Da qualche parte, tra quelle prime galassie e noi, sta avvenendo tanta evoluzione, con minuscole regioni di formazione stellare che convertono il gas incontaminato nelle prime stelle, fino al Sole, alla Via Lattea. E quindi, con queste lenti a distanze diverse, possiamo guardare in diversi punti della linea temporale cosmica per tracciare essenzialmente come cambiano le cose nel tempo, tra le primissime galassie e ora».

Stuart Wyithe dell’Università di Melbourne e direttore di Astro 3D sostiene che ogni lente gravitazionale è unica e ci dice qualcosa di nuovo. «Oltre a essere oggetti meravigliosi, le lenti gravitazionali forniscono una finestra per studiare come viene distribuita la massa in galassie molto distanti, che non sono osservabili con altre tecniche. Introducendo modi per utilizzare questi nuovi grandi set di dati del cielo per cercare molte nuove lenti gravitazionali, il team ci concede l’opportunità di vedere come le galassie raggiungono la loro massa», spiega.

L’algoritmo di Jacobs «ha setacciato decine di milioni di immagini di galassie per ridurre il campione a 5mila. Non avremmo mai immaginato che il tasso di successo sarebbe stato così alto», afferma Karl Glazebrook della Swinburne University. «Ora stiamo ottenendo immagini di questi obiettivi con il telescopio spaziale Hubble, che vanno da immagini incredibilmente belle a immagini estremamente strane, che richiederanno uno sforzo considerevole per capirle».

Tucker Jones della Uc Davis ha descritto il nuovo campione come «un gigantesco passo avanti nell’imparare come si formano le galassie nella storia dell’universo. Normalmente queste prime galassie sembrano piccole macchie sfocate, ma l’ingrandimento delle lenti ci consente di vedere la loro struttura con una risoluzione molto migliore. Sono obiettivi ideali per i nostri telescopi più potenti, per darci la migliore visione possibile dell’universo primordiale. Grazie al lensing gravitazionale possiamo imparare che aspetto hanno queste galassie primitive, di cosa sono fatte e come interagiscono con l’ambiente circostante», conclude.

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