TRA PIANETI E STELLE OSPITI, UN’INTIMA CORRELAZIONE CHIMICA

Quasi della stessa stoffa di cui son fatte le stelle

Sebbene all’origine vi sia la stessa materia che costituiva le nubi molecolari da cui si sono formati, la chimica delle stelle e dei pianeti che gli orbitano attorno non è esattamente la stessa. È la conclusione di uno studio, pubblicato su Science, che ha analizzato l’abbondanza di molecole ferrose in un campione di esopianeti rocciosi e nelle rispettive stelle ospiti

     19/10/2021

Illustrazione della formazione del pianeta attorno a una stella simile al Sole, con gli elementi costitutivi dei pianeti – rocce e molecole di ferro – in primo piano. Crediti: Tania Cunha (Planetário do Porto – Centro Ciência Viva & Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço)

Le stelle e i pianeti  sono fatti della stessa pasta: polveri e gas provenienti da una comune nube cosmica progenitrice. Il modello di formazione stellare attualmente accettato prevede infatti che le stelle si formino all’interno di enormi nubi molecolari dal collasso gravitazionale della materia che le costituisce. La stessa materia di cui sono fatti i dischi circumstellari, la struttura discoidale che circonda le giovani stelle e che rappresenta la riserva di materiale da cui nasceranno successivamente i pianeti.

Poiché i due tipi di astri accrescono materia dalla stessa fonte, l’ipotesi dei ricercatori è che le loro composizioni chimiche siano simili. Un nuovo studio, pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Science, fornisce ora la prima evidenza empirica di questa ipotesi, in parte però contraddicendola. Nella ricerca in questione, Vardan Adibekyan, ricercatore all’Istituto di astrofisica e scienze spaziali dell’università di Porto, in Portogallo, e i colleghi delle università di Berna e di Zurigo hanno studiato la chimica di un campione di pianeti extrasolari rocciosi e delle rispettive stelle ospiti proprio con l’obiettivo di determinarne la relazione in termini di composizione chimica.

In particolare, per quanto riguarda le stelle oggetto dello studio, l’abbondanza di elementi e molecole è stata ottenuta misurando la luce emessa da questi astri, luce che porta con sé la caratteristica impronta spettroscopica della loro composizione. La chimica interna dei pianeti è stata invece dedotta combinando le loro masse e i raggi misurati con i dati estrapolati dal “modello di Berna per la formazione dei sistemi planetari”, un modello di struttura interna sviluppato presso l’università di Berna e ampiamente adottato dai ricercatori di tutto il mondo per comprendere la formazione di una stella e dei suoi pianeti in base alle proprietà della nube cosmica da cui sono nati. I ricercatori hanno quindi focalizzato la loro attenzione sulla frazione di molecole contenenti ferro presenti due classi di oggetti celesti. Infine, hanno confrontato le due quantità per ottenere informazioni sul tipo di legame composizionale che li unisce.

Il risultato?  Tra le due quantità hanno trovato sì una correlazione, ma non così diretta come si potrebbe pensare. «I nostri risultati mostrano che le ipotesi sulla composizione di stelle e pianeti non erano fondamentalmente sbagliate: la composizione dei pianeti rocciosi è infatti intimamente legata alla composizione della loro stella ospite. Tuttavia, la relazione non è così semplice come ci aspettavamo», sottolinea Adibekyan, primo autore della pubblicazione.

Quello che gli scienziati si aspettavano era, in particolare, che l’abbondanza di queste molecole nella stelle ne determinasse a sua volta il limite massimo nei pianeti. «Tuttavia, per alcuni dei pianeti, l’abbondanza di ferro è persino maggiore che nella stella», osserva Caroline Dorn, ricercatrice al National Center of Competence in Research PlanetS (Nccrs) dell’università di Berna e co-autrice dello studio. «Ciò potrebbe essere dovuto a impatti giganti su questi pianeti che hanno frantumato le rocce superficiali costituite da elementi più leggeri, mentre il denso nucleo di ferro è rimasto».

Risultati che potrebbero fornire agli scienziati indizi sulla formazione planetaria. Ma non solo. «I risultati di questo studio sono anche molto utili per vincolare le composizioni planetarie che si assumono sulla base della densità calcolata dalle misurazioni di massa e raggio», dice Christoph Mordasini, docente di astrofisica all’università di Berna, anche lui tra i firmatari della pubblicazione. «Poiché a certi valori di densità possono adattarsi diverse composizioni, i risultati del nostro studio ci dicono che possiamo restringere la potenziale composizione di un pianeta in base a quella della stella ospite. E poiché l’esatta composizione di un pianeta influenza, ad esempio, quanto materiale radioattivo contiene o quanto è forte il suo campo magnetico, grazie ad essa è possibile determinare se il pianeta presenta o meno condizioni favorevoli alla vita».

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “A compositional link between rocky exoplanets and their host stars” di Vardan Adibekyan, Caroline Dorn, Sérgio G. Sousa, Nuno C. Santos, Bertram Bitsch, Garik Israelian, Christoph Mordasini, Susana C. C. Barros, Elisa Delgado Mena, Olivier D. S. Demangeon, João P. Faria, Pedro Figueira, Artur A. Hakobyan, Mahmoudreza Oshagh, Barbara M. T. B. Soares, Masanobu Kunitomo, Yoichi Takeda, Emiliano Jofré, Romina Petrucci ed Eder Martioli