PIÙ ABBONDANTE, PIÙ ECONOMICO, PIÙ PERFORMANTE DELLO XENO

Il pieno, grazie. Di iodio

ThrustMe ha testato per la prima volta con successo nello spazio, integrato in un cubesat, un sistema di propulsione elettrica alimentato a iodio. La nuova soluzione è ideale per i piccoli satelliti perché si adatta bene alla miniaturizzazione del sistema di propulsione. I risultati sono stati pubblicati oggi su Nature

     17/11/2021

Vista laterale di un modello di volo del sistema di propulsione elettrica allo iodio Not30-I2 in una camera a vuoto. Crediti: ThrustMe

Dello iodio sentiamo spesso parlare in relazione alla salute. Una sua carenza, specialmente durante la crescita o in gravidanza, può portare a conseguenze sull’organismo molto gravi e definitive. Ne basta pochissimo, appena 150 microgrammi al giorno, ma questa dose minima è assolutamente imprescindibile perché alcuni organi – come la tiroide, ad esempio – possano assolvere alla loro funzione. E se la potenza – in termini di funzionalità – sprigionata nel nostro organismo da una dose così piccola di questo elemento sembra eccezionale, c’è chi addirittura ha pensato di investire in questo elemento per farci una cosa completamente diversa: un combustibile per la propulsione elettrica di veicoli spaziali. Si tratta dell’azienda ThrustMe, che oggi ha pubblicato i risultati dei primi test orbitali di un nuovo motore a iodio sulla rivista Nature.

La propulsione è un importante sottosistema necessario a molti satelliti per eseguire manovre nello spazio e garantire il successo di una missione. I sistemi di propulsione elettrica, come i propulsori ionici, sono una scelta particolarmente attraente a causa della loro altissima efficienza. Tuttavia, poiché i satelliti hanno una capacità limitata di generare energia, i sistemi di propulsione elettrica utilizzano tipicamente un propellente che massimizzi il rapporto spinta/potenza. Attualmente, la scelta ricade quasi esclusivamente sullo xeno, un gas nobile, e in misura minore sul krypton.

Lo xeno però è un elemento raro (ha una concentrazione inferiore a una parte su 10 milioni nell’atmosfera), costoso (circa 3000 dollari/kg), e la cui produzione commerciale è limitata. Inoltre, viene anche usato in altri settori come quello medico (negli anestetici), per l’illuminazione e nei semiconduttori. Per quel che riguarda il settore spazio, le proiezioni di mercato stimano che più di 24mila satelliti potrebbero essere lanciati entro i prossimi 10 anni e la maggior parte di essi richiederà una propulsione elettrica. La crescente domanda dell’industria spaziale, da sola, rischia di superare l’offerta nei prossimi anni, e molte aziende di settore sono impegnate nella ricerca di strategie alternative.

Entra quindi in campo lo iodio: negli ultimi vent’anni diversi studi lo hanno testato come possibile propellente alternativo, ma nessun sistema di propulsione allo iodio era stato precedentemente lanciato o testato nello spazio.

Vista dall’alto di un modello di volo del sistema di propulsione elettrica allo iodio Not30-I2 in una camera a vuoto. Crediti: ThrustMe

«Lo iodio è significativamente più abbondante e meno costoso dello xeno, e ha l’ulteriore vantaggio di poter essere conservato non pressurizzato come un solido», spiega Dmytro Rafalskyi, Cto e co-fondatore di ThrustMe. Lo xeno, in confronto, deve essere conservato ad alta pressione (tipicamente 100-200 volte la pressione atmosferica). Lo iodio ha anche una densità di stoccaggio quasi 3 volte più alta dello xeno (e 9 volte più alta del krypton), il che permette una significativa semplificazione e miniaturizzazione dei sistemi di propulsione. «ThrustMe ha sviluppato un sistema rivoluzionario di propulsione con un motore a ioni di iodio, l’Npt30-I2, che include tutti i sottosistemi necessari e si inserisce in un unico pacchetto di circa 10 cm x 10 cm x 10 cm». Secondo le stime riportate nell’articolo, inoltre, in confronto allo xeno lo iodio migliora le prestazioni quasi del 50 per cento.

Dopo numerosi test e qualifiche, il primo Npt30-I2 è stato integrato nel satellite cubesat Beihangkongshi-1, gestito da Spacety e lanciato nello spazio il 6 novembre 2020. Da allora ThrustMe ha analizzato attentamente i dati del sistema di propulsione e del satellite, confrontando i risultati in volo con le misurazioni a terra. I risultati confermano il successo delle operazioni con le prestazioni previste, e i cambiamenti orbitali del satellite corrispondono alle previsioni basate sulla telemetria del sistema di propulsione.

La dimostrazione in orbita di ThrustMe è una prima mondiale, e la potenzialità di questo nuovo sistema di propulsione a iodio per le applicazioni future è davvero vasta. Negli ultimi anni, infatti, lo sviluppo dell’elettronica e un più facile accesso allo spazio hanno accresciuto l’interesse verso piccoli satelliti e incentivato lo sviluppo di soluzioni spaziali per l’osservazione della Terra. Oggi dallo spazio si ricavano informazioni preziose per la gestione dei disastri naturali, si monitorano costantemente i cambiamenti climatici, si eseguono studi di pianificazione urbana e si garantisce l’accesso globale a Internet. La possibilità di miniaturizzazione del sistema di propulsione offerta dallo iodio dà uno spazio di manovra senza precedenti a tutti questi satelliti.

«La dimostrazione di successo del Npt30-I2 significa che possiamo procedere al passo successivo nello sviluppo della propulsione allo iodio», conclude Rafalskyi. «In parallelo con i nostri test nello spazio abbiamo sviluppato nuove soluzioni che permettono di aumentare le prestazioni e abbiamo iniziato una vasta campagna di test di resistenza a terra per affrontare i limiti di questa nuova tecnologia».

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