PASSATO, PRESENTE E FUTURO DEL PROGRAMMA STARSHIP DI SPACEX

Fail fast, succeed faster

Il 2 febbraio scorso, dal Boca Chica Launch Site, in Texas, il prototipo Sn9 di Starship ha concluso il suo volo di test con un atterraggio esplosivo sotto gli occhi del gemello Sn10. Per apprezzare al meglio questo lancio, gli obiettivi e il futuro del visionario progetto Starship di Elon Musk abbiamo intervistato un appassionato di aeronautica e astronautica, Tommaso Ravaglioli, esperto in ambito aerospaziale

     12/02/2021

Dopo diversi rinvii, complici le condizioni meteo avverse prima e le mancate autorizzazioni al volo della Federal Aviation Administration (Faa), lo scorso 2 febbraio il prototipo Starship Serial Number 9 di SpaceX ha finalmente eseguito il tanto atteso volo di test.

Fotogramma con Starship Sn9 in fase di discesa durante il test del 2 febbraio scorso. Crediti: SpaceX

L’accensione dei tre motori Raptor, l’ascesa, lo spegnimento controllato di ciascuno dei motori prima di raggiungere l’apogeo, la cabrata del veicolo per passare dalla posizione verticale a quella orizzontale, la discesa aerodinamica controllata mediante il movimento dei quattro alettoni (flaps) – due a poppa e due a prua: tutto è andato come previsto, per questo secondo test ad alta quota. Tutto – come per Sn8 – eccetto l’atterraggio, terminato con una spettacolare spanciata esplosiva sotto gli occhi del suo successore Sn10 (il suo lancio è atteso nei prossimi giorni).

Per capire in dettaglio cosa è successo a Sn9, e per fare il punto sul presente e sul futuro del progetto Starship, Media Inaf ha raggiunto Tommaso Ravaglioli, appassionato di aeronautica e astronautica ed esperto nel settore dell’industria aerospaziale.

Ravaglioli, iniziamo dal principio: perché questo ritardo da parte della Faa nel rilascio della autorizzazione al volo?

«La Federal Aviation Administration (Faa) è responsabile di tutto ciò che vola negli Stati Uniti e, ancora più importante, di tutto ciò che viene fatto volare da aziende statunitensi nel mondo. Finora l’agenzia nei confronti di SpaceX è stata molto permissiva. L’hanno considerata, nonostante quello che SpaceX ha spesso dichiarato, una sorta di enfante prodige dell’industria statunitense, e come tale avente diritto a una parte di apprendimento. Tuttavia, con Sn9 la Faa si è irrigidita. Il motivo è stato la configurazione interna del veicolo, abbastanza differente dal precedente prototipo. I problemi di Sn8 sono stati causati dalla mancata erogazione della corretta quantità di carburante ai motori. Per superare queste criticità a Sn9 sono stati aggiunti due piccoli serbatoi – uno per l’ossigeno e uno per il metano – chiamati header tank, riservati unicamente alla discesa del prototipo. Si tratta di sistemi che vengono utilizzati molto spesso in ambito aeronautico, ma pochissimo in ambito missilistico. Nell’ambito aeronautico, per esempio, vengono utilizzati per gli aerei acrobatici, che per le loro manovre potrebbero trovarsi in una situazione in cui il serbatoio principale del carburante non peschi correttamente, garantendo l’alimentazione negli assetti più strani. Nella missilistica questa è una cosa sostanzialmente mai sentita: è molto difficile che un razzo cambi così violentemente il suo assetto come fa Starship. Queste modifiche erano attese: qualsiasi produttore cerca di eliminare i difetti nel prototipo passando alla release successiva, per utilizzare un termine informatico che SpaceX ama molto. Ma per la forma mentis dei regolatori Faa si trattava di una nuova configurazione, e come tale necessitava di un riesame. Tutta la parte di validazione di Starship che era stata completata da SpaceX in collaborazione con la Faa per i prototipi precedenti è stata di fatto sottoposta a una nuova revisione: è stata questa la causa del ritardo nell’autorizzazione al volo e il motivo per cui abbiamo visto i due pad popolati allo stesso momento con Sn9 e Sn10».

Fotogramma con Sn9 (a sinistra) ed Sn10 (a destra) pochi minuti prima del lancio del 2 febbraio. Crediti: SpaceX

A proposito dei due pad occupati: potremmo aspettarci in futuro un lancio simultaneo di due prototipi?

«Sì, è qualcosa che da SpaceX ci si potrebbe aspettare, anche solo come espediente pubblicitario. Il problema è che in questo momento non ci sono infrastrutture di supporto tali da permettere i due lanci contemporaneamente».

Prima dei lancio si parla sempre di venting. Cos’è?

«Il venting è la fisica in azione. I prototipi Starship sono divisi in due parti da una “paratia”. Una metà è il serbatoio riempito di comburente, l’ossigeno liquido, l’altra metà di carburante, il metano liquido. Quando SpaceX carica il carburante e il comburente su Starship, essendo i serbatoi pressurizzati, questi fluidi sono alla soglia di ebollizione. Questo comporta che all’interno dei serbatoi si generi una pressione troppo elevata che potrebbe causarne lo scoppio. Per evitare che ciò accada deve avvenire lo sfiato, il venting appunto. Questa evaporazione viene compensata costantemente versando nei serbatoi nuovo carburante fino a pochissimi istanti prima del lancio.

In particolare, c’è un upper tank vent e un lower tank vent. In più ci sono altri tre sfiati, che si verificano all’interno dei tubi che collegano i motori ai serbatoi, anche quelli pressurizzati. Moltissimi dei test a bassa quota fatti con i primi prototipi sono stati proprio dei test di rottura alla pressione. I test sono stati condotti non tanto perché fosse sconosciuta la resistenza meccanica di quei serbatoi e della lega che li compone, ma perché il processo di costruzione comporta saldature che sono ovviamente punti deboli. E SpaceX ha fatto un enorme studio sulla saldatura dell’acciaio inox».

Nonostante le modifiche apportate a Sn9 il prototipo non ce l’ha fatta. Qual è stato questa volta il problema?

«Per il rientro retro-propulsivo controllato di Sn9 avrebbero dovuto accendersi due dei tre motori. Uno si è acceso regolarmente, e lo si vede nel video dai cosiddetti diamanti di Mach, che denotano un motore di “sana e robusta costituzione”, un motore che sta dando cioè tutta la sua potenza. Dall’altro lato si vede invece un motore dal quale fuoriesce il “fuoco di un caminetto”. Qualcuno ha visto dei pezzi staccarsi. SpaceX parla di rapid unscheduled disassembly (Rud), un termine che viene utilizzato per dire che qualcosa si distrugge in maniera rapida e imprevista. Se c’è stato, come dicono, un Rud sono stati molto fortunati, perché in questi casi c’è il rischio elevatissimo di “fratricidio”: quando un motore esplode così vicino ad altri è molto probabile che questi non ne escano bene.

Quello che si vede bene dai video, e che ha permesso di capire che purtroppo anche questo prototipo non ce l’avrebbe fatta, è la mancata accensione di uno dei due motori, la cui riaccensione può essere eseguita solo in volo orizzontale. Quando Starship è già in verticale c’è infatti un flusso d’aria che va dal basso verso l’alto che disturba il flusso di combustibile e comburente ai motori, impedendone l’accensione. In pratica, l’accensione di un motore dà la scansione temporale per l’accensione dell’altro: se nell’arco di circa un secondo e mezzo dopo l’accensione del primo motore il secondo non si accende, non partirà mai perché a quel punto il flusso dell’aria ne impedisce l’accensione».

Tommaso Ravaglioli, esperto nel settore dell’industria dell’aerospazio

A  proposito di accensione dei motori,  c’è stata una discussione su twitter in cui un follower si chiedeva del perché non accenderli tutti e tre e poi spegnerne uno per essere sicuri che almeno due siano in funzione per l’atterraggio. La risposta di Elon Musk è stata: “We were too dumb” [siamo stati troppo stupidi, ndr]. Lei che ne pensa?

«La risposta di Elon Musk è stata interessante, e si può leggere in diversi modi. Subito dopo però ha dichiarato che il prossimo prototipo accenderà tutti e tre i motori per poi spegnerne uno. Non si sa se Elon Musk si sia divertito a scherzare; diciamo che il commento dà adito a questa interpretazione. Sta di fatto però che subito dopo lui stesso ha dichiarato che il prossimo prototipo farà esattamente così. Ovvero, in volo orizzontale accenderà i tre motori, si cercherà il più possibile di ritardare la cabrata e infine un sistema automatico spegnerà il motore che funziona peggio. È qualcosa che in ambito spaziale non è mai stato considerato. Questo impone però di allungare la finestra di accensione dei motori, oppure di pensare a quella che in gergo si chiama pre-accensione, con i motori in una sorta di stand-by prima di erogare la potenza necessaria all’atterraggio».

E un atterraggio con tutti e tre i motori accesi?

«Con tre motori il razzo risalirebbe. Inoltre, con tre motori in funzione c’è un rischio di instabilità molto elevata. È per questo che i prototipi devono atterrare solo con due. In realtà Musk ha detto che se “tirano il collo” a un motore, e se le fisiche sono corrette, si potrebbe anche atterrare anche con un solo. Il problema poi è frenare e lo spazio di frenata. È come se su un’automobile avessimo un solo freno anziché due: la macchina probabilmente si fermerà lo stesso, ma se la nostra è una frenata di emergenza, con un solo motore limiteremmo i danni ma sbatteremo comunque».

Rispetto alla Nasa, le comunicazioni durante i voli dei prototipi Starship lasciano un po’ a desiderare. Per quale motivo?

«Nei lanci della Nasa, pensiamo allo Shuttle, a volte si ha l’impressione di vedere una sorta di teatro giapponese, tanto è rigida e precisa la cerimonia del lancio. Ci sono cioè una serie di frasi, tratte dalla fraseologia ufficiale, che vengono usate per evitare qualsiasi ambiguità. Questo perché usano tantissimo i circuiti voce. Le nuove generazioni di controllori di volo hanno tuttavia iniziato a spingere affinché si iniziasse a informatizzare il processo comunicativo, utilizzando consolle più vicine a personal computer, come già faceva per esempio l’Esa. La Nasa tuttavia ha opposto forte resistenza a cambiare tutto questo. Non è un caso che molti dei suoi responsabili di volo ora lavorino per SpaceX. Con SpaceX ciò non accade perché la comunicazione avviene dalle consolle tramite chat, dunque senza la necessità di parlare, con l’audio che è per forza di cose un po’ povero. Questo è anche il motivo per cui in alcuni video si sono sentite frasi strane tipo “I shut the thing”, che per la tradizione della Nasa sarebbero inaccettabili. A questo va aggiunto che per SpaceX il prodotto commerciale è ancora il lancio del Falcon, ed è lì che viene concentrata la maggior parte degli sforzi comunicativi in generale. L’obiettivo è rivolgersi ai futuri clienti che avranno satelliti da mettere in orbita».

Comunicazione a parte, le live dei lanci dei prototipi sono seguitissime da milioni di spettatori. A cosa è dovuto il successo di pubblico del fenomeno Starship?

