È IL PRIMO STUDIO SULLA ISS SULLA RISPOSTA DI CELLULE UMANE ALL’INFEZIONE

Infezione da salmonella in microgravità

Pubblicati su npj Microgravity i risultati di un esperimento condotto sulla Stazione spaziale per valutare in vitro l’effetto della microgravità sull’infezione di cellule epiteliali intestinali umane da parte batterio Salmonella Typhimurium. Si tratta del primo esperimento in cui sia l’ospite che l’agente patogeno sono esposti simultaneamente al volo spaziale

     11/03/2021

Viaggiare nello spazio è sicuramente un’avventura che non ha eguali. Un’avventura non priva di difficoltà: dopo mesi di permanenza in orbita, la microgravità può infatti influenzare negativamente la fisiologia umana, modificando molte delle risposte biologiche dell’individuo. Una tra tutte, la risposta alle infezioni da parte di una varietà di microbi patogeni che astronauti e astronaute – o il carico delle missioni – possono ospitare, e che possono attaccare il loro sistema immunitario meno reattivo. A questo va aggiunto l’aumento della virulenza e della resistenza allo stress, già dimostrata da diversi studi, che interessa questi minuscoli organismi nelle stesse condizioni di microgravità. Questa combinazione di fattori rappresenta un rischio per i viaggiatori spaziali.

Crediti: Shireen Dooling for the Biodesign Institute at Arizona State University

In un articolo apparso nell’ultimo numero di npj Microgravity, una rivista del gruppo Nature, un team di scienziati guidati da Jennifer Barrila, ricercatrice al Biodesign Center for Fundamental and Applied Microbiomics (Cfam), negli Usa, descrive i risultati di esperimenti in vitro volti proprio a valutare l’effetto che il volo spaziale ha nella risposta immunitaria. In particolare sull’interazione ospite-patogeno, cioè sull’infezione di cellule epiteliali intestinali umane in vivo sentinelle dell’immunità, fornendo le prime barriere fisiche e chimiche alle infezioni e coordinando ulteriori difese innate e risposte adattive successive – da parte di Salmonella enterica (sierotipo typhimurium), un batterio patogeno isolato, ad esempio, sia nei rifiuti dell’equipaggio che sulle superfici della Stazione spaziale internazionale.

Si tratta, spiegano i ricercatori, della prima volta in cui viene studiata la risposta in vitro delle cellule epiteliali intestinali umane all’infezione da salmonella con l’ospite (cioè le cellule epiteliali) e il patogeno esposti entrambi al volo spaziale. In precedenti studi, un team guidato da Cheryl Nickerson, ricercatrice presso lo stesso centro di ricerca e co-autrice della pubblicazione, aveva dimostrato che la microgravità può incrementare le proprietà patogene o la virulenza di organismi come Salmonella in modi che non erano stati osservati quando lo stesso organismo veniva coltivato in laboratorio. Tuttavia, questi studi erano stati eseguiti con esperimenti dove a crescere in condizioni di microgravità erano solo i batteri. Le cellule da infettare non erano state esposte al volo spaziale.

La nuova ricerca esplora invece cosa accade a una co-coltura, cioè una coltura doppia di cellule, nello specifico umane e batteriche, quando entrambe sono – come sulla Stazione spaziale – in condizioni di microgravità, il che fornisce una finestra unica per studiare il processo di infezione. L’obiettivo è comprendere come il basso campo gravitazionale cambi il profilo molecolare delle cellule intestinali umane e come questo venga ulteriormente modificato in risposta alle infezioni.

L’esperimento, chiamato Stl-Immune, faceva parte del carico utile trasportato a bordo della Sts-131 – una delle ultime quattro missioni dello Space Shuttle prima del suo ritiro – ed è stato condotto sulla Stazione spaziale.

La figura (cliccare per ingrandire) mostra la tecnologia dei bioreattori a fibre cave (riquadro a) e il disegno sperimentale dell’esperimento Stl-Immune (riquadro b). Crediti: Jennifer Barrila et al. npj Microgravity 2021

Il disegno sperimentale, riepilogato nel pannello b dell’immagine qui accanto, è stato il seguente: le cellule epiteliali intestinali umane HT-29 – un modello cellulare adatto a studi in vitro – sono state lanciate nello spazio contenute in sistemi di coltura tissutale chiamati bioreattori a fibre cave: tubicini contenenti al loro interno centinaia di minuscole fibre porose rivestite di una sostanza, il collagene, su cui le cellule epiteliali intestinali erano adese. Questi bioreattori sono stati mantenuti per tutta la durata dell’esperimento all’interno del cosiddetto Cell Culture Module (Ccm): un sistema automatizzato che, una volta attivato in orbita, ha pompato nutrienti e ossigeno attraverso le fibre per mantenere le cellule sane e in crescita. Undici giorni dopo il lancio, una volta trasportato il modulo Ccm all’interno della Iss, le cellule batteriche – trasportate in una coltura separata – sono state iniettate in un sottoinsieme dei bioreattori, dove hanno potuto infettare le cellule bersaglio. Il giorno del rientro dell’equipaggio della Sts-131 il modulo è stato riportato, a bordo del Discovery, sulla Terra. Le colture sono state infine recuperate e portate in laboratorio, dove i campioni sono stati analizzati e i risultati confrontati con quelli ottenuti da esperimenti a terra.

