SU NATURE ASTRONOMY UNA NUOVA TEORIA SULLA FORMAZIONE DELLE UDG

All’origine delle galassie ultra diffuse in isolamento

Grazie alla simulazione Tng50 è stato trovato un possibile meccanismo di formazione per galassie ultra diffuse inattive che non appartengono ad alcun gruppo o ammasso. Lo studio, condotto da un team internazionale di astronomi del quale fa parte anche Federico Marinacci dell’Università di Bologna, propone che all’origine di queste peculiari galassie possano esserci le cosiddette “backsplash”, galassie un tempo parte di un ammasso ma oggi isolate

     07/09/2021

L’immagine mostra una galassia ultradiffusa “blu” precipitare in un sistema di galassie e la sua successiva espulsione come galassia ultradiffusa “rossa” – ovvero, dopo aver perso il suo gas. Crediti: Vanina Rodriguez.

Le galassie ultra diffuse (Udg, dall’inglese ultra-diffuse galaxies) sono galassie nane caratterizzate da una distribuzione stellare diradata e luminosità superficiale estremamente bassa. Molte domande su questa particolare classe di galassie rimangono ancora senza risposta: ad esempio, come fanno a essere così estese pur avendo così poca massa, e dunque una densità così ridotta? Sono forse gli aloni di materia oscura che le circondano (e che sono molto più consistenti di quelli delle galassie ordinarie) a proteggerle da influenze gravitazionali esterne?

Grazie a sofisticate simulazioni, un team internazionale di scienziati guidato da José Benavides dell’Instituto de Astronomía Teórica y Experimental di Córdoba, in Argentina, e da Laura Sales dell’Università della California a Riverside, ha individuato alcune galassie ultra diffuse inattive – quindi non più in grado di formare stelle – in ambienti dell’universo a bassa densità di materia. «Ciò che abbiamo osservato è in contrasto con le teorie sulla formazione delle galassie, stando alle quali le galassie nane “spente” dovrebbero trovarsi in gruppi o in ammassi di galassie, affinché venga loro sottratto il gas e interrotta così la formazione di stelle», spiega Sales. «Invece le Udg inattive che abbiamo individuato sono isolate».

Nel loro studio, i cui risultati sono stati pubblicati ieri su Nature Astronomy, i ricercatori hanno tracciato l’evoluzione di queste Udg mostrando come abbiano avuto origine in orbite cosiddette di backsplash – dunque galassie che in passato facevano parte di un ammasso e ora non più. Un po’ come accade a una cometa, che si avvicina alla nostra stella periodicamente, ma trascorre la maggior parte del tempo in solitaria, lontana dal Sistema solare. «Queste galassie sono affascinanti perché condividono proprietà con la popolazione di galassie satelliti del sistema a cui un tempo appartenevano, ma oggi le si osserva isolate».

Le galassie nane, che in base alle dimensioni vanno da compatte a ultra diffuse, sono piccole galassie che contengono da 100 milioni a qualche miliardo di stelle: un numero esiguo se confrontato con quello della Via Lattea, che va da 200 a 400 miliardi. Le Udg hanno il contenuto stellare di una galassia nana, ma un’estensione paragonabile a quella della Via Lattea. Proprio questo rapporto tra estensione e densità stellare le rende difficili da osservare, poiché la loro luminosità è fioca – diffusa, appunto, in uno spazio molto ampio.

L’alone di materia oscura di una galassia nana – spiega Sales – ha una massa almeno dieci volte inferiore a quella della Via Lattea e una dimensione proporzionalmente ridotta. Le Udg, tuttavia, infrangono questa regola e mostrano un’estensione radiale paragonabile a quella di galassie molto più grandi. «Una fra le teorie più comuni per spiegare le Udg era la teoria della “Via Lattea fallita”, secondo la quale le Udg erano destinate a diventare galassie come la nostra, ma per qualche motivo non sono riuscite a formare stelle», ricorda Benavides, primo autore dello studio. «Ora sappiamo che questo scenario non può spiegare tutte le Udg. Quindi stanno emergendo modelli teorici con più meccanismi di formazione in grado di dare origine a questi oggetti ultra diffusi».

A sinistra, una fra le galassie ultra-diffuse (Udg) analizzate nella simulazione. A destra, l’immagine di Df2, una Udg  quasi trasparente. Crediti: Esa/Hubble

Il valore di questo studio, spiega Sales, è duplice: anzitutto la simulazione cosmologica usata dai ricercatori, denominata Tng50, ha predetto con successo le Udg con caratteristiche simili a quelle osservate. In secondo luogo, sono state individuate alcune rare Udg inattive per le quali occorreranno studi specifici. «Usando Tng50 come una macchina del tempo per capire come le Udg siano arrivate dove sono ora, abbiamo scoperto che questi oggetti, miliardi di anni prima, erano galassie satelliti, in seguito espulse in un’orbita molto ellittica, così da apparire oggi isolate», spiega Sales.

Secondo le simulazioni, le Udg “spente” possono generalmente costituire il 25 per cento di una popolazione di galassie ultra diffuse; tuttavia, nelle osservazioni questa percentuale risulta molto più piccola. Ciò significa che gran parte delle galassie nane potrebbe sfuggire ai telescopi e rimanere nascosta nell’oscurità.

«I risultati di questo lavoro mostrano soprattutto l’importanza che le simulazioni numeriche hanno assunto nella ricerca in campo astrofisico», conclude Federico Marinacci, astrofisico teorico all’Università di Bologna e coautore dello studio. «Infatti è stato proprio grazie allo sviluppo di una simulazione come Tng50 che siamo stati in grado di trovare un possibile meccanismo di formazione per le Udg. In futuro ci aspettiamo di effettuare simulazioni sempre più sofisticate che ci permetteranno di fare previsioni più accurate e rispondere ai numerosi interrogativi ancora irrisolti sull’evoluzione dell’universo».

Per saperne di più:

Sulla simulazione Tng50, guarda questo servizio video di MediaInaf Tv del 2019: