DALLA FASCIA PRINCIPALE DEGLI ASTEROIDI ALLA RISERVA DEL KALAHARI

Tre anni fa, una breccia dal cuore di Vesta

Ventitré frammenti del meteorite che ha impattato la superficie terrestre il 2 giugno 2018 sono stati recuperati e studiati da un gruppo internazionale di ricercatori. Tra loro anche l’italiano Davide Farnocchia della Nasa, al quale abbiamo chiesto com’è andata e quali sono i risultati ottenuti

     03/06/2021

Un frammento dell’asteroide 2018 LA recuperato nella Riserva faunistica del Kalahari centrale, in Botswana, Africa. Crediti: Seti Institute

Il 2 giugno 2018 un frammento dell’asteroide 2018 LA entrava nell’atmosfera terrestre e una manciata di frammenti di meteorite precipitavano al suolo, nella Riserva faunistica del Kalahari centrale, in Botswana, Africa. In quegli stessi giorni scienziati e ricercatori di tutto il mondo si riunivano a Monaco di Baviera, in Germania, per discutere dei corpi del Sistema solare la cui orbita ha una probabilità non nulla di incrociare quella della Terra: i Near Earth Objects (o Neo). Tra loro c’erano anche Davide Farnocchia, del Center for Near-Earth Object Studies del Jpl della Nasa, e Eric Christensen, il manager del Catalina Sky Survey, il programma osservativo condotto dal Lunar and Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona che ha individuato per la prima volta l’asteroide 2018 LA.

«Il 2 giugno 2018 era un sabato, e avevamo un giorno libero dopo un’intensa settimana di lavoro. Avevamo organizzato una gita al cratere di Nördlinger Ries», racconta Farnocchia, matematico di formazione e ora navigation engineer alla Nasa. «Nonostante il cattivo segnale internet della zona, verso l’ora di pranzo mi arrivò la notifica del nostro programma automatico che avvisava del possibile impatto nelle ore successive. Appena tornati in albergo io ed Eric ci siamo messi ad analizzare le immagini astrometriche di Catalina per migliorare il calcolo dell’orbita e della possibilità di impatto».

L’asteroide 2018 LA visualizzato da Skymapper. Crediti: Christian Wolf et al./Anu

Si trattava infatti della seconda volta in assoluto in cui un oggetto veniva monitorato nello spazio prima del suo impatto a terra. I ricercatori hanno recuperato i dati d’archivio dal programma SkyMapper Southern Survey dell’Università nazionale australiana (Anu) che mostrava l’asteroide che ruotava intorno al proprio asse una volta ogni quattro minuti, presentando alternativamente un lato ampio e uno stretto. Farnocchia ha combinato le osservazioni astronomiche dell’asteroide con i dati satellitari del governo degli Stati Uniti per calcolare l’area di caduta sulla superficie terrestre. Con altri dati astrometrici gli scienziati hanno potuto calcolare con precisione l’orbita di avvicinamento, il periodo di rotazione e la forma dell’asteroide. Per riuscire a triangolare la posizione della “palla di fuoco” in avvicinamento, è stato necessario rintracciare numerose registrazioni effettuate da persone che hanno assistito alla scena, come questo video di Barend Swanepoel e Vicus van Zyl. Da allora, un team internazionale di ricercatori guidato da Peter Jenniskens, astronomo esperto di meteoriti dell’Istituto Seti, ha trovato ventitré frammenti del meteorite Motopi Pan, come riporta uno studio pubblicati lo scorso aprile sulla rivista Meteoritics and Planetary Science.

Davide Farnocchia. Crediti: Jpl/Nasa

«Il mio contributo ha riguardato l’identificazione dell’impatto in seguito alla scoperta. Inoltre ho calcolato la traiettoria di 2018 LA e la sua proiezione sul suolo per individuare il luogo nel quale si sarebbero potuti rinvenire i meteoriti. L’area in cui li abbiamo cercati si trova all’interno della riserva faunistica del Kalahari centrale, dove si trovano animali potenzialmente pericolosi come leopardi e leoni. Gli scienziati sono stati tenuti al sicuro da ranger del Botswana addetti alla protezione della fauna selvatica», ricorda Farnocchia, che al Jpl è membro del gruppo di dinamica del Sistema solare (parte della sezione che si occupa della navigazione di moduli spaziali per le varie missioni), con il ruolo di  ingegnere della navigazione e fra i vari compiti ha anche quello di calcolare la traiettoria di asteroidi e comete.