«Sicuramente alle possibilità di osservare ciò che accade durante il volo grazie alle telecamere che i prototipi montano. In genere, per tradizione ingegneristica, la parte privilegiata per la raccolta dati è la telemetria. Abbiamo una serie di grandezze misurate che vengono inviate per l’analisi. L’aspetto visivo è quasi un ripensamento: quando non si riesce a determinare il funzionamento di un dispositivo o di un fenomeno dalla telemetria viene piazzata una telecamera. Dal punto di vista degli ingegneri che operano nell’ambito dei test, questo è un po’ come spazzare la polvere sotto il tappeto. A loro serve un approccio quantitativo. La telecamera è per forza di cose un approccio qualitativo: possiamo vedere che un oggetto è molto caldo perché è rosso, ma non avremo mai il valore di temperatura. Dunque, l’approccio ingegneristico è sul sensore. Tuttavia SpaceX a bordo dei suoi veicoli mette moltissime telecamere. Questo significa che da un lato ne riconosce anche un valore ingegneristico, ma soprattutto ne riconosce il valore promozionale: quella meravigliosa ripresa dall’ogiva che mostra le “pinne” anteriori è una delle cose più belle da vedere durante il volo. Lo stesso vale per le riprese sui motori.

SpaceX a bordo ha inoltre un numero elevatissimo di microfoni, se non sbaglio circa una sessantina. Anche in questo caso, sentire i suoni durante il volo è qualcosa di impressionante. Poi c’è anche da considerare l’estetica stessa di Starship, che richiama la fantascienza di Flash Gordon. E infine la componente della sfida. Noi vediamo le cose andare male e andare male in modo spettacolare. Anni fa, quando SpaceX stava tentando senza riuscirci di fare atterrare i suoi booster sulle chiatte, tutti eravamo lì a sperare o di vedere un atterraggio o di vedere una catastrofe cosmica. Questo dà la dimensione di quanto questo sviluppo sia di frontiera, ma è anche il motivo per cui tanto pubblico segue i lanci: c’è un prototipo che viene lanciato, finisce in pezzi in maniera spettacolare ma sappiamo che ce n’è un altro già pronto per il lancio».

Il “manuale utente” di Starship (cliccare per scaricare il pdf in inglese). Crediti: SpaceX

Quali sono le innovazioni aerospaziali che Space X porta avanti con Starship?

«Sicuramente la discesa. Dopo che i motori vengono spenti uno a uno durante l’ascesa, e dopo aver raggiunto l’apogeo per inerzia, i prototipi eseguono una discesa come non era mai stato fatto da nessun veicolo spaziale: in orizzontale. Questo grazie alle pinne di cui parlavamo, i cui movimenti ricordano molto quelli che fa un paracadutista per controllare il volo in caduta libera. Nessuno aveva mai pensato di applicare la stessa logica a un veicolo spaziale utilizzando questi alettoni. Questo significa che per la discesa non occorre guidare il veicolo, togliendo il carico di attuatori e supporti che permettano la cabrata all’apogeo per la discesa in orizzontale.  Le pinne funzionano come il timone di una barca, e sono fissate al veicolo longitudinalmente. Aerodinamicamente questa posizione per la salita non servirà a nulla, ma i movimenti laterali durante la discesa stabilizzano il veicolo a un livello che ha sorpreso persino gli stessi specialisti di SpaceX, eliminando la necessità dell’uso di paracadute.

Anche il fatto che i motori di Starship possano riaccendersi a piacimento, come accade poco prima della cabrata finale, è ingegneristicamente parlando qualcosa di molto poco banale. Se si guardano i filmati della partenza dello Shuttle, negli istanti prima dell’accensione ci sono delle enormi “pietre focaie” che generano una grande quantità di scintille necessarie ad accendere i motori nel caso il sistema di accensione a bordo fallisse. Nel caso di Starship questa possibilità non c’è. I suoi motori devono accendersi autonomamente, senza supporto di alcun tipo. È qualcosa che nemmeno alcuni aerei di linea riescono a fare, bisognando di un carrello a terra che fornisca elettricità. Dire che un veicolo spaziale deve atterrare su una superficie e poi senza alcun tipo di supporto riaccendersi, decollare e andare altrove è qualcosa che se non è una rivoluzione poco ci manca.

