ATTORNO A UNA NANA BIANCA A 44 ANNI LUCE DA NOI

Declino e caduta d’un sistema planetario

Uno studio pubblicato oggi su Nature conferma decenni di prove indirette relative al fenomeno della precipitazione, sulla nana bianca al centro d’un sistema planetario, dei detriti residui prodotti dalla disintegrazione del sistema stesso. I dati arrivano dall’osservazione dell’emissione X, rilevata con Chandra, dalla nana bianca G29-38

     09/02/2022

Rappresentazione artistica della nana bianca G29-38 mentre accresce materiale planetario da un disco di detriti circumstellare. Quando il materiale planetario colpisce la superficie della nana bianca, si forma un plasma che, raffreddandosi, emette radiazione X rilevabile dai telescopi. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

Il destino ultimo del Sole è segnato, scritto nella nostra stella dalla sua stessa massa: fra qualche miliardo di anni, dopo aver attraversato fasi concitate, diventerà una nana bianca. Ma che ne sarà di tutto quel che ancora gli starà ruotando attorno? La Terra, per esempio? O meglio, quel che resterà del nostro pianeta? Un assaggio di quanto potrebbe accadere è stato offerto agli occhi del telescopio spaziale per raggi X Chandra – che l’ha osservata per quasi 30 ore nel settembre del 2020 – dalla nana bianca G29–38.

Situata a circa 44 anni luce da noi in direzione della costellazione dei Pesci, G29-38 è una delle 300mila nane bianche a noi note presenti nella Via Lattea. L’atmosfera di circa un quarto di queste nane bianche – lo dicono le misure spettroscopiche – è “inquinata” da elementi pesanti quali ferro, calcio e magnesio: indizio che attorno a loro c’era un tempo un sistema planetario.

Ora per la prima volta è stato visto materiale residuo dei corpi che un tempo le orbitavano attorno cadere sulla superficie della nana bianca al centro del sistema. Uno spettacolo tragico e grandioso – è la fine di quello che per miliardi di anni è stato un sistema planetario – al quale è stato possibile assistere attraverso l’emissione a raggi X prodotta dal precipitare del materiale roccioso e gassoso sulla stella. Pubblicato oggi su Nature, si tratta di un risultato molto atteso dagli astronomi: rappresenta infatti la prima misurazione diretta dell’accrescimento di materiale roccioso su una nana bianca, e conferma decenni di prove indirette di accrescimento osservate in oltre mille stelle di questo tipo.

«In precedenza, le misurazioni dei tassi di accrescimento utilizzavano la spettroscopia e dipendevano da modelli numerici di nane bianche», ricorda il primo autore dello studio, Tim Cunningham dell’Università di Warwick. «Modelli numerici che calcolano la velocità con cui un elemento affonda dall’atmosfera nella stella, e che indicano in termini di velocità di accrescimento quanto sta cadendo nell’atmosfera. In tal modo è possibile calcolare a ritroso la quantità di un dato elemento presente nel corpo genitore – fosse esso un pianeta, una luna o un asteroide».

Le emissioni in banda X dalle nane bianche sono studiate da tempo, ma finora si trattava di emissioni dovute al processo di accrescimento da materiale sottratto a una stella compagna. In questo caso invece – il primo mai osservato dovuto ad accrescimento da detriti planetari – l’emissione X avviene quando il materiale residuo del sistema, attratto a velocità elevatissima, entra in collisione con la superficie della stella. Lo shock che ne deriva genera calore sufficiente a produrre plasma a temperature elevatissime – tra 100mila e un milione di gradi. Man mano che il plasma si raffredda, emette raggi X, che possono essere rilevati da rivelatori come quelli presenti, appunto, a bordo di Chandra.

«La cosa davvero emozionante di questo risultato è che stiamo lavorando a una lunghezza d’onda diversa, i raggi X appunto, e questo ci consente di sondare un tipo di fisica completamente diverso», sottolinea Cunningham, ricordando che i precedenti indizi del fenomeno erano indiretti, derivati da misure spettroscopiche. «Il nostro rilevamento fornisce la prima prova diretta che le nane bianche stanno attualmente accumulando i resti di vecchi sistemi planetari. Sondare l’accrescimento in questo modo fornisce una nuova tecnica con cui possiamo studiare questi sistemi, offrendo uno sguardo sul probabile destino delle migliaia di sistemi esoplanetari che conosciamo, incluso il nostro Sistema solare».

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