Come in tutti gli esperimenti che si rispettino, anche questo ha previsto dei controlli: uno rispetto alla condizione di microgravità, rappresentato da cellule epiteliali rimaste a terra in un laboratorio del Kennedy Space Center, e un altro rispetto alla condizione di infezione, rappresentato da cellule epiteliali umane che non sono state infettate. In totale c’erano dunque quattro campioni: cellule infette e non infette in condizioni di microgravità, sulla Iss, e cellule infette e non infette cresciute sulla Terra.

A essere stati valutati, con una sofisticata tecnica chiamata dual Rna-Seq (un metodo col quale vengono analizzati simultaneamente i cambiamenti di espressione genica sia nel patogeno che nell’ospite), sono stati i livelli di espressione degli mRna umani e batterici – messaggeri di informazioni prodotti per lettura del Dna in un processo noto come trascrizione – e le proteine, il prodotto della decodifica del messaggio nel processo di traduzione.

La ricerca ha comportato un attento esame dei profili trascrizionali sia dei batteri che delle cellule umane che essi attaccano, nonché dell’espressione proteica delle cellule umane, per valutare gli effetti del volo spaziale sulla dinamica dell’interazione ospite-patogeno. Si tratta, sottolineano i ricercatori, del primo profilo globale di trascritti e proteine che sia mai stato ottenuto di colture epiteliali intestinali umane – infette o non infette – in microgravità.

I risultati? La nuova ricerca ha scoperto alterazioni globali nell’espressione di Rna e proteine ​​sia nelle cellule umane che batteriche rispetto ai campioni di controllo a terra, e rafforza le precedenti scoperte del team secondo cui il volo spaziale può aumentare il potenziale di malattie infettive. I profili di espressione degli mRna e delle proteine hanno inoltre mostrato differenze significative tra le colture epiteliali intestinali non infette nello spazio rispetto a quelle sulla Terra. Questi cambiamenti, spiegano i ricercatori, hanno coinvolto le principali proteine ​​importanti per la struttura delle cellule, nonché diversi geni importanti per il mantenimento della barriera epiteliale intestinale, la differenziazione cellulare, la proliferazione, la guarigione delle ferite e il cancro. In particolare, rispetto alle colture di controllo a terra, le cellule non infette esposte al volo spaziale hanno mostrato una ridotta capacità di proliferazione.

Per quanto riguarda la risposta all’infezione, durante il volo spaziale è stata alterata l’espressione di ventisette Rna messaggeri, confermando l’influenza unica dell’ambiente del volo spaziale sull’interazione ospite-patogeno. I ricercatori hanno anche osservato trentacinque Rna messaggeri che erano comunemente alterati sia nelle cellule cresciute in microgravità che in quelle a Terra, con ventotto geni regolati allo stesso modo.

Rispetto ai controlli non infetti, le cellule infette in entrambi gli ambienti (microgravità-Terra) mostravano una modificazione dell’espressione associata all’infiammazione: un effetto caratteristico dell’infezione da salmonella. Infine, i trascritti batterici rilevati all’interno delle cellule ospiti infette hanno indicato una sovraregolazione dei geni associati alla patogenesi, inclusa la resistenza agli antibiotici e le risposte allo stress.

«Apprezziamo l’opportunità che la Nasa ha dato al nostro team di studiare l’intero processo di infezione in volo spaziale» commenta Nickerson. «Questi studi stanno fornendo nuove informazioni sulla meccanobiologia delle malattie infettive, che possono essere utilizzate per proteggere la salute degli astronauti e mitigare i rischi di malattie infettive. Ciò diventa sempre più importante man mano che passiamo a missioni di esplorazione umana più lunghe e più lontane dal nostro pianeta».

«Prima di iniziare questo studio, avevamo dati estesi che dimostrano che il volo spaziale ha completamente riprogrammato le cellule di Salmonella a tutti i livelli per diventare un patogeno migliore», conclude Barrila. «Sapevamo anche che il volo spaziale ha un impatto su diverse importanti caratteristiche strutturali e funzionali delle cellule umane che Salmonella normalmente sfrutta durante le infezioni sulla terra. Tuttavia, non c’erano dati che mostrassero cosa sarebbe successo quando entrambi i tipi di cellule si fossero incontrati nell’ambiente di microgravità durante l’infezione. Il nostro studio indica che ci sono alcuni cambiamenti piuttosto grandi nel panorama molecolare dell’epitelio intestinale in risposta al volo spaziale, e questo panorama globale sembra essere ulteriormente alterato durante l’infezione da salmonella».

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