Poi c’è la filosofia di Elon Musk. SpaceX sta lavorando tantissimo alla propria capacità di costruire velocemente prototipi, producendone numerosi in serie. Anche questa è una cosa inaudita in ambito spaziale. Il motto di Space X è “test, fly, fail, fix, repeat“, simile a quello della McDonnell Douglas, l’agenzia aerospaziale che negli anni Novanta portava avanti il progetto Delta Clipper-Experimental, il primo razzo in grado di decollare e atterrare verticalmente. L’hopper di SpaceX, il primo prototipo Starship, ha ripreso da dove Delta Clipper si è fermato. Il loro motto era “bild a little”, “fly a litte”, “break a litte” [costruisci un po’, vola un po’, rompi un po’, ndr]. Questa mentalità nella ricerca spaziale è stata portata avanti più volte, ma raramente con successo. SpaceX lo sta facendo anche grazie alle ingenti somme di danaro che provengono dai contratti milionari per l’uso del Falcon 9, che sta fagocitando tutta la concorrenza. A queste somme si devono aggiungere quelle per i servizi sia di logistica che di trasferimento degli astronauti alla Iss, pagati profumatamente dalla Nasa. Questo significa che SpaceX sta sviluppando Starship come pare a lei. Non c’è un cliente. È un veicolo che si deve conformare unicamente alla visione di Musk per i voli nel nostro futuro spaziale. Di nuovo: una cosa mai successa prima».

Starship è in realtà il secondo stadio di un sistema di lancio più complesso. Di cosa si tratta?

«Sì. Starship è sia il nome del sistema di lancio costituito dal booster Super Heavy e dal secondo stadio che il nome del solo secondo stadio, che poi è il prototipo di cui stiamo parlando. Quello che vuole creare SpaceX in questo modo è un sistema che sia in grado di lanciare un po’ di tutto. La visione di Musk non si limita infatti a una singola missione. Molti vettori spaziali sono stati sviluppati per una singola missione o anche solo per una tipologia di missione: lanciare satelliti Tv, microsatelliti, sistemi per la geodesia o addirittura per lanciare un singolo tipo di satellite. Quello di  Starship sarà invece un sistema universale, composto dal booster Super Heavy – che ancora non abbiamo visto fisicamente – e da varianti di Starship, cioè del secondo stadio, con configurazioni diverse a seconda dell’obiettivo della missione: ‘navicella’ per il trasporto di equipaggio, ‘cargo‘ per il trasporto di satelliti o per la riparazione di veicoli in orbita, ‘tanker’ per il rifornimento di altri veicoli in orbita o per il rifornimento delle altre due varianti: lo ‘shuttle lunare‘ per le future missioni di allunaggio e quello marziano per una two planet civilizzation.

Tra tutte le configurazioni, quella più interessante e che rappresenta una vera rivoluzione è il tanker. Questo una volta lanciato funzionerebbe come una sorta di stazione di servizio orbitante per il rifornimento di qualsiasi veicolo spaziale, compresa la variante proposta da SpaceX alla Nasa per l’allunaggio. La variante per l’allunaggio verrebbe lanciata in orbita terrestre una volta sola. Da qui, una volta rifornita dal tanker, si trasferirebbe nell’orbita lunare, facendo la spola con la superficie del satellite e ritornando in orbita terrestre solo per un nuovo rifornimento. Se escludiamo il modulo lunare dell’Apollo, sarebbe il primo veicolo spaziale ad operare unicamente nel vuoto.

Infine, una versione di Starship lanciata senza il suo booster potrebbe essere un ottimo veicolo suborbitale in grado di sostituire quella capacità che prima avevamo con il  Concorde: viaggiare attraverso gli oceani in pochissimo tempo. Si tratterebbe di un viaggio che nel giro di un’ora e mezza permetterebbe di raggiungere gli antipodi della Terra: una rivoluzione nel campo della mobilità sulla Terra».