Prima dell’impatto, LA 2018 era una roccia solida di circa 156 centimetri di diametro con un’elevata densità apparente (oltre 2,80 grammi per centimetro cubo), capace di riflettere circa il 25 per cento della luce del Sole. Lo studio dinamico della sua orbita ha avvalorato l’ipotesi che LA 2018 fosse un vestoide proveniente dalla parte interna della fascia di asteroidi dove si trova Vesta, il secondo corpo più grande della fascia principale degli asteroidi e il più brillante tra quelli visibili da Terra.

Foto di gruppo in occasione del secondo ritrovamento di un pezzo di asteroide 2018 LA recuperato nella Central Kalahari Game Reserve nel Botswana centrale. Crediti: Seti Institute

Secondo gli scienziati il materiale che compone Motopi Pan si è formato in seguito a un forte riscaldamento conseguente a un grandissimo impatto avvenuto su Vesta circa 4,23 miliardi di anni fa. Questo impatto portò alla formazione del cratere Veneneia mentre un successivo secondo grosso impatto avvenuto circa ventidue milioni di anni fa ha prodotto un altro cratere, Rheasilvia, che ha fatto uscire LA 2018 dalla sua orbita originaria catapultandolo in un’orbita verso la Terra.

«Ci sono almeno due motivi per studiare questi oggetti», spiega Farnocchia. «Il primo motivo è che gli impatti asteroidali rappresentano un rischio per la Terra. 2018 LA era troppo piccolo per causare danni ma è stato comunque un buon esercizio. Nonostante le piccole dimensioni, è stato scoperto dai nostri telescopi, siamo stati in grado di riconoscere il prossimo impatto e calcolarne accuratamente la traiettoria. Ognuno di questi passi è un ingrediente essenziale qualora ci fosse un asteroide effettivamente pericoloso. Il secondo motivo riguarda il fatto che la composizione e la dinamica orbitale degli asteroidi ci danno informazioni preziose sul processo di formazione del Sistema solare».

«L’importanza di questo studio», conclude Farnocchia, «risiede nel fatto che possiamo collegare le proprietà di questi meteoriti con la zona di origine dell’asteroide 2018 LA. Infatti, conosciamo l’orbita pre-impatto di 2018 LA intorno al Sole e questo ci permette di tracciarne il moto nel passato e collegarlo con ogni probabilità all’asteroide Vesta. Il fatto che i meteoriti trovati siano di tipo Hed (howardite–eucrite–diogenite) conferma questa interpretazione. Insomma, abbiamo avuto la possibilità di studiare di un asteroide proveniente dalla fascia principale tra Marte e Giove senza aver bisogno di una missione spaziale, è stato l’asteroide a venire da noi».

Per saperne di più: 

  • Leggi su Meteoritics & Planetary Science l’articolo “The impact and recovery of asteroid 2018 LA” di P. Jenniskens, M. Gabadirwe, Q. Yin, A. Proyer, O. Moses, T. Kohout, F. Franchi, R. L. Gibson, R. Kowalski, E. J. Christensen, A. R. Gibbs, A. Heinze, L. Denneau, D. Farnocchia, P.W. Chodas, W. Gray, M. Micheli, N. Moskovitz, C. A. Onken, C. Wolf,Hadrien A. R. Devillepoix, Q. Ye, D. K. Robertson, P. Brown, E. Lyytinen, J. Moilanen, J. Albers, T. Cooper, J. Assink, Evers, P.Lahtinen, L. Seitshiro, M. Laubenstein, N. Wantlo, P. Moleje, J. Maritinkole, H. Suhonen, M. E. Zolensky, L. Ashwal, T. Hiroi, D. W. Sears, Alexander Sehlke, A. Maturilli, M. E. Sanborn, M. H. Huyskens, S. Dey, K. Ziegler, H.Busemann, M. E. I. Riebe, M. M. Meier, K. C. Welten, M. W. Caffee, Q. Zhou, Q. Li, X. Li, Yu Liu, G. Tang, H. L. Mclain, J. P. Dworkin,  D. P. Glavin, P. Schmitt-kopplin, H. Sabbah, C. Joblin, M. Granvik, B. Mosarwa e K. Botepe