CON UN COMMENTO DI CARLO BURIGANA (INAF)

Quei modi al di là dell’orizzonte cosmologico

Un team d’astrofisici guidato dal Prabhakar Tiwari dell’Accademia cinese delle scienze ha pubblicato su ApJ Letters uno studio che mostra come perturbazioni su scala più grande dell’universo osservabile potrebbero rendere conto sia di anisotropie su larga scala – come il cosiddetto “asse del diavolo” – sia della tensione sulla costante di Hubble

     03/02/2022

Anomalie evidenziate nell’universo “quasi perfetto” di Planck. Crediti: Esa and the Planck Collaboration

È da qualche anno che i cosmologi si ritrovano fra le mani un paio di gatte da pelare non indifferenti: le anomalie nel fondo cosmico – in particolare, la cosiddetta anisotropia su grande scala – e la tensione sulla costante di Hubble. Ora uno studio pubblicato il 18 gennaio su The Astrophysical Journal Letters da un trio di astrofisici guidato da Prabhakar Tiwari dell’Accademia cinese delle scienze propone di sbarazzarsi d’entrambi i grattacapi in un colpo solo. Come? Ampliando lo sguardo come non mai e prendendo in considerazione i superhorizon modes: “modi che superano l’orizzonte” – dove “modi” è da intendersi nel senso di componenti cosmiche (come i modi b e i modi e della polarizzazione del fondo cosmico) e l’orizzonte è quello dell’universo osservabile.

«Miracolosamente, questi modi possono spiegare la tensione di Hubble osservata», promette Tiwari. «La nuova scoperta mette in collegamento le due questioni più cruciali della cosmologia moderna. Inoltre, poiché il redshift è un osservabile cruciale in cosmologia, le sue correzioni dovute ai superhorizon modes sarebbero di fondamentale interesse».

Ma che significa? Proviamo a fare un passo indietro fino al “principo”, nel nostro caso al principio cosmologico: l’assunzione che l’universo sia omogeneo e isotropo. Dove per omogeneità s’intende che le caratteristiche fisiche dell’universo (densità, temperatura, eccetera) dovrebbero essere le stesse per ogni sua porzione. E per isotropia che le caratteristiche sono identiche in ogni direzione: ovunque ti volgi (tropo) l’universo è sempre uguale (iso). Certo, se ci guardiamo attorno, tutto vediamo fuor che omogeneità e isotropia. Dobbiamo però ricordare che il principio cosmologico lavora solo in grande: dettagli insignificanti quali galassie, stelle e pianeti sono – appunto – insignificanti se rapportati all’universo nel suo complesso.

Insomma, un principio ragionevole, per una scienza che prende le mosse da uno scienziato avverso a qualsivoglia posizione privilegiata qual era Copernico. I problemi hanno però iniziato a emergere quando si è potuto osservare l’universo su quelle grandi scale che tanto s’addicono al principio cosmologico e, al tempo stesso, lo si è potuto osservare con straordinaria precisione. Come hanno fatto i telescopi Wmap e Planck. Dalle mappe di entrambi è emerso che anche su grandissime scale il principio cosmologico regge solo fino a un certo punto: sembrerebbero esserci alcune anomalie, per quanto piccole. Anomalie nel fondo a microonde quali, per esempio, il cosiddetto “asse del diavolo”: un’asimmetria che andrebbe contro l’idea di un universo isotropo su grande scala.

Rappresentazione schematica di una perturbazione di lunghezza d’onda molto grande, superiore alla distanza massima che la luce avrebbe potuto percorrere dall’origine dell’universo. Il volume all’interno rappresenta l’universo osservabile. Crediti: Prabhakar Tiwari

Ma non potrebbe essere che le mappe del fondo cosmico di Wmap e Planck non sono grandi a sufficienza? In fin dei conti, non rappresentano l’intero l’universo: mostrano solo l’universo osservabile. Vale a dire, quella rispettabile ma pur sempre limitata porzione di cosmo contenuta entro un’ideale sfera con noi al centro e un raggio pari alla distanza che la luce ha percorso dall’epoca del big bang a oggi. Parliamo, grosso modo, di 46 miliardi di anni luce: l’orizzonte cosmologico, appunto.

Ora, se una fluttuazione avesse una lunghezza d’onda superiore alle dimensioni dell’universo osservabile si verrebbe a creare un’asimmetria. E l’effetto sull’universo osservabile sarebbe quello di una apparente violazione del principio cosmologico: finirebbe per sembrare non più perfettamente isotropo. Volendo fare un’analogia un po’ ardita ma si spera utile, pensiamo per esempio alla differenza fra meteo e clima: il ciclo dei cambiamenti di temperatura dovuti al meteo (cambiamenti legati all’alternanza del dì e della notte, per esempio, o delle stagioni) è molto più breve dell’orizzonte della nostra vita, dunque potremmo fare una media e vedere che su tempi lunghi i valori rimangono abbastanza uniformi. Eppure se oggi volgo lo sguardo al passato, fino all’infanzia, vedo temperature un po’ più basse di quelle che si prospettano se guardo al futuro, fino alla vecchiaia: un’anisotropia – chiamiamola così – non certo dovuta al meteo bensì ai cambiamenti climatici, che hanno tempi verosimilmente superiori alla durata della mia vita.

Queste perturbazioni dai tempi lentissimi e dagli spazi ampissimi – fluttuazioni la cui lunghezza d’onda si estende oltre l’orizzonte dell’universo osservabile – vengono chiamate, appunto, superhorizon modes: modi che superano l’orizzonte. Stando allo studio di Tiwari e colleghi, le lievi anomalie riscontrate nel fondo cosmico sarebbero dunque violazioni del principio cosmologico solo in apparenza, dovute alla nostra visione “ristretta”, e chissà: destinate magari a sparire nel momento in cui, invece dell’universo osservabile, potessimo considerare l’intero universo.

La “tensione” fra stime incompatibili della costante di Hubble (cliccare per vedere il video di MediaInaf Tv)

Non solo. Come dicevamo all’inizio, i superhorizon modes finirebbero per spiegare anche quell’altra faccenda che da anni sta dando filo da torcere agli astronomi e che va sotto il nome di tensione sulla costante di Hubble: l’imbarazzante incompatibilità sul valore di H0 stimato osservando le galassie vicine rispetto a quello stimato considerando le misure cosmologiche.

«Il problema della differenza (detta anche “tensione”) dei valori della costante di Hubble derivati da osservabili a distanze cosmologiche diverse», spiega a questo proposito il cosmologo Carlo Burigana, dirigente di ricerca all’Inaf Ira di Bologna non coinvolto nello studio di Tiwari e colleghi, al quale ci siamo rivolti per un commento, «risulta sempre più cruciale al crescere della precisione dei metodi adottati. Se da un lato un vasto insieme di ricerche recenti è rivolto alla comprensione degli eventuali effetti di natura osservativa, sistematica o inerenti all’analisi dei dati che possano originare tale discrepanza, dall’altro è cruciale elaborare modelli che possano spiegare l’effetto dal punto di vista fondamentale. Questo studio propone un’interessante interpretazione in termini di perturbazioni al là dell’orizzonte cosmologico che possono produrre un’anisotropia su larga scala, che, quando inclusa nell’analisi, può giustificare la tensione riscontrata. È inoltre interessante che in questo scenario si possano anche inquadrare alcune anomalie nelle anisotropie su grande scala angolare, o a bassi multipoli, del fondo cosmico a microonde. Forse l’universo non è così omogeneo e isotropo nemmeno su larga scala… ma un po’ più complicato, e al tempo stesso, intrigante».

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