ANALIZZATI DUE ANNI DI DATI PER STIMARNE L’IMPATTO SULLE OSSERVAZIONI

Starlink e astronomia: uno studio in chiaroscuro

Per quantificare gli effetti negativi della costellazione di satelliti Starlink di SpaceX, il cui numero ha superato quota duemila martedì scorso, sono state analizzate le immagini d’archivio catturate dallo strumento della Zwicky Transient Facility del Palomar Observatory. I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. Ne parliamo con Patrizia Caraveo

     20/01/2022

Mappa degli Starlink in orbita (aggiornata al 19 gennaio 2022). Crediti: Satellitemap

Da maggio 2019 a oggi, la costellazione di satelliti Starlink di SpaceX – in orbita attorno alla Terra con l’obiettivo di fornire connessione internet a banda larga anche agli angoli più remoti del pianeta – ha raggiunto quota duemila unità. La comunità astronomica ha espresso fin da subito una certa preoccupazione per l’impatto sulle osservazioni dell’inquinamento luminoso prodotto dal loro passaggio. Per quantificare questi effetti negativi, un team di ricercatori ha studiato le immagini d’archivio catturate dalla fotocamera del telescopio della Zwicky Transient Facility (Ztf), uno strumento finanziato dalla National Science Foundation (Nsf) statunitense e operante dal Palomar Observatory della Caltech University, vicino a San Diego. I risultati sono riportati in uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters due giorni fa, e mostrano che nelle immagini d’archivio della survey Ztf – destinata allo studio sistematico in banda ottica del cielo notturno, scansionato per intero ogni due giorni – scattate tra novembre 2019 e settembre 2021 si possono contare ben 5301 scie luminose riconducibili ai satelliti. Queste tracce sono più evidenti nelle osservazioni crepuscolari, ovvero quelle effettuate all’alba o al tramonto, importanti anche per individuare il passaggio di asteroidi vicini alla Terra.

«Nel 2019, lo 0,5 per cento delle immagini crepuscolari è stato colpito da questo effetto, e ora arriviamo quasi al 20 per cento», dice il primo autore dello studio, Przemek Mróz, con un postdoc al Caltech e ora ricercatore all’Università di Varsavia. Per il futuro, gli scienziati prevedono che la situazione andrà in progressivo peggioramento, soprattutto per gli obiettivi ambiziosi previsti per la costellazione Starlink: oltre diecimila satelliti entro il 2027.

La galassia di Andromeda osservata il 19 maggio 2021. Si nota la scia luminosa dovuta al passaggio di un satellite Starlink. Crediti: Caltech/Palomar Observatory

Eppure, nonostante l’aumento della presenza di scie luminose nelle immagini, lo studio evidenzia che le operazioni scientifiche di Zwicky non hanno subito una forte influenza. Lo conferma Tom Prince, professore emerito di fisica al Caltech e coautore dell’articolo, spiegando che i pixel colpiti sono meno di un decimo di punto percentuale: un effetto tutto sommato trascurabile rispetto, per esempio, agli effetti del meteo avverso. La proposta di Prince è sviluppare il software di controllo dello strumento in modo tale da mitigare potenziali rischi, per esempio prevedendo le posizioni dei satelliti Starlink e aiutando gli astronomi a evitare di programmare un’osservazione quando uno di loro potrebbe trovarsi nel campo di vista.

Un altro aspetto interessante preso in considerazione dallo studio è l’efficacia delle “visiere” installate sui nuovi satelliti Starlink, aggiunte da SpaceX a partire dal 2020 proprio per impedire che riflettano la luce solare. Secondo i dati, in questo modo la luminosità del satellite è ridotta di circa un fattore cinque. Questo permette di portare la luminosità dei satelliti alla magnitudine apparente di 6,8: dunque meno brillanti delle stelle più deboli visibili a occhio nudo, che sono circa di sesta magnitudine.

Nonostante il dato incoraggiante, va tenuto in considerazione che questi risultati riguardano le sole immagini catturate dallo strumento Zwicky, e che il sistema non sembra ancora soddisfare gli standard definiti durante il Satellite Constellations 1 del 2020, un incontro promosso dall’American Astronomical Society e dal NoirLab  statunitense con lo scopo di riunire scienziati, politici e altri esperti per discutere l’impatto delle grandi costellazioni di satelliti sull’astronomia e non solo: il requisito richiesto era infatti che tutti i satelliti in orbita bassa avessero una luminosità pari alla settima magnitudine o più deboli (quindi con magnitudini apparenti maggiori).

Come va dunque accolto il risultato di questo studio della Ztf? Lo abbiamo chiesto a Patrizia Caraveo, astrofisica dell’Inaf, vincitrice nel 2021 del Premio “Enrico Fermi” della Società italiana di fisica e autrice di numerosi libri fra i quali, in particolare, due volumi dedicati proprio all’inquinamento luminoso: Il cielo è di tutti (Edizioni Dedalo, 2020) e, in inglese, il recente Saving the Starry Night (Springer, 2021) .

Le immagini ottenute con Ztf in cui sono presenti gli effetti dei satelliti Starlink, al passare del tempo. La linea rossa indica il numero crescente dei satelliti. Crediti: Mróz et al., 2021

«L’articolo riassume benissimo i termini del problema e usa i dati di archivio della Ztf per fare delle valutazioni quantitative dell’impatto delle nuove costellazioni di satelliti su uno strumento a largo campo. I risultati confermano le aspettative delle simulazioni. La figura 1 presente nell’articolo (riportata qui a lato, ndr) che mostra la chiarissima correlazione tra il numero di satelliti Starlink e il numero delle strisciate presenti nelle immagini, illustra la rapida evoluzione del problema e fa capire che la situazione è destinata ad aggravarsi proporzionalmente al numero dei satelliti in orbita. Tuttavia, per i dati Ztf l’impatto non è drammatico. Utilizzando i dati sulle orbite dei satelliti si possono identificare le immagini interessate dalle strisciate che vanno schermate, per limitare i danni. In questo modo, pur vedendo un preoccupante numero di strisciate, l’area da eliminare, perché contaminata, risulta essere piccola, con una perdita trascurabile di dati. Tutto sommato, la Ztf può continuare a funzionare, anche se la procedura di pulizia richiede un passo aggiuntivo nella pipeline di analisi delle immagini, lavoro che ha certamente un costo aggiuntivo».

«La situazione non sarà così favorevole per i telescopi a grande campo più potenti, come il Vera Rubin Observatory», mette però in guardia Caraveo, «perché i pixel interessati saranno saturati, quindi molto più difficili da mascherare, con impatto molto più grave sull’area delle immagini resa inutilizzabile. In questo caso nessun software intelligente potrà ridare le frazioni di immagini cancellate dal passaggio dei satelliti